“Sono bizzarro: celebre per i guai più che per i testi”
“SL’anglo-indiano in “Coltello” non perdona il suo attentatore vile e ignorante
ono diventato un esemplare bizzarro, celebre non tanto per i miei libri, quanto per i guai che mi sono capitati”. È lo stesso Salman Rushdie a confessarlo nelle ultime pagine del suo memoir Coltello, in libreria per Mondadori. In effetti la sua parabola di autore – sia pure con una dozzina di romanzi variamente fortunati – sarebbe oggi decisamente più in ombra se nel 1989, in seguito alla pubblicazione de I versi satanici, non fosse stato colpito dalla fatwa dell’ayatollah iraniano Khomeini e se trentatré anni dopo, nell’estate del 2022, un giovane libanese non avesse attentato alla sua vita.
Un’opera quella dell’autore anglo-indiano da sempre all’insegna del realismo magico. Basti pensare alla dichiarazione di poetica di Due anni otto mesi e ventotto notti: esattamente Mille e una notte. Una predilezione per la storiografia fantastica, capace di trascinare personaggi reali in microcosmi immaginari, che lo ha fatalmente “tradito” con I versi satanici. Nel 1988 Rushdie – nato a Bombay nel 1947, laurea a Cambridge e pubblicitario a Londra prima di dedicarsi alla scrittura – ha quarantuno anni e il suo famigerato quinto libro racconta di due viaggiatori indiani, unici scampati a un disastro aereo, che si ritrovano trasformati l’uno in una creatura angelica e l’altro in un demone. Le loro disavventure, in una ideale lotta tra bene e male, sono intervallate da una rivisitazione parodistica di Maometto. Dopo la fatwa è costretto a un lungo periodo di clandestinità con una scorta al seguito e a camuffarsi per ragioni di sicurezza. Per anni sarà Joseph Anton (Mondadori, 2012), pseudonimo che è una crasi tra Joseph, il nome di Conrad e Anton, il nome di Cechov. Frattanto i Versi satanici si portano dietro di sé una lunga scia di sangue. Viene assassinato il traduttore giapponese del romanzo, gravemente ferito a coltellate nella sua casa milanese il traduttore italiano Ettore Capriolo, ferito a colpi di pistola l’editore norvegese. Senza dimenticare il Nobel egiziano Nagib Mahfuz, accoltellato nel 1994 da un integralista anche in virtù della sua solidarietà espressa a Rushdie. Solidarietà che mancò da più parti, anche tra i nostri letterati. Si profila come un ulteriore risarcimento la presenza dell’autore al prossimo Salone di Torino in un evento il 10 maggio nel quale dialogherà con Roberto Saviano, che ben conosce i rigori di una vita sotto minaccia.
Proprio l’incipit dei Versi satanici è menzionato in Coltello: “Per rinascere cantò Gibreel Farishta, precipitando dai cieli, devi prima morire.” Rushdie racconta che il 12 agosto 2022, appena salito sul palco dell’anfiteatro di Chautauqua, nello stato di New York, vede avvicinarsi il suo aggressore. “Sollevo la mano sinistra per difendermi. Lui ci affonda il coltello. Dopodiché ricevo molti altri colpi, al collo, al petto, a un occhio, dappertutto. Sento le gambe che cedono, e cado”. L’uso di una mano è compromesso, il nervo ottico di un occhio è lacerato, il torace sembra “la mappa di una metropolitana”. Racconta i mesi di degenza, la riabilitazione in ospedale, i dettagli delle cure mediche. Il disprezzo per il suo aggressore non conosce requie: “Aveva letto sì e no due pagine dei miei libri, aveva guardato qualche video di me su Youtube, e tanto gli era bastato”.
Il 15 agosto, tre giorni dopo l’agguato, si ha la certezza che Rushdie sarebbe sopravvissuto. Data provvidenziale non solo perché coincide con l’indipendenza dell’india ma con la nascita del personaggio di Saleem Sinai, antieroe e narratore di I figli della mezzanotte, il romanzo che lo ha consacrato nel 1981. Sinai è una specie di Forrest Gump alla rovescia: si trova presente in prima persona a tutti gli eventi cruciali della storia indiana e subisce fino in fondo guerre, faide religiose, persecuzioni politiche. “I libri scelgono i loro autori; l’atto della creazione non è interamente cosciente” ha dichiarato Rushdie. L’ultimo sospiro del moro ha un protagonista che cresce e invecchia al doppio della velocità normale, La terra sotto i suoi piedi narra di due rockstar dagli esordi al successo, La caduta dei Golden mostra la società americana in declino alla vigilia della vittoria di Trump. Un’immaginazione sempre fedele a una consegna: “Nominare l’innominabile, prendere posizione, scuotere il mondo e impedirgli di addormentarsi”.