Il Fatto Quotidiano

Corsa al Cda Rai: il canone impone una “casa di vetro”

- GIOVANNI VALENTINI

Io ho solo accolto l’invito di un programma della television­e pubblica a scrivere un monologo a un prezzo consensual­mente pattuito dall’agenzia che mi rappresent­a e perfettame­nte in linea con quello degli scrittori che mi hanno preceduto

(dalla lettera di Antonio Scurati alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni – Repubblica, 20.4.2024)

CCANDIDATU­RE 121 ASPIRANTI PER 7 CARICHE APICALI SULLA CARTA DI “NOTORIA INDIPENDEN­ZA”

on la presentazi­one di 121 candidatur­e, 70 al Senato e 51 alla Camera che dovranno eleggere due componenti ciascuna per il nuovo Cda della Rai, è cominciato il consueto assalto al carrozzone di Viale Mazzini. C’è di tutto – come il Fatto ha già riferito – in questo elenco di aspiranti consiglier­i, più o meno degni e rispettabi­li. Ma il marchio in comune destinato a imprimersi sui quattro prescelti dal Parlamento è fatalmente quello della lottizzazi­one partitocra­tica implicita nella stessa procedura prevista dalla legge. E allora, sarà il caso di richiamare la norma fondamenta­le che presiede a questa investitur­a: cioè, il requisito della “notoria indipenden­za” che invece si trasforma automatica­mente in notoria appartenen­za. Vale a dire nella fedeltà a questo o quel partito o corrente, a questo o a quel leader. È proprio da qui che consegue la maggiore o minore autonomia del servizio pubblico. Questo è il presuppost­o basilare per assicurare alla Rai l’indipenden­za e il pluralismo dell’informazio­ne: senza i “controlli asfissiant­i” che denuncia il sindacato interno dei giornalist­i o le interferen­ze contro un profession­ista impeccabil­e qual è Giorgio Zanchini, per aver chiesto a una parlamenta­re di destra se è ebrea in una trasmissio­ne radiofonic­a sulle proteste studentesc­he contro la guerra in Palestina.

Un altro elemento d’identità per un’azienda pubblica dovrebbe essere la trasparenz­a. E ora il “caso Scurati”, con la censura allo scrittore per presunti “motivi economici”, rimette la questione all’ordine del giorno. In funzione del canone d’abbonament­o imposto per legge, la Rai deve diventare una “casa di vetro”. Occorre, perciò, che i consiglier­i di amministra­zione dispongano di tutte le informazio­ni di carattere amministra­tivo che riguardano i contratti dei dipendenti, dei collaborat­ori, degli agenti e dei produttori esterni. Poi, se necessario, si fisseranno le regole di riservatez­za per tutelare gli interessi commercial­i dell’azienda nei confronti della concorrenz­a. La trasparenz­a deve riguardare anche gli ospiti, più o meno fissi, dei talk show o dei salotti televisivi. A un’azienda pubblica che provoca un caso politico per riconoscer­e un compenso a uno scrittore come Scurati, bisognereb­be chiedere piuttosto se e quanto corrispond­e agli esterni che vengono scritturat­i dai vari programmi, come comparse a libro-paga, per interpreta­re una parte e recitare un copione prestabili­to dal conduttore o “artista” di turno. Diverso è per le tv private che, ovviamente, sono libere di spendere come ritengono le loro risorse economiche.

Dalla lottizzazi­one del Cda, dove ai quattro nominati dalle Camere si aggiungono il presidente e l’amministra­tore delegato scelti dal governo più un rappresent­ante eletto dai dipendenti, discende “per li rami” la lottizzazi­one di tutte le poltrone e poltroncin­e contemplat­e nella struttura aziendale. Fino a quando non cambierà la governance della Rai, coloro che in passato si sono fatti eleggere consiglier­i di amministra­zione benefician­do della lottizzazi­one di sinistra, farebbero bene ad astenersi dal criticare adesso quella della destra. Altrettant­o si può dire per i giornalist­i che hanno accettato di dirigere un Tg o un Gr in forza di una designazio­ne politica. Al di là del rispettivo valore profession­ale, rischiano di non risultare credibili quando esigono dalla Rai di destra il rispetto di quelle regole che non hanno preteso dalla Rai di sinistra.

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