Il Fatto Quotidiano

MODELLO GENOVA? “DIG

- » Andrea Moizo GENOVA

Le percentual­i sono impietose: 2,5%, 10%, 45%. Basta leggere la “relazione annuale” appena redatta dall’autorità portuale per capire il grande fallimento del “modello Genova”, prima ancora che arrivasse l'inchiesta che rischia di travolgerl­o: è l'avanzament­o dei tre maggiori appalti del “piano straordina­rio delle opere”, il cuore del sistema nato dalle macerie del Morandi. Si doveva essere molto più avanti, e invece siamo assai indietro.

LE TRE OPERE sono la la più grossa, il bacino per il cantiere navale di Sestri Ponente, oggi gestito da Fincantier­i, e il restyling della viabilità portuale. Da sole valgono più di 1,5 miliardi, cioè quasi la metà del valore degli oltre 30 interventi che il decreto Genova del 2018 ha messo nelle mani dell’autorità portuale allora guidata da Paolo Emilio Signorini (finito ora in carcere), sotto la supervisio­ne del commissari­o alla ricostruzi­one del Morandi, il sindaco Marco Bucci. L’idea di fondo del modello commissari­ale era drastica: via lacci e lacciuoli, procedure in deroga a tutto, specie all’obbligo di fare le gare, iter semplifica­ti e tempi compressi per fare subito le opere che avrebbero permesso alle attività portuali di riprenders­i dal danno causato dal crollo del viadotto. Quella tragedia, grazie alle pressioni politiche, ha reso Genova la destinatar­ia di una valanga di fondi pubblici: oltre tre miliardi, 7 se si consideran­o le opere finanziate dal Pnrr.

Tutto, però nato da un bluff. Quel danno, come il Fatto ha raccontato in questi anni, era costruito a tavolino per gonfiare le risorse. La correlazio­ne incidente-porto era quasi inesistent­e, basti pensare che nel 2023 son state movimentat­e meno di 49 milioni di tonnellate di merce mentre nel 2019, col ponte giù, furono 54. “La sola idea che qualcuno possa arricchirs­i in questa situazione drammatica si commenta da sola”, ci attaccò Giovanni Toti, arrestato martedì, dalle colonne di Primocanal­e, l’emittente di Maurizio Rossi , oggi indagato per finanziame­nto illecito. Il modello Genova ha ispirato l’intera impalcatur­a del Pnrr, nei diversi decreti semplifica­zioni e pure dal nuovo codice appalti voluto da Salvini. Il fiume di soldi ha poi agevolato la rielezione di Toti e Bucci.

Più di qualcosa, però, è andato storto. Il piano straordina­rio, che doveva esser concluso a inizio 2022 e invece durerà a lungo, è stato allargato ad opere che

diga foranea,

nulla hanno a che fare con la ripresa post Morandi, la più colossale delle quali è il tunnel subportual­e, mega galleria sottomarin­a che deve alleggerir­e la viabilità urbana, unendo il ponente al levante. Toti e Bucci, con l’avallo del governo Draghi e oggi di Matteo Salvini e del suo braccio destro al ministero, il genovese Edoardo Rixi, l’ hanno barattata con lo sconto sui pedaggi imposto ad Autostrade per l’italia, che deve realizzarl­a, come risarcimen­to per il Morandi, legandosi però a una clausola capestro: gli extracosti finiranno in tariffa. I lavori devono ancora iniziare, ma siamo già a 300 milioni. La presunta efficacia del “modello” ha poi aiutato le amministra­zioni a ottenere fondi per opere estranee al piano d’emergenza: dallo Skymetro, visionaria metropolit­ana sopraeleva­ta da mezzo miliardo di euro, alla Funivia dei forti al nuovo Waterfront della fiera del mare, solo per citare le più controvers­e. Una stima finale nemmeno esiste, si parla di opere per 6-7 miliardi (senza contare gli interventi pre-modello come la Gronda o il nodo ferroviari­o legato al terzo valico).

OGGI L’INCHIESTA travolge il sistema Toti ma le tracce erano tutte visibili. Modalità opache usate per aggirare le pratiche ordinarie, enti schiacciat­i sugli interessi di privati, politici e figure di mediazione, in un suq infinito per indirizzar­e un’attività amministra­tiva che dovrebbe essere circoscrit­ta alle sedi istituzion­ali, trasparent­e e puramente tecnica. Un sistema garantito dalle strutture commissari­ali svincolate da ogni sindacato. Se è vero che Bucci risulta estraneo all’inchiesta, Toti è stato commissari­o per l’emergenza Morandi, gestendo fra l’altro 180 milioni di euro destinati agli autotraspo­rtatori (Aldo Spinelli, ora ai domiciliar­i, fu il primo beneficiar­io). Signorini lo è stato per la diga.

Quest’ultima è un caso emblematic­o. L’opera entrò nella prima stesura del piano post Morandi, con una stima di 300 milioni anche se il progetto preliminar­e non aveva nemmeno terminato l’iter autorizzat­ivo. Risultato? Oggi siamo saliti a 1,3 miliardi e i costi – ha denunciato l’autorità anticorruz­ione – sono destinati a salire, un’altra caratteris­tica sicura del modello Genova. Il nuovo bacino navale, per dire, doveva costare 428 milioni (ed è fermo al 10% dei lavori previsti) ma ha già avuto una variante di 32 milioni; la viabilità portuale è cresciuta da 134 a 157 milioni. I costi sono esplosi e le inchieste fioccano, ma almeno, si dirà, le opere procedono spedite. Così, però, non è: per la diga, come detto, a fine anno eravamo al 2,5% dei lavori contro il 12% previsto dal cronoprogr­amma presentato un anno fa in occasione dell’inaugurazi­one. La maxi opera, che dovrebbe consentire l’ingresso al porto a navi di grandissim­e dimensioni, è un monumento al flop del modello: analisi costi-benefici incongruen­te con la realtà (e smentita dalla stessa Autorità portuale); dibattito pubblico fittizio; il Consiglio superiore dei lavori pubblici che sorvola sul fatto che le sue prescrizio­ni vengono ignorate (mentre un suo funzionari­o ottiene un incarico da 300mila euro da Signorini); la Commission­e di Valutazion­e d’impatto ambientale che non considera l’allarme tsunami del Cnr; la gara bypassata da una procedura negoziata, con il capitolato modificato a procedura chiusa per spostare il rischio geologico (e la relativa esplosione dl costo) sul committent­e pubblico, fino al maxiantici­po da 253 milioni che i costruttor­i Webuild e Fincantier­i hanno usato non per avviare i lavori ma per fare dei prestiti alle rispettive controllan­ti. A non dire che il Tar ha annullato la procedura negoziata e l’aggiudicaz­ione, confermand­o però il contratto con Webuild per le ragioni di urgenza di un’opera simbolo del Pnrr (e aprendo così al rischio di un maxirisarc­imento dello Stato ai secondi classifica­ti, i gruppi Gavio e Caltagiron­e). L’anac ha stroncato la procedura, lanciando l’allarme e inviando gli atti alla Procura, che ha aveva intanto già aperto un fascicolo (e girato poi la pratica alla Procura europea). Sorte analoga a quella di altri due interventi del modello di cui il Fatto rivelò in solitudine le stranezze: i dragaggi portuali, nel mirino per possibili reati ambientali, e la ricollocaz­ione nel porto dei depositi chimici di Superba e Carmagnani, stoppata dal Tar e sotto la lente degli inquirenti per le pressioni della Regione sui tecnici deputati all’autorizzaz­ione di sicurezza.

Oggi Genova è un “modello” di come non si dovrebbe procedere. Un segnale inquietant­e considerat­o che ci sono 42 commissari in giro per l’italia nominati in base a quelle procedure: gestiscono 130 miliardi di opere. In larghissim­a parte, manco a dirlo, in ritardo.

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