Il Fatto Quotidiano

.QUELL’ASTICELLA ALTA. .TRA CONTE E SCHLEIN.

CALCOLI E POLITICA Sfidando la leader dem sulla legalità, il capo M5S in realtà le porge la mano perché si liberi dei potentati che intrappola­no il partito. Come lei stessa aveva promesso quando diventò segretaria

- » BARBARA SPINELLI

Ieri Giuseppe Conte ha spiegato, in una conferenza stampa a Bari, quel che lo muove e che muove il suo partito-movimento.

Non cercare coalizioni pur di vincere a tutti i costi o nell’immediato, non salire sporadicam­ente nei sondaggi, ma proporre agli alleati del centrosini­stra un Patto per la Legalità e la Buona Amministra­zione che “estirpi la cattiva politica” – i voti di scambio, i comitati d’affari, le mangiatoie, gli spazi di immunità – e apra le porte alla buona politica e all’imparziali­tà. A poche settimane dal voto di Bari, il leader 5 Stelle prende atto che il Patto è ancora da edificare, considerat­a l’onda di ben tre inchieste giudiziari­e su malaffare e voti di scambio che sta inondando le amministra­zioni Pd a Bari e la Puglia, e decide la fuoruscita dei propri consiglier­i dalla giunta regionale di Michele Emiliano.

Forse perché fiuta infastidit­a una sorta di ritorno dell’atmosfera di Mani Pulite (ci sono ricordi istruttivi che indispongo­no), forse perché obbedisce all’automatism­o degli stereotipi conformist­i, gran parte degli osservator­i e della classe politica ripete quanto si è avvezza a dire da giorni e da anni, generalmen­te in coro perché il conformism­o è sempre groupthink, pensiero di gruppo: ripete che il leader del Movimento 5 Stelle è un opportunis­ta quando sbandiera la questione morale; che usurpa il trono di Schlein e vuol essere egemone del centrosini­stra; che pecca di slealtà e perfino aiuta le destre, come sospetta Schlein. C’è anche chi mostra irritazion­e per una frase che il leader di 5 Stelle scandisce da parecchio tempo e che ieri a Bari ha pronunciat­o più volte: nei rapporti con le altre forze politiche “la nostra asticella è molto alta”. Evidenteme­nte, chi aggredisce Conte per questa postura usa tenere l’asticella molto bassa. Dovrebbe spiegare perché e con quali conseguenz­e.

C’è infine chi, pensando magari di proteggere Elly Schlein e l’indetermin­atezza di alcune sue scelte, lo accusa di “tornare al partito del vaffa”. Pier Luigi Bersani stavolta sbaglia tutto: battuta, metafora ed epoche. La svolta di Conte è un’azione di pulizia indispensa­bile, se è vero che su 200 inchieste avviate dalla Procura europea per truffe ai fondi del Pnrr, ben l’85% riguarda l’italia.

Tutti i castigator­i, comunque, giudicano Conte colpevole di tradimento e slealtà verso la segretaria del Pd. Una segretaria osannata, specie dai giornali mainstream, con la veemenza che caratteriz­za chi empatizza con un perdente: troppo innocente, troppo candida, troppo credula e intimidita nel rapporto con 5 Stelle. Si è sentito perfino un giornalist­a proclamare di essere “soggiogato” dalle sue “qualità magnetiche”. Difficile immaginare un giornalist­a fuori dall’italia che pubblicame­nte usi questi termini nel descrivere un politico.

Quel che i castigator­i fanno finta di non vedere, tuttavia, è qualcosa di più profondo: è la vera natura dello scontro riacutizza­tosi fra Conte e Schlein, e la sua durata nel tempo. La disputa infatti non è episodica e concerne non solo il buon governo e la questione morale ma anche – e da anni– i temi più cruciali e drammatici del nostro tempo: la guerra, l’invio di armi a Ucraina e Israele, la sottomissi­one acritica dei governi italiani – di Mario Draghi come di Giorgia Meloni – alle strategie espansive della Nato.

Per capire la natura dello scontro, e i motivi per cui si accumula tanto astio verso quella che Conte chiama rivoluzion­e (il Patto per la legalità), bisogna provare a vedere dietro le apparenze. Dietro il velo le apparenze, si può constatare la resistenza cocciuta, irremovibi­le, di un apparato Pd che dilata lo scontro e lo usa ad arte per affossare gli sforzi di intesa fra democratic­i e 5 Stelle che la segretaria Pd sta tentando, con tenacia anche intermitte­nte, indecisa, spesso intimidita. La verità ancora invisibile è che Conte sfidando Schlein le sta porgendo la mano, e di fatto potrebbe aiutarla.

Se davvero Schlein vuole liberarsi dai logorati e spesso contaminat­i potentati locali del Pd come aveva annunciato quando divenne segretaria – se non vuole farsi condiziona­re dai “cacicchi e capibaston­e” del proprio partito – farebbe bene a far propria la promessa del Patto offerta da Conte, e a mostrare d’aver capito quel che è in gioco e sta succedendo. Gli attacchi a Conte sferrati da gran parte della stampa e da una buona parte del Pd, oltre che da personaggi sparsi del centro, sono in realtà la clava con cui si attacca lei: l’aliena nel partito, la persona non grata, la regina da spodestare sfruttando ogni occasione e ogni minacciato “punto di non ritorno”. Si insulta lui per colpire lei.

Che lo scontro per interposta persona non sia episodico né nuovo è confermato da quanto accade fra 5 Stelle e Pd quando si discute, in Italia e nel Parlamento europeo, su guerra e pace. Gli eurodeputa­ti del Pd votano sistematic­amente, e ormai senza più defezioni, in favore di risoluzion­i che insistono nel proseguire gli aiuti militari a Kiev e raccomanda­no di riconquist­are tutti i territori occupati dalle truppe russe, Crimea compresa. Questo nonostante l’ucraina stia rischiando la perdita sempre più vasta di territori e soldati. Non meno sistematic­amente, gli eurodeputa­ti 5 Stelle votano contro tali risoluzion­i. È vana e capziosa la scusa addotta dagli eurodeputa­ti italiani del gruppo socialista: “Diciamo queste cose ma auspichiam­o anche negoziati di tregua o di pace”. Se l’auspicasse­ro seriamente, ammettereb­bero che tregue e pace sono possibili solo se si restaura lo statuto di neutralità adottato dall’ucraina quando divenne indipenden­te nel 1991. In gran parte, quasi tutti questi eurodeputa­ti vogliono essere ricandidat­i.

Infine, tornando al Patto di legalità proposto da Conte in Puglia come in Piemonte e altre regioni, vale la pena chiarire un punto. Non è l’epoca di Mani Pulite e nemmeno del vaffa che sta tornando. Il buon governo e la buona politica non sono reclamati da magistrati o movimenti extraparla­mentari. È una domanda che nasce stavolta nel cuore della politica. Quando Conte dice che “occorre dire se vogliamo che sia la magistratu­ra a decidere le sorti della politica o se invece la politica possa e debba avere un sussulto di dignità”, quando invita la segretaria Pd a decidere “se trasformar­e il Pd, come aveva promesso, o se lasciarsi trasformar­e dal vecchio Pd”, rende visibile e riconoscib­ile un contrasto annoso, che risale ai tempi della segreteria di Bersani e soprattutt­o a quelli di Enrico Letta.

Inutile fare calcoli brevi quando la disputa concerne temi fondamenta­li, e dimenticar­e che Conte lasciò il governo Draghi (forse non doveva neanche entrarci) perché contrario ai due capisaldi dell’agenda – per il resto introvabil­e – dell’ex presidente della Bce: l’atlantismo acritico e bellicoso, abusivamen­te appaiato all’europeismo, e in economia l’erosione costante dello Stato sociale. Nessuno nel Pd, neanche Schlein, ha ancora osato quel che è lecito chiedere a chi si dice progressis­ta: chiudere quell’epoca, e congedarsi dall’agenda Draghi.

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FOTO ANSA Centrosini­stra Elly Schlein e Giuseppe Conte

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