“La scimmia in redazione, le liti con Scalfari e i politici, le canne a effetto lassativo”
Scrittore e giornalista compie 80 anni: “Una dote? La curiosità totale”
Regole di ingaggio. “Voglio vedere quali foto pubblicate”. Vanitoso. Sono vanitoso e allora? Non vuol dire che io sia pieno di me, sono solo contento quando qualcuno mi dedica le sue attenzioni.
Sempre stato o con gli anni sei cambiato?
Da giovane ero violentemente vanitoso, invecchiando mi sono addolcito. Adesso voglio bene a chi mi considera.
(Claudio Sabelli Fioretti compie 80 anni il 18 aprile. È uno dei grandi del giornalismo, ha diretto cinque giornali “non sempre bene, mi hanno pure cacciato”. Ha condotto trasmissioni come Un giorno da pecora, con il presidente Cossiga complice fisso. Ha inventato un genere di interviste, il corpo a corpo: “Ho superato le 600. Poi mi sono un po’ rotto le palle”).
Sei un fautore delle domande semplici. Quindi: perché giornalista?
Lo era mio padre. Ed era abbastanza famoso, è stato direttore del Corriere dello sport e anche redattore capo della Gazzetta dello sport. Fu il primo radiocronista di calcio. Casa mia era permeata di giornalismo sportivo; quando papà seguiva il Giro d’italia, se la carovana passava vicino al nostro appartamento, nei dintorni di Bracciano, i giornalisti si staccavano per mangiare da noi.
Tutto ciò ti ha facilitato.
Sì, da subito, da quando ho cercato di guadagnare qualcosa.
Come?
Mi occupavo di sport minori, andavo a prendere i tabellini delle partite giovanili; a quel tempo si veniva assunti, magari dopo un po’ di gavetta, tipo il caffè per il redattore capo e altre amenità.
Pure tu?
No, venni quasi subito assunto da Nevesport, un giornale di Milano.
Ti avranno dato del raccomandato?
Lo ero, ma nessuno mi ha contestato. A quel tempo i posti c’erano; già nel 1968, a soli 24 anni, sono entrato a Panorama: il settimanale andava talmente bene che il direttore Lamberto Sechi assumeva un giovane al mese.
Altro mondo.
Ero talmente immerso in quella realtà da non aver mai capito chi mi avesse raccomandato. Da dentro il giornalismo, cosa hai scoperto che da ragazzino non immaginavi? Che non bisogna fidarsi troppo degli editori. Anzi, per niente. Sono loro ad aver portato al disastro la stampa italiana, con la collaborazione dei direttori.
Illuminazione immediata?
Quando scrivevo per Nevesport, l’editore ci chiedeva qualunque tipo di sforzo, con orari improbabili. Per questo ci drogava.
Metafora?
Per superare la notte ci dava la simpamina (una amfetamina, ndr).
E voi?
La prendevamo. E andavamo avanti anche due notti di seguito; quando vinse Franco Nones (fondista, Olimpiadi del 1968, ndr), mi caricarono in macchina cinquanta copie del giornale e mi spedirono a Grenoble da Milano, per marcare il terreno.
Arrembante. Potevo essere morto. Ma carriera fulminante.
A Panorama sono diventato in poco tempo redattore capo; da lì mi offrirono di diventare direttore di ABC. Guadagnavo un casino di soldi.
Ti eri montato la testa? Un pochino; (ride) ero stato assunto da uno scimpanzé. Anche qui: metafora?
Mi invita a pranzo Francesco Cardella, editore di ABC, sposato con Raffaella Savinelli, la figlia del re delle pipe. Andammo da Giacomo, uno dei migliori ristoranti di Brera. Lui si presentò con Bobo, una scimmia vestita con giacca e cravatta. Bobo si sedette di fronte a me.
Altro che Caligola.
Bobo perché Cardella era molto legato a Craxi.
E al ristorante?
Cardella serio: “Ti voglio ad ABC, ti pago il doppio di Panorama”. “Forse accetto, ma non voglio cenare con una scimmia”. Bobo uscì con la moglie di Cardella, ma la ritrovai nelle riunioni di redazione.
Tuo padre cosa pensava della tua carriera?
Era contento; una volta fu veramente dolce: “Oggi un signore mi ha chiesto se sono tuo parente”. Quando in teoria doveva essere il contrario.
Le tue doti.
Curioso in maniera totale. Quando da bambino andavo alle feste, aprivo tutti i cassetti del padrone di casa.
Hai mai rinunciato a una notizia?
Ho una carriera strana, mi sono occupato di radio, giornali, televisione...
E... ?
Ho realizzato circa 600 interviste, con qualcuno ho litigato.
Chi? Uno scrittore. Pennacchi.
Con lui no, piuttosto mi ha rilasciato un’intervista impubblicabile: per tutto il tempo ha ripetuto solo “stronzo, vaffanculo e cazzo”; poi mi portò in un ristorante pieno di busti di Mussolini e altri gingilli del Ventennio. Uno schifo. Insomma, lo scrittore? Ruggero Guarini. Mi scrisse un telegramma: “La diffido dal pubblicare l’intervista di cui mi ha mandato copia perché mutila e tendenziosa e comunque non mi ci riconosco”.
Pubblicata?
Sì, mutila e tendenziosa. Gli risposi che probabilmente l’infingardo Panasonic e il tendenzioso Sony mi avevano ingannato.
Due registratori.
Sempre con me; (sorride) oltre a Guarini pure l’attrice Ida Di Benedetto. Lei telefonò addirittura a Cesare Romiti per bloccare l’intervista.
E Romiti?
Mi chiamò: “Claudio, ma che vole questa?”.
Altre liti.
‘‘ Il mio primo direttore dava l’amfetamina per superare la notte