IL PREMIERATO TIPO SHOGUN DEGLI APPRENDISTI STREGONI
La Commissione Affari costituzionali del Senato ha approvato l’art. 4 del disegno di legge sul premierato, inserendo tra l’altro il seguente comma: “In caso di dimissioni del presidente del Consiglio eletto, previa informativa parlamentare, questi può proporre, entro sette giorni, lo scioglimento delle Camere al presidente della Repubblica, che lo dispone”. Quindi il capo dello Stato ha il dovere di sciogliere le Camere e il relativo potere è trasferito implicitamente al premier. Si smentiscono così platealmente le assicurazioni della maggioranza sull’intangibilità delle prerogative presidenziali. Resta peraltro da configurare un ordinamento in cui il capo del governo è l’effettivo titolare della potestà di sciogliere le Camere: una novità assoluta per le Costituzioni occidentali che affidano la specifica attribuzione al capo dello Stato.
1) Il presidenzialismo
Usa esclude interventi del genere per la totale separazione funzionale tra Congresso e presidente, con l’unica eccezione dell’ipotesi di impeachment. 2) In Germania la prevalenza della volontà del Bundestag riduce ma non esclude le prerogative presidenziali sullo scioglimento anticipato. Il presidente federale, se l’elezione del cancelliere non è garantita dalla maggioranza del Bundestag, può sciogliere l’assemblea e altrettanto può fare se una mozione di fiducia presentata dal cancelliere non viene votata a maggioranza. In altre parole: quando non è garantita la piena governabilità, spetta al presidente decidere sulla prosecuzione della legislatura. 3) In Francia il presidente, sentiti il primo ministro e i presidenti delle assemblee, può sciogliere l’assemblea Nazionale purché oltre l’anno dalle elezioni indette per un precedente scioglimento. 4) In Spagna il Re, arbitro e moderatore del regolare funzionamento delle istituzioni, ha il potere di sciogliere le Cortes generali. 5) Lo stesso avviene nel Regno Unito dove la prerogativa, abrogata da una legge del 2011, è stata reintrodotta nel 2021 col Dissolution and Calling of Parliament Act. Per tradizione costituzionale (G. Caravale) il Re valuta lo scioglimento anticipato considerando: a) l’eventuale capacità del Parlamento di continuare ad assolvere le proprie funzioni; b) i rischi per l’economia derivanti da nuove elezioni; c) l’esistenza di una maggioranza alternativa con altro premier. Si tratta di profili generali (e comuni a ogni Paese democratico) su cui si articola la riflessione del Capo dello Stato indipendentemente dalla forma repubblicana o monarchica: l’eventuale scioglimento infatti è funzionale alla salvaguardia della governabilità e non può subire deviazioni per l’immediata convenienza di una parte politica, come potrebbe accadere per decisione del premier condizionata da calcolo politico.
È coerente ai sistemi costituzionali democratici che sulla questione decida l’organo che rappresenta l’unità nazionale e deriva da tale posizione la legittimazione a incidere sulla funzionalità d’altro organo di rappresentanza, a diverso titolo, della medesima comunità. La prerogativa in esame deriva, probabilmente, dal Bill of Rights del 1689 che, con l’investitura parlamentare degli Orange a sovrani d’inghilterra, poneva Parlamento e Re su un piede di sostanziale parità. Dall’evento si è poi agevolmente ricavato il canone dell’autonomia e collaborazione paritaria dei poteri costituzionali esponenti dell’intera comunità nazionale a garanzia della vitalità delle istituzioni democratiche.
Resta da individuare l’ordinamento similare a quello disegnato dal governo Meloni, non rinvenibile neppure nell’unico Stato con brevissima esperienza di premierato: in Israele lo scioglimento anticipato della Knesset è disposto con legge della stessa Assemblea. Occorre perciò immaginare una situazione in cui il capo dello Stato ha compiti di mera rappresentanza, quasi da pontificato laico, e il premier assume tutti i poteri, incluso quello di disfarsi d’un Parlamento poco sensibile ai suoi desiderata.
La combinazione rimanda allo shogunato nipponico: da un lato lo shogun che espleta compiti paragonabili a quelli di un cancelliere plenipotenziario europeo (il premier) e dall’altro un imperatore impegnato in una funzione rappresentativa e rituale al contempo (il presidente della Repubblica). Con questa differenza: il premier, con un’ampia maggioranza parlamentare, è in grado d’individuare e far eleggere i futuri presidenti della Repubblica (declassandoli a funzionari privi di effettive funzioni costituzionali e per questo esentabili anche da quella prerogativa), mentre nell’ordinamento nipponico lo shogun non poteva disporre della famiglia imperiale. A prescindere da ciò balza evidente come premierato e shogunato presentino forti elementi di analogia. Solo che nei programmi votati dagli elettori si prometteva il presidenzialismo, istituto utile per superare la crisi politica e lontano mille miglia dallo shogunato “alla vaccinara” confezionato da apprendisti stregoni di straordinaria incoscienza.