MODELLO GENOVA? “DIG
Le percentuali sono impietose: 2,5%, 10%, 45%. Basta leggere la “relazione annuale” appena redatta dall’autorità portuale per capire il grande fallimento del “modello Genova”, prima ancora che arrivasse l'inchiesta che rischia di travolgerlo: è l'avanzamento dei tre maggiori appalti del “piano straordinario delle opere”, il cuore del sistema nato dalle macerie del Morandi. Si doveva essere molto più avanti, e invece siamo assai indietro.
LE TRE OPERE sono la la più grossa, il bacino per il cantiere navale di Sestri Ponente, oggi gestito da Fincantieri, e il restyling della viabilità portuale. Da sole valgono più di 1,5 miliardi, cioè quasi la metà del valore degli oltre 30 interventi che il decreto Genova del 2018 ha messo nelle mani dell’autorità portuale allora guidata da Paolo Emilio Signorini (finito ora in carcere), sotto la supervisione del commissario alla ricostruzione del Morandi, il sindaco Marco Bucci. L’idea di fondo del modello commissariale era drastica: via lacci e lacciuoli, procedure in deroga a tutto, specie all’obbligo di fare le gare, iter semplificati e tempi compressi per fare subito le opere che avrebbero permesso alle attività portuali di riprendersi dal danno causato dal crollo del viadotto. Quella tragedia, grazie alle pressioni politiche, ha reso Genova la destinataria di una valanga di fondi pubblici: oltre tre miliardi, 7 se si considerano le opere finanziate dal Pnrr.
Tutto, però nato da un bluff. Quel danno, come il Fatto ha raccontato in questi anni, era costruito a tavolino per gonfiare le risorse. La correlazione incidente-porto era quasi inesistente, basti pensare che nel 2023 son state movimentate meno di 49 milioni di tonnellate di merce mentre nel 2019, col ponte giù, furono 54. “La sola idea che qualcuno possa arricchirsi in questa situazione drammatica si commenta da sola”, ci attaccò Giovanni Toti, arrestato martedì, dalle colonne di Primocanale, l’emittente di Maurizio Rossi , oggi indagato per finanziamento illecito. Il modello Genova ha ispirato l’intera impalcatura del Pnrr, nei diversi decreti semplificazioni e pure dal nuovo codice appalti voluto da Salvini. Il fiume di soldi ha poi agevolato la rielezione di Toti e Bucci.
Più di qualcosa, però, è andato storto. Il piano straordinario, che doveva esser concluso a inizio 2022 e invece durerà a lungo, è stato allargato ad opere che
diga foranea,
nulla hanno a che fare con la ripresa post Morandi, la più colossale delle quali è il tunnel subportuale, mega galleria sottomarina che deve alleggerire la viabilità urbana, unendo il ponente al levante. Toti e Bucci, con l’avallo del governo Draghi e oggi di Matteo Salvini e del suo braccio destro al ministero, il genovese Edoardo Rixi, l’ hanno barattata con lo sconto sui pedaggi imposto ad Autostrade per l’italia, che deve realizzarla, come risarcimento per il Morandi, legandosi però a una clausola capestro: gli extracosti finiranno in tariffa. I lavori devono ancora iniziare, ma siamo già a 300 milioni. La presunta efficacia del “modello” ha poi aiutato le amministrazioni a ottenere fondi per opere estranee al piano d’emergenza: dallo Skymetro, visionaria metropolitana sopraelevata da mezzo miliardo di euro, alla Funivia dei forti al nuovo Waterfront della fiera del mare, solo per citare le più controverse. Una stima finale nemmeno esiste, si parla di opere per 6-7 miliardi (senza contare gli interventi pre-modello come la Gronda o il nodo ferroviario legato al terzo valico).
OGGI L’INCHIESTA travolge il sistema Toti ma le tracce erano tutte visibili. Modalità opache usate per aggirare le pratiche ordinarie, enti schiacciati sugli interessi di privati, politici e figure di mediazione, in un suq infinito per indirizzare un’attività amministrativa che dovrebbe essere circoscritta alle sedi istituzionali, trasparente e puramente tecnica. Un sistema garantito dalle strutture commissariali svincolate da ogni sindacato. Se è vero che Bucci risulta estraneo all’inchiesta, Toti è stato commissario per l’emergenza Morandi, gestendo fra l’altro 180 milioni di euro destinati agli autotrasportatori (Aldo Spinelli, ora ai domiciliari, fu il primo beneficiario). Signorini lo è stato per la diga.
Quest’ultima è un caso emblematico. L’opera entrò nella prima stesura del piano post Morandi, con una stima di 300 milioni anche se il progetto preliminare non aveva nemmeno terminato l’iter autorizzativo. Risultato? Oggi siamo saliti a 1,3 miliardi e i costi – ha denunciato l’autorità anticorruzione – sono destinati a salire, un’altra caratteristica sicura del modello Genova. Il nuovo bacino navale, per dire, doveva costare 428 milioni (ed è fermo al 10% dei lavori previsti) ma ha già avuto una variante di 32 milioni; la viabilità portuale è cresciuta da 134 a 157 milioni. I costi sono esplosi e le inchieste fioccano, ma almeno, si dirà, le opere procedono spedite. Così, però, non è: per la diga, come detto, a fine anno eravamo al 2,5% dei lavori contro il 12% previsto dal cronoprogramma presentato un anno fa in occasione dell’inaugurazione. La maxi opera, che dovrebbe consentire l’ingresso al porto a navi di grandissime dimensioni, è un monumento al flop del modello: analisi costi-benefici incongruente con la realtà (e smentita dalla stessa Autorità portuale); dibattito pubblico fittizio; il Consiglio superiore dei lavori pubblici che sorvola sul fatto che le sue prescrizioni vengono ignorate (mentre un suo funzionario ottiene un incarico da 300mila euro da Signorini); la Commissione di Valutazione d’impatto ambientale che non considera l’allarme tsunami del Cnr; la gara bypassata da una procedura negoziata, con il capitolato modificato a procedura chiusa per spostare il rischio geologico (e la relativa esplosione dl costo) sul committente pubblico, fino al maxianticipo da 253 milioni che i costruttori Webuild e Fincantieri hanno usato non per avviare i lavori ma per fare dei prestiti alle rispettive controllanti. A non dire che il Tar ha annullato la procedura negoziata e l’aggiudicazione, confermando però il contratto con Webuild per le ragioni di urgenza di un’opera simbolo del Pnrr (e aprendo così al rischio di un maxirisarcimento dello Stato ai secondi classificati, i gruppi Gavio e Caltagirone). L’anac ha stroncato la procedura, lanciando l’allarme e inviando gli atti alla Procura, che ha aveva intanto già aperto un fascicolo (e girato poi la pratica alla Procura europea). Sorte analoga a quella di altri due interventi del modello di cui il Fatto rivelò in solitudine le stranezze: i dragaggi portuali, nel mirino per possibili reati ambientali, e la ricollocazione nel porto dei depositi chimici di Superba e Carmagnani, stoppata dal Tar e sotto la lente degli inquirenti per le pressioni della Regione sui tecnici deputati all’autorizzazione di sicurezza.
Oggi Genova è un “modello” di come non si dovrebbe procedere. Un segnale inquietante considerato che ci sono 42 commissari in giro per l’italia nominati in base a quelle procedure: gestiscono 130 miliardi di opere. In larghissima parte, manco a dirlo, in ritardo.