Israele, zero regole d’ingaggio “Una borsa scambiata per arma”
Nel pomeriggio di lunedì scorso, i caccia con la Stella di David hanno bucato come il burro le difese siriane, hanno attraversato il confine e colpito un edificio dell’ambasciata dell’iran a Damasco uccidendo un gruppo di alti comandanti militari iraniani con il tipo di precisione millimetrica che ha da tempo guadagnato la paura e il rispetto militare di Israele in tutto il Medio Oriente. Diverse ore dopo, lo stesso esercito israeliano ha lanciato missili su un convoglio umanitario su una strada costiera nella Striscia di Gaza. Un’operazione fallita che ha ucciso sette operatori umanitari stranieri e ridotto la reputazione di Israele a brandelli. I suoi leader sono stati costretti ad ammettere una serie di errori letali e di valutazioni errate.
I sette cooperanti uccisi L’idf licenzia due ufficiali, ma la catena di comando non c’è. Un funzionario: “Qui ognuno fa per sé”
È SINGOLARE che uno degli eserciti meglio equipaggiati e meglio addestrati del mondo possa portare a termine un attacco audace su un territorio straniero e poi inciampare con conseguenze così tragiche a Gaza. La questione solleva una serie di domande difficili, non ultimo il modo in cui l’esercito israeliano applica le regole di ingaggio. Soprattutto nella sua guerra contro Hamas: prima spara e poi chiedi chi è. I regolamenti dell’esercito dicono che l’ok finale per qualsiasi azione contro obiettivi sensibili come le organizzazioni umanitarie deve essere data dagli ufficiali superiori: il comandante della divisione, il capo del comando o anche il capo di stato maggiore. Ma a Gaza, sono fonti interne all’idf citate da Haaretz, “ogni comandante stabilisce le regole per se stesso” e dà la propria interpretazione delle regole d’ingaggio. In questo caso non è ancora chiaro se la decisione di aprire il fuoco sul convoglio umanitario sia stata inviata agli alti comandanti per l’approvazione. L’idf e il ministero della Difesa hanno affermato che la morte dei sette volontari umanitari era dovuta allo scarso coordinamento tra le truppe sul campo e i funzionari delle organizzazioni umanitarie. Una replica alle accuse di strage, seppur molto ben organizzata, fa acqua da tutte le parti. Due ufficiali coinvolti nella catena di comando quella tragica notte sono stati licenziati, altri tre “rimproverati”. Ma appare agli occhi di tutti – persino degli americani – che si tratta di un’auto-assoluzione delle alte sfere. L’esperienza ci insegna che dopo ogni strage di civili o volontari stranieri nelle molte guerre di Gaza si apre una commissione d’inchiesta. E nessuna finora ha mai partorito un giudizio di colpevolezza per qualcuno, soldato semplice o ufficiale. Dopo le scuse di Hagari, andate ieri mattina su tutte le tv israeliane, gli
Usa hanno annunciato che seguiranno con attenzione le misure che Israele sta prendendo “affinché nulla di simile accada mai più”. Per il segretario di Stato Blinken “è importante che Israele si stia prendendo la piena responsabilità per l’accaduto”. Nella ricostruzione israeliana c’è solo un accenno al fatto che secondo le informazioni dell’idf a bordo di una delle tre auto con il logo Wck sul tetto c’era un uomo armato, forse di Hamas. Alle 23.09 è stato dato l’ordine di lanciare un missile contro l’auto su cui l’idf credeva stesse viaggiando il presunto miliziano. Dopo che è stata colpita, due persone sono riuscite a scendere e a spostarsi su un’altra auto,
che è stata centrata da un altro missile alle 23.11. Alcuni dei suoi occupanti sono riusciti a scendere e salire sulla terza auto quando è stata colpita da un missile alle 23.13. Nell’indagine guidata dal generale in pensione Yoav Har-even – uno degli operatori ha ammesso di aver commesso un errore nell’ “incriminare la persona ritenuta portatrice di un’arma e che probabilmente aveva con sé solo una borsa”. Sette vite per una borsa scambiata per un Ak. Queste sono le regole d’ingaggio dell’idf a Gaza. Quanti dei 33 mila morti palestinesi sono stati uccisi “per errore”? Quanti dei 13.200 bambini? Non ci saranno commissioni d’inchiesta per loro.