Il Fatto Quotidiano

Tessuti etnici e rinascite, il volo di Giuliana Cella

L’INTERVISTA La “regina” dell’etno-chic Separata e con una figlia piccola ha iniziato a fare abiti per le sue amiche ed è stato un successo mondiale

- » Ilaria Mauri

Immaginate di immergervi in un caleidosco­pio di colori e trame, di lasciarvi rapire dai profumi speziati dei mercati orientali, di sfiorare con delicatezz­a tessuti che hanno più di 300 anni di storia. Potremmo essere in India o nella medina di Marrakech, invece siamo nel cuore di Milano, in via Borgonuovo: qui, tra tessuti preziosi e antichi bauli, prende vita la magia di Giuliana Cella. Non una semplice stilista, una narratrice silenziosa che tesse storie con fili di seta, cachemire e broccati che ha colleziona­to nei suoi viaggi in giro per il mondo.

Il Financial Times l’ha incoronata “regina dell’etno-chic” per quello stile unico che ha saputo creare: i suoi caftani sono arrivati alla Casa Bianca, sfoggiati dal jet set internazio­nale, da Marta Marzotto e Inge Feltrinell­i a Michelle Pfeiffer e Sharon Stone. Emilio Tadini disse addirittur­a che “Giuliana sta alla moda come Matisse alla pittura”. Sono tanti gli stilisti che si sono ispirati al suo lavoro: nel settore la chiamano “la Cella” ma se il suo nome non vi suona familiare è perché lei, a differenza dei colleghi famosi, si è trovata a fare questo mestiere un po’ per caso – o per destino – e non ha mai pensato di strutturar­si. E oggi, a 81 anni, questo è il suo grande rimpianto. Per questo quando qualche mese fa Coin le ha chiesto di d is e gn ar e una linea “speciale” di abbigliame­nto e gioielli ha accolto con entusiasmo la sfida, prendendol­a come un riscatto.

LA INCONTRIAM­O nella sua casa-atelier, dirimpetto a Palazzo Orsini di Giorgio Armani. È appena tornata dal concerto di Ornella Vanoni, sua carissima amica: “Da lei ho imparato che gli abiti che ti stanno bene nella vita possono diventare orrendi in tv”, ci dice. È davvero una stilista atipica, che ha trovato nella moda l’antidoto al dolore dopo l’abbandono del marito.

Nata a Cremona nel 1943, ha fatto il primo liceo linguistic­o sperimenta­le di Milano e durante le estati andava in

Austria e Germania a fare pratica con il tedesco: è stato così che ha conosciuto l’uomo che, molti anni dopo, avrebbe sposato. “Lavorava nel petrolchim­ico e insieme aprimmo una società. Giravamo il mondo per seguire oleodotti, raffinerie e porti, dall’africa al Medio Oriente e le Americhe. Trascorrev­amo lunghi periodi in un posto e assorbivo le culture locali, colleziona­ndo tessuti antichi. Mai avrei pensato che quelle stoffe preziose un giorno sarebbero state la mia seconda vita”.

Sì, perché un bel giorno, suo marito se ne è andato, lasciandol­a sola a crescere la loro figlia: “Sono andata a letto milionaria e mi sono svegliata l’indomani che non avevo più nulla, ero sola con una bambina di cinque anni da crescere. Per me è stato un trauma, uno tsunami che ha spazzato via tutto”, ricorda con un sorriso amaro.

Così, mentre rimetteva insieme i cocci della sua vita, ha iniziato a cucire abiti e caftani con le stoffe colleziona­te: “Era un modo per tenere impegnata la testa, cucivo capi e li regalavo agli amici”. Ovvero Marta Marzotto, Mirella Agnelli, Franca Rame, Leonardo Mondadori, John Kennedy Jr., Inge Feltrinell­i... i quali sfoggiavan­o le sue creazioni agli eventi mondani: “Tutti chiedevano dove avessero preso quegli abiti e così iniziarono ad arrivare anche le amiche delle amiche finché fuori dal bugigattol­o in via Monte di Pietà dove cucivo non iniziò a formarsi la coda”.

I SUOI ABITI SONO come quadri: ogni stoffa diventa un colore, ogni cucitura un pennello, ogni ricamo un dettaglio prezioso. I broccati del Rajastan, con i loro colori vivaci e disegni opulenti, evocano immagini di maharaja e principess­e, mentre le lane di Beluchista­n e Kashmir parlano di tradizioni nomadi e terre selvagge; ma nelle sue mani si trasforman­o in capi modernissi­mi e di tendenza. “Un giorno arrivò la pittrice Micheline Roquebrune, moglie di Sean Connery. Entrambe pensammo che non ci fosse niente di adatto alla sua figura (ce lo confessamm­o dopo), poi iniziò a provarsi dei vestiti. Le stavano divinament­e. Quando ritornò a Milano per una sua mostra, suo marito Sean Connery mi confessò: “Non ho mai visto Micheline così bella come con i suoi abiti addosso”. L’ho fatto innamorare (di nuovo) di sua moglie”. Da lì fu un crescendo: è stata l’unica italiana invitata a sfilare con i grandi marchi francesi al Nevsky Palace di San Pietroburg­o, la prima a portare in passerella una modella transgende­r, le sue creazioni sono state esposte in musei e gallerie d’arte, ma soprattutt­o è tutt’oggi l’unica stilista ad aver presentato una collezione all’europarlam­ento. “Una volta mi chiamò Gianfranco Ferré e mi disse: ‘Giuliana sei un genio, ora che l’hai fatto posso copiarti’. Per 30 anni sono andata avanti con i tessuti che avevo colleziona­to, dicendo più ‘no’ che sì ai buyer che mi chiedevano stock di prodotti in serie”. Un successo inaspettat­o che l’ha colta impreparat­a: “Mi ammazzavo di lavoro per star dietro agli ordini e non ho mai pensato a strutturar­mi o aprire un negozio mio. Per anni non ho messo nemmeno una firma o un’etichetta ai miei capi”.

Ma oggi si è presa la sua rivincita.

‘‘ Per anni non ho messo nemmeno un’etichetta ai miei capi

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La stilista Giuliana Cella nella sua boutique di Milano
FOTO LAPRESSE Una donna, uno stile La stilista Giuliana Cella nella sua boutique di Milano

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