Il Fatto Quotidiano

Matteotti sfida la sinistra “zuccherata”

- ANTONIO PADELLARO Antonio Padellaro - il Fatto Quotidiano lettere@ilfattoquo­tidiano.it

“È MATTEOTTI

a sopravvalu­tare il pericolo e la tragedia in corso o sono gli altri che, concentrat­i sul loro ombelico, la sottovalut­ano?”.

VITTORIO ZINCONE, “MATTEOTTI – DIECI VITE”, NERI POZZA

è vero che gli uomini del nostro partito non rispondono affatto all’appello, non vogliono fare. Erano tutti leoni nel buon tempo antico; ora sono tutti presi dalla gotta. Quando si occupano di qualche cosa, si occupano delle loro preferenze, e nulla più... In tali condizioni, io non posso continuare a fare il segretario del partito. Dirigere un esercito che continua a scappare, è ridicolo. D’altra parte ogni volta che si tratta di usare forti reagenti, applicare sanzioni ecc., voi siete tutti contrari. Codesta è anarchia nell’acqua zuccherata. Ognuno fa quello che vuole, cioè non fa nulla”. D’accordo, certi paragoni con la storia di ieri non si addicono, troppo anacronist­ici, alla storia di oggi, eppure nella delusione e nel disincanto della amarissima lettera di Giacomo Matteotti al compagno e socialista unitario Filippo Turati (siamo alla vigilia delle elezioni del 1924, che scaveranno la fossa alla vecchia democrazia liberale spianando la strada alla dittatura fascista) come non riflettere sull’autolesion­ismo insito nel dna della sinistra? Mentre, sul versante opposto, trionfa la capacità attrattiva del nascente regime che arruola, insieme a molti cani sciolti, il blocco liberale e un pezzo dei popolari. Niente di nuovo sotto il sole purtroppo, verrebbe da dire. Nel libro di Zincone – che unisce il rigore della ricostruzi­one documental­e alla chiarezza espositiva – il martirio di Matteotti, massacrato dai sicari mussolinia­ni cento anni fa, il 10 giugno 1924, è il capitolo conclusivo di un dramma politico. Che l’esponente socialista soffrirà in quelle “dieci vite” trascorse soprattutt­o a lanciare, inascoltat­o, l’allarme sull’incubo fascista di cui egli ha subìto sulla pelle la violenza. Non può più mettere piede nella provincia di Rovigo, senza contare le sevizie, le minacce di morte e la devastazio­ne morale e materiale che si è accanita sul suo lavoro politico e sindacale. A Roma, però, vogliono illudersi che il fascismo sia un fenomeno transitori­o e c’è perfino chi, nel sindacato, pensa di potere dare retta a Mussolini nella convinzion­e che il fascismo sarà, in un modo o nell’altro, normalizza­to. La divisione verticale della classe lavoratric­e e l’impossibil­ità di fare fronte comune contro le forze oscure del manganello e dell’olio di ricino la ritroviamo in queste parole: “Il nemico è attualment­e uno solo: il fascismo. Complice involontar­io del fascismo è il comunismo. La violenza e la dittatura predicata dall’uno diviene il pretesto della giustifica­zione della violenza e della dittatura in atto nell’altro”. Quanto a coloro “che si occupano delle loro preferenze e nulla più”, e a quelli che fanno ciò che vogliono, “cioè nulla”, chi ci viene in mente? E l’“anarchia nell’acqua zuccherata” dell’opposizion­e non è, ancora, sotto i nostri occhi?

00184 Roma, via di Sant’erasmo n°2

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