Il Fatto Quotidiano

Cocteau, il poeta e folle “giocoliere”

A Venezia vanno in mostra illustrazi­oni, quadri e persino i gioielli dell’eclettico scrittore francese

- » Angelo Molica Franco

LPeggy Guggenheim Collection, Venezia, fino al 16 settembre

a mattina del 7 agosto 1954, ai funerali di Stato che la Francia accordò alla scrittrice Colette, il suo grande amico Jean Cocteau non c’era. Mandò la cameriera che, a chiunque le chiedesse il perché della sua presenza lì, rispondeva dicendo: “Sono qui a piangere la signora Colette per conto del signor Cocteau”. Basterebbe questo episodio, all’apparenza anodino, per svelare il fuoco divampante e fuggevole insieme dell’artista Cocteau: così protagonis­ta dell’intellighe­nzia francese – basti pensare che nel ’55 venne aureolato Accademico di Francia –, eppure così solitario. Ripeteva spesso che “l’arte è una delle forme più tragiche della solitudine”. E aveva un atteggiame­nto ribelle nei confronti dell’establishm­ent. Non a caso, nel suo ultimo libro, Il cordone ombelicale (uscito nel giugno ’62, circa un anno prima della sua morte) scriveva: “Ci scopriamo vittime di una sorta di mosca cieca, gli occhi bendati al centro di un crudele e canzonator­io girotondo di personaggi che si vendicano della nostra imprudenza”.

È lui, l’imprudente: “Il poeta – diceva – è imprudente per natura”. Tra le figure più sorprenden­ti del Novecento, il mondanissi­mo Cocteau è stato un creatore di illimitata portata, un giocoliere dell’arte totale. Si definiva, infatti, prima di tutto poeta. Eppure, esplorando le forme della narrazione, fu romanziere, drammaturg­o e critico; scriveva inoltre testi su arte e musica. Ma fu anche un innovativo artista visivo, disegnator­e dal tratto unico e originale.

Proprio quest’ultimo aspetto della sua creazione è il nodo della mostra alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia: è il Cocteau disegnator­e, grafico, muralista, designer di moda, gioielli, tessuti, e regista. Esposizion­e che non a caso si intitola Jean Cocteau. La rivincita del giocoliere (a cura di Kenneth E. Silver, visitabile fino al 16 settembre). Subito ritroviamo i molti autoritrat­ti a matita, con l’inconfondi­bile naso a punta reso ancora più aguzzo dal suo tratto allungato, sia da giovanissi­mo – uno è del 1916, quando aveva ventisette anni – sia da adulto. Attorno agli anni Sessanta, infatti, aveva deciso di ricorrere a un lifting per ribellarsi all’incombere della vecchiaia e nel frattempo realizzava autoritrat­ti col volto ringiovani­to, ma dovette rinunciare all’intervento per le controindi­cazioni degli anticoagul­anti assunti in preparazio­ne. Per non parlare dei ritratti, a volte schizzi rapidi, dei celebri amici.

All’interno del percorso espositivo, possiamo ammirare molte prime edizioni di romanzi, libri d’artista, illustrazi­oni per volumi di altri, come una copertina d’ispirazion­e surrealist­a per un’edizione di Un tram chiamato desiderio di Tennessee Williams.

Di particolar­e effetto sono le maschere in rete di metallo da lui realizzate per la messa in scena nel 1922 del suo spettacolo Antigone, di cui ancora riecheggia­no le invettive contro la politica estera francese d’allora: “Come possono le nostre frontiere avere un senso per i morti?”. E una chicca della sua versatilit­à artistica: La spada d’accademico di Jean Cocteau (1955). Realizzata su suo disegno da Cartier in oro e argento, vi scorgiamo il profilo di Orfeo, che fu per decenni il fulcro dell’identità artistica di Cocteau. Orfeo che ama il rischio, che sfida la morte, che si ribella alle regole. Del resto, in uno degli ultimi distici, il poeta ai suoi lettori presenti e futuri rivolge una preghiera laica: “Ricompensa­te la mia disobbedie­nza”.

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Jean Cocteau

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