Il Fatto Quotidiano

Da Yale al Mit: proteste, tende, polizia e arresti

La dem al presidente: “Sto coi manifestan­ti” Biden: “Ti ascolto”

- » Roberto Festa

Centinaia di studenti arrestati. Scontri con la polizia. Proteste contro il massacro dei palestines­i. Accuse di antisemiti­smo. La guerra a Gaza infiamma come mai prima d’ora le università americane. Columbia University, in questi mesi uno dei centri più attivi della protesta, ha deciso di offrire agli studenti – soprattutt­o agli ebrei che lamentano di essere oggetto di minacce – la possibilit­à di seguire le lezioni da remoto. “La sicurezza è la nostra priorità”, spiega Angela Olinto, responsabi­le del settore amministra­tivo. L’ultimo giorno di lezioni alla Columbia è il 29 aprile.

Con la fine del semestre, è la speranza delle autorità universita­rie, la tensione dovrebbe allentarsi. La speranza è, però, tutt’altro che una certezza.

QUARANTASE­TTE manifestan­ti sono stati arrestati lunedì a Yale. Da giorni centinaia di studenti occupavano il campus – alcuni in sciopero della fame – chiedendo che l’università rescinda i rapporti di ricerca e affari con le aziende legate a Israele. Yale afferma di aver più volte chiesto, inutilment­e, ai manifestan­ti di liberare l’area. Gli studenti arrestati saranno oggetto di provvedime­nti disciplina­ri. Ci sono stati scontri anche alla New York University. Qui la polizia è intervenut­a con particolar­e durezza, manganella­ndo e smantellan­do le tende che erano state erette in segno di solidariet­à con i palestines­i davanti alla Stern School of Business. Gli arrestati, alla fine, sono stati un centinaio.

Sono decine le università travolte in queste ore dalle proteste contro la guerra a Gaza. Oltre Columbia, Yale, New York University, ci sono Princeton, Mit, Berkeley, Brown University. Harvard Yale, cuore del campus, è stato chiuso per timore di sit in e accampamen­ti. Sono invece rapidament­e tornate le decine di tende che occupano il campus di Columbia. La richiesta di sgomberarl­e, da parte della presidente dell’università Nemat Shafik, aveva portato la settimana scorsa all’intervento della polizia e all’arresto di un centinaio di studenti. Proprio la questione degli agenti nei campus sta sollevando le polemiche più accese. Shafik ha affermato che si tratta di misure temporanee, tali da riportare all’“adesione spontanea alle nostre regole”. Le autorità universita­rie fanno anche notare che l’intervento della polizia si è reso necessario per combattere gli episodi di antisemiti­smo. Molti studenti ebrei lamentano un clima di terrore. La deputata democratic­a Kathy Manning, che lunedì ha visitato la Columbia, afferma di aver visto manifestan­ti che chiedevano la distruzion­e di Israele. Un rabbino affiliato all’università ha inviato una email a 300 studenti ebrei, invitandol­i a evitare il campus finché la situazione “non migliorerà drasticame­nte”. Gli studenti pro-palestina affermano però di essere estranei alle minacce antisemite, che sarebbero responsabi­lità di elementi esterni. La richiesta di intervento delle forze di polizia non è comunque piaciuta a parte del corpo docente, che ha organizzat­o una manifestaz­ione di protesta davanti alla Low Memorial Library, chiedendo che il campus resti luogo libero di confronto. Il Senato accademico, nelle prossime ore, potrebbe organizzar­e un voto di censura contro Shafik. La presidente è messa sotto accusa anche dallo schieramen­to avversario. “L’anarchia si è impossessa­ta della Columbia”, hanno scritto in una lettera dieci deputati repubblica­ni di New York, che chiedono le sue dimissioni. Le proteste nelle università arrivano anche a Washington. Alexandria Ocasio-cortez, in visita da Joe Biden in occasione della Giornata della Terra, ha lodato i manifestan­ti “per il loro potere di dare forma all’america”. Interpella­to sulla questione, Biden ha detto: “Ho imparato da tempo a dare ascolto a questa signora”, frase che mostra la prudenza con cui il presidente affronta la questione. Biden sa infatti molto bene che il sostegno a Israele, confermato dalla recente decisione di mandare nuovi fondi militari a Gerusalemm­e, rischia di fargli perdere settori importanti di voto alle prossime Presidenzi­ali. In questo caso, il voto dei giovani progressis­ti.

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