PAR CONDICIO, MELONI VUOL FARE QUEL CHE B. NON HA MAI TENTATO
La destra ha messo mano alla par condicio, l’unica riforma importante fatta per la tv da una sinistra per il resto molto distratta in questo settore, anzi piuttosto attenta a non disturbare il monopolio privato di Berlusconi (vero onorevole Violante?). A proposito, fanno sorridere coloro che oggi parlano di un tentativo di esproprio verso il Cavaliere condotto dalla sinistra in quegli anni: niente di più lontano infatti dalla verità storica, visto come andarono le cose.
DOPO L’INIZIATIVA della Boschi, che la par condicio la voleva estendere pure ai giornalisti (e perché no? magari anche ai comici, agli ospiti dei programmi, ai conduttori dei talk), gli emendamenti che la destra si è approvata da sola in commissione Vigilanza, volti a garantire la comunicazione istituzionale in periodo elettorale ma che nei fatti offrono una straordinaria arma di propaganda in più alla maggioranza e ai suoi esponenti di governo, manifestano la volontà di disinnescare uno strumento disposto per frenare abusi e disparità di trattamento tra le forze politiche, soprattutto nel periodo che precede le elezioni, in un sistema tv squilibrato e duopolistico. La legge sulla par condicio non è mai piaciuta alla destra berlusconiana ma se non è stata mai toccata è anche perché di fronte allo strapotere di Mediaset e del suo proprietario pure la Lega e la vecchia Alleanza nazionale si sentivano garantiti da essa. E comunque nemmeno il Berlusconi degli anni ruggenti aveva mai tentato di metterci davvero mano. Per questo è grave quanto sta accadendo.
È bene ricordare ai molti smemorati che la par condicio nacque come reazione agli innumerevoli blitz propagandistici e allo spudorato utilizzo elettorale che il leader di Forza Italia fece delle sue reti negli anni 90, piegandole al suo servizio oltre ogni limite. Tanto che i primi decreti, appunto detti di ‘par condicio’, risalgono al governo Dini, un premier che era stato ministro di Berlusconi e che a lui era succeduto nel gennaio ’95, dopo la crisi del suo primo governo.
Con buona pace dell’onorevole Bocchino, la par condicio non la inventò la sinistra come lui sostiene, che anzi quando andò al governo con Prodi nel ’96 quei decreti, con gesto fin troppo magnanimo, non rinnovò, fidando in un comportamento più equilibrato del Caimano. Il quale, invece, per tutta risposta, alla prima occasione importante, le elezioni europee del 1999, scatenò una nuova offensiva con un’abbuffata di spot e propaganda sulle sue tv tale da allarmare persino D’alema, fino ad allora tra i principali sostenitori dell’inciucio televisivo con il Cavaliere. Solo allora il centrosinistra al governo decise di intervenire per limitare un indecente strapotere mediatico con una legislazione che ponesse fine a tutto ciò. In fondo fu una specie di ipotesi B, dopo la rinuncia alla riforma più generale del duopolio, invocata tra l’altro anche dalle indicazioni di una sentenza della Corte del dicembre 1994.
Ora che l’attacco della destra alla legge, con gli emendamenti al testo che l’agcom aveva meritevolmente redatto “pesando” finalmente le presenze in base a share e orari, è stato condotto in porto con successo, la maggioranza potrà godere nei notiziari radio-tv di un vantaggio non indifferente. E, visto come già vanno le cose, il quadro si farebbe molto preoccupante: nel mese di febbraio infatti, basti come esempio, la premier Meloni ha collezionato 164 minuti di parlato nei principali telegiornali delle sette reti generaliste pubbliche e private, lontanissima dalla Schlein (105) pur molto microfonata, e ancor di più da Conte (65): immaginare quale potrebbe essere lo scenario nella prossima campagna europea non è difficile.
TV FORZA ITALIA NON SOPPORTAVA LA LEGGE, MA IL SUO LEADER NON L’HA MAI MODIFICATA