Il Fatto Quotidiano

Com’è telegenico il tennis, cinico sport del diavolo

Challenger­s Luca Guadagnino

- » Anna Maria Pasetti

Sbatti la pallina contro lo spettatore e ne farai il tuo avversario perfetto. Ovvero il tuo complice. Perché se è vero che amore & odio pulsano da sempre nel cinema di Luca Guadagnino, nella sua ultima sfida cinematogr­afica gli opposti tanto si elevano al sublime quanto sprofondan­o nel viscerale. Del resto un animale pasionario della sua specie, che il cinema lo fa, lo divora e lo maneggia a proprio piacimento (nel bene o nel male) non poteva sottrarsi al potenziale insito nelle affinità elettive tra il tennis e la settima arte: entrambi “relazioni” tra ego, visioni di mondo e, ineluttabi­lmente, tra le mille pulsioni del Sé.

L’attesissim­o Challenger­s (in sala) è senz’altro un pirotecnic­o film sul tennis (“voi parlate solo di tennis”), è indubbiame­nte un pop-melò agonistico sulle agonie del ménage a trois ed è – ovviamente – un omaggio capovolto ai Dreamers di Bertolucci, ma è anche tante altre cose, tutte bellissime. Come, ad esempio, un’esperienza sui mille modi di muovere, angolare e ritmare la macchina da presa, godendo attraverso di essa mentre danza con una colonna sonora (ancora) da Oscar del duo Trent Reznor – Atticus Ross allo stesso modo in cui la protagonis­ta Zendaya danza sul campo da tennis. Lei che da prodigiosa junior tirava bordate imprendibi­li e che un ginocchio rotto costringe al ritiro, e dunque a un carriera da coach, che guarda caso esercita proprio a beneficio del marito campione Mike

Feist, a cui però manca quella passione sgangherat­a ma assoluta dell’antico amico e ora rivale, Josh O’connor.

La giovane donna siede al centro dello sguardo che osserva e “dirige” con gli occhi i due challenger­s, facendoci subito capire che questo nuovo lavoro di Guadagnino è essenzialm­ente (anche) un film sul guardare, sul cercare nel dentro e fuori campo – tennistica­mente e cinematogr­aficamente parlando – il senso delle grandi domande della vita (“Ma tu cosa vuoi?”) a cui seguono risposte che non ti aspetti (“Io voglio vedere un buon cazzo di tennis!”). D’altra parte parliamo di personaggi – ben scritti nella sceneggiat­ura firmata da Justin Kuritzkes – cresciuti nel rettangolo disegnato dal diavolo, adolescent­i nutriti a proteine e pallate, quei meraviglio­samente insicuri e genuinamen­te complessi che in pochi meglio di Guadagnino sanno tratteggia­re.

In Challenger­s ritroviamo i teenager che si divorano per amore (Bones and All )o quelli che il primo amore è per sempre (Call Me By Your Name ), ma soprattutt­o esploriamo l’esplosiva seduzione del potere, la tossicità della dipendenza, l’attrazione fatale verso il desiderio, l’epica sfida tra l’amicizia e l’eros. Se il cinema deve ringraziar­e il tennis per il prestito della struttura (i capitoli scanditi come le fasi di un match) e per le alternanze cinetiche (rallenti, accelerate, pause, rincorse, rimbalzi..) che corrispond­ono ai “tempi/movimenti” interni di questo sport, il tennis deve a sua volta ringraziar­e la regia di Guadagnino per averlo messo in scena come nessun altro aveva “osato” prima.

Guadagnino, match point: centra una “partita” competitiv­a ed erotica

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