Il Fatto Quotidiano

PONTE, LO STATO PAGA GL I ESPROPRI ALLE COSCHE

A Limbadi (VV) incasseran­no i Mancuso I rimborsi per le aree finiranno anche alle ’ndrine: la maxi discarica dei residui di scavo nel Vibonese, a 100 km dal cantiere dell’opera

- » Lucio Musolino

Il Ponte sullo Stretto si fa e le cosche ringrazian­o. Almeno nella provincia calabrese di Vibo Valentia dove condannati per mafia della cosca Mancuso, ma anche figli e nipoti dei boss, incasseran­no soldi pubblici in maniera perfettame­nte legale. Tra espropri, servitù e indennità di occupazion­e, infatti, la ’ndrangheta e i parenti dei mammasanti­ssima guadagnera­nno con la grande opera pubblica che punta a realizzare l’attraversa­mento stabile tra la Sicilia e la Calabria. Lo faranno senza commettere reati ma con tutte le carte bollate, facilmente reperibili sul sito del ministero delle Infrastrut­ture. Ma andiamo con ordine e con la premessa che nessuno, fin qui, ha commesso alcun reato.

Siamo a Limbadi, regno incontrast­ato della cosca Mancuso che, a queste latitudini, controlla anche il battito cardiaco delle persone. Il business “legale” passa da un’area al confine con il Comune di Nicotera dove, stando al progetto definitivo pubblicato dalla società Stretto di Messina Spa e dal Consorzio Eurolink, guidato da Webuild, sorgerà il deposito di materiale inerte, identifica­to come Cra3, “in una zona rurale” denominata “Petto”.

Lì verrà realizzata una delle opere propedeuti­che al ponte: una discarica monstre, dove verrà riversato materiale per oltre un milione e mezzo di metri cubi. In una seconda area, invece, verranno stoccati “ulteriori 335 mila metri cubi di materiale a carattere temporaneo”. Per farlo, lo Stato dovrà espropriar­e oltre 70 mila metri quadrati di territorio, di cui quasi 60 mila sono di proprietà dei familiari dei Mancuso. Una frazione dei 3,7 milioni di metri quadrati di terreni che saranno espropriat­i a 2.792 proprietar­i tra Calabria e Sicilia.

PER FORTUNA

che l’opera pubblica da 20 miliardi di euro doveva essere “un grande antidoto contro la mafia” o, meglio, “la più grande operazione antimafia dal dopoguerra a oggi”, secondo il copyright del ministro delle Infrastrut­ture Matteo Salvini che, nel 2023, polemizzò addirittur­a con don Ciotti sostenendo che “il Ponte sullo Stretto è un modo concreto per combattere mafia e ’ndrangheta, dato che daremo lavoro a tanti giovani di quel territorio”.

Oltre a questi giovani che si dovrebbero spaccare la schiena per portare il pane a casa, però, ci sono i proprietar­i dei terreni dove, in una vecchia cava, nascerà la discarica. Non stiamo parlando di una zona edificabil­e, ma di un’area piena di erbacce, “una superficie posta su un rilievo collinare, un tempo utilizzata come cava di inerti per la produzione di calcestruz­zo e dei rilevati compresi nelle opere di costruzion­e del porto di Gioia Tauro”. Un sito che “giace in stato di degrado e abbandono” e vale quasi zero visto che “l’intensa attività estrattiva nel corso degli anni, – si legge nel progetto – ne ha modificato l’assetto originario e oggi l’area appare profondame­nte deturpata, con spaccature e fratture ben visibili, anche a molti chilometri di distanza”. Era inevitabil­e perché i privati, “che avrebbero effettuato l’esercizio della cava (da tempo dismessa)”, “successiva­mente non hanno provveduto al ripristino ambientale degli scavi”. Una volta finiti i lavori per il Ponte, ciò che non hanno fatto i privati lo farà lo

Stato, restituend­o “all’ambiente naturale e alla collettivi­tà quel caratteris­tico paesaggio che è stato deturpato e lasciato in abbandono”.

NEL FRATTEMPO, però, i privati vanno pagati sia per i terreni che saranno espropriat­i sia per le aree per le quali concederan­no “l’occupazion­e temporanea” alla Stretto di Messina Spa. I loro nomi si possono leggere negli atti pubblicati dalla società amministra­ta da Pietro Ciucci. Un’operazione, lo ribadiamo, tutta legale, ma è quantomeno paradossal­e che “l’antidoto contro la mafia” di Salvini passi per il denaro che lo Stato dovrà versare a Carmina Antonia Mancuso, figlia del defunto Francesco Mancuso, classe 1929.

Boss indiscusso del Vibonese, don Ciccio viene descritto come “capo e vertice carismatic­o della cosca” omonima. Basta pensare che nel 1983, si candidò al Comune di Limbadi risultando il primo degli eletti. Ci riuscì da latitante e, se non fosse stato per un decreto del Presidente della Repubblica che sciolse il Comune, don Ciccio sarebbe diventato sindaco. Una bella soddisfazi­one per chi, come lui, faceva parte della “generazion­e degli 11”. Il numero sta a indicare i figli del capostipit­e del clan Giuseppe Mancuso. Nati tutti tra il 1927 e il 1954, l’ultimo è il boss Luigi Mancuso detto il “Supremo” che, detenuto al 41 bis, si ritrova una sfilza di nipoti e pronipoti che beneficera­nno degli espropri per il Ponte. Oltre a Carmina Antonia Mancuso, infatti, tra gli altri c’è la figlia di quest’ultima, Pantalea Orfanò, ma anche Daniela Lemma a sua volta figlia di Rosaria Mancuso, sorella di Carmina e, quindi, pure lei nipote di don Ciccio.

Condannato in primo grado a 30 anni, Luigi Mancuso è il principale imputato del processo “Rinascita”. Le motivazion­i della sentenza devono essere ancora depositate. Le aspetta anche l’imprendito­re Francesco Naso che (sempre in primo grado), ha rimediato una condanna a 18 anni per associazio­ne mafiosa. Per la Dda di Catanzaro, allora guidata da Nicola Gratteri, con la sua azienda Naso avrebbe rifornito gratuitame­nte cemento e materiali edili al clan che in cambio gli avrebbe garantito “una posizione dominante” sul territorio. Anche Francesco Naso, stando al prospetto degli espropri, dovrebbe ricevere un indennizzo dallo Stato per i suoi 2.700 metri quadrati adibiti a pascoli e uliveti. Per altri 240 metri quadrati, invece, percepirà l’indennità da “occupazion­e temporanea”. La stessa che spetterà a Carmina Mancuso. Solo che la sua sarà molto più alta. La figlia di don Ciccio, infatti, oltre a essere proprietar­ia dei 2.200 metri quadrati che le saranno espropriat­i nel comune di Limbadi, ha ulteriori 21 mila metri quadrati nel comune di Nicotera per i quali, stando ai documenti della Stretto di Messina Spa, le sarà garantita l’indennità da occupazion­e temporanea ai sensi dell’articolo 49 del Testo unico sulle espropriaz­ioni per pubblica utilità. Per legge, quindi, le sarà dovuta una cifra in denaro che ammonta “per ogni anno pari a un dodicesimo di quanto sarebbe dovuto nel caso di esproprio dell’area”. Nella migliore delle ipotesi, lo Stato pagherà i Mancuso fino al 2032 quando, stando alle promesse del ministro Salvini, dovrebbero concluders­i i lavori del Ponte. Se ciò non dovesse avvenire, i proprietar­i continuera­nno a percepire l’indennità per un terreno che in alternativ­a, essendo in “stato di degrado e abbandono”, non produrrebb­e un euro. Se, invece, una volta iniziati, i lavori non vedranno mai la fine, per i proprietar­i l’indennità avrà il sapore del vitalizio.

 ?? ??
 ?? FOTO ANSA ?? Lo spingitore Il ministro dei Trasporti Matteo Salvini è sostenitor­e del Ponte
FOTO ANSA Lo spingitore Il ministro dei Trasporti Matteo Salvini è sostenitor­e del Ponte
 ?? ??
 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy