Leopardi l’ultrafilosofo L’anima gramsciana del poeta (non solo) pessimista e nichilista
in particolare i giovani, vuole emergere dalla massa di coloro i quali “finiscono per chiudersi in se stessi e nel proprio solipsismo passare il resto della vita nell’inazione”. Catalfamo individua nel sistema filosofico del grande poeta di Recanati una componente “fortemente egualitaria e libertaria, la quale, se non ha ancora connotati classisti, tuttavia va al di là della dimensione puramente formale in cui i valori dell’uguaglianza e della libertà furono recepiti nell’ambito della Rivoluzione francese e delle altre rivoluzioni borghesi che investirono il mondo occidentale”. Non più, e non soltanto, dunque, il poeta pessimista o nichilista, oppure quello dei “grandi idilli”, ma un Leopardi rivoluzionario, che viene accostato ad Antonio Gramsci. “Leopardi, come Gramsci”, sostiene Catalfamo, “al di là del presunto ‘astrattismo’ del suo sistema filosofico, è ben attento alla situazione concreta reale. In presenza del male assoluto, evidente in tutta la sua forza distruttiva, egli si limita a rigettarlo, a contestarlo, a ribellarsi in toto ad esso”.
Il poeta della Ginestra aveva amato “gli uomini lungo tutto l’arco della sua vita, sin dall’età giovanile, come emerge dalle lettere che inviò all’amico Pietro Giordani da Recanati, prima e dopo il tentativo fallimentare di fuga”. Se “li fustiga, denuncia le loro debolezze e la loro viltà, sottolinea con forza la loro perdita di centralità nel mondo, come emerge dalle teorie copernicane, sugli effetti delle quali egli si sofferma a lungo, specie nelle Operette morali (ma non solo), lo fa per promuoverne una ricostruzione dal basso, attraverso un processo educativo e di formazione culturale che faccia prendere loro coscienza degli errori teorici e pratici, compiuti nel corso dei secoli e, segnatamente, nell’epoca dei ‘lumi’ e, di seguito, della Restaurazione”.
Viviamo in un’epoca dove l’egoismo e gli interessi privati sono sistemi di governo. La modernità di Leopardi è in questo passo dello Zibaldone: “Vogliono che l’uomo per natura sia più sociale di tutti gli altri viventi. Io dico che lo è men di tutti, perché avendo più vitalità, ha più amor proprio, e quindi necessariamente ciascun individuo umano ha più odio verso gli altri individui sì della sua specie sì dell’altre. (...). Or qual altra qualità è più antisociale, più esclusiva per sua natura dello spirito di società, che l’amore estremo verso se stesso, l’appetito estremo di tirar tutto a se, e l’odio estremo verso gli altri tutti?”.