Che sinistra Dal Pci al Pd, il popolo dei lavoratori non ha più un partito
QUANDO ALL’ORIGINE era il Pci i lavoratori, soprattutto dipendenti, consideravano il partito come garante per i loro diritti conquistati e da conquistare. Diventato negli anni l’attuale Pd e vedendo persi diversi diritti conquistati con lotte e scioperi, moltissimi suoi elettori si sono ritirati nell’astensionismo perché non si sentivano più rappresentati e il pensiero di tanti è diventato: “Tanto non cambia niente, sono tutti uguali”. Diverso è, attualmente, per i ricchi e per i lavoratori non dipendenti e quindi “potenziali” evasori. Questi, attualmente, si sentono molto rappresentati. La destra che sta governando li ha subito ripagati e li sta continuamente ripagando con condoni, annullamento di cartelle di pagamento ecc. Questi non mancheranno di certo di andare a votare. Per cui non stupiamoci se la destra non perde e non perderà consensi. Arriverà a fine legislatura e verrà rieletta ancora fino a quando chi non vota capirà che “il non cambia niente” è diventato “cambia in peggio”.
MARCO ROGNONI
LA SUA RAPPRESENTAZIONE di destra e sinistra, caro Rognoni, è decisamente manichea. Certo, il germe dell’impunitismo di matrice berlusconiana sta corrodendo la maggioranza meloniana, ma la storia elettorale degli ultimi vent’anni – a parte indicarci un’incredibile volatilità del consenso (Renzi, M5S dimaiano, Lega salviniana e FDI, a turno vicino od oltre il 30 per cento) – ci dice anche che segmenti dei lavoratori dipendenti hanno votato e votano a
destra sin dai tempi della Lega bossiana. Viceversa, pure il Pd è un partito delle classi agiate. Precisato questo, su un punto lei ha ragione: nel partito dell’astensionismo, il primo in Italia, si rifugiano ampi settori dei ceti popolari, disoccupati e precari, in particolare al Sud. E qui lei cita il ricordo del Pci come partito dei lavoratori. L’errore però sta nell’identificare il Pd come erede di quella tradizione. La fusione fredda ha infatti portato i dem su posizioni centriste che hanno affrontato il ciclone della globalizzazione con ricette fallimentari: dalla precarietà introdotta dal Prodi I al Jobs Act renziano. Ed è per questo che Elly Schlein ha un compito immane davanti a sé, per fare del Pd (pseudo-riformisti permettendo) un Partito del lavoro. Il tempo non le manca: la traversata nel deserto è ancora lunga.