COME SI VIVE SULLA SCATOLA INFERNALE
Da soli a bordo di una micro barca con spazi vitali ridotti. Analisi di una vita da cani
Sei metri e mezzo di lunghezza, tra 1,5 e 2 mt di immersione (a seconda che sia un prototipo o un serie), un albero tra gli 11 e i 12 metri, e un’altezza interna che sfiora il metro e mezzo. Per diverse settimane, non meno di tre e per alcuni anche di più, la vita dei ministi si svolge all’interno di questa scatola infernale. Il pozzetto, sia alle portanti che di bolina, non appena il vento sale sopra i 10 nodi, viene spazzato dall’acqua: sui Mini non esiste il prolungamento della tuga come sugli IMOCA 60 e l’acqua invade tutto quando le velocità sono elevate. All’interno gli spazi vivibili sono pochi e angusti. Nei punti cruciali viene stivata l’attrezzatura indispensabile: vele, utensili, pezzi di ricambio, cambusa e abbigliamento tecnico. Tutto va spostato da sopravvento a sottovento, da prua a poppa, a ogni cambio di bordo o variazione di intensità del vento, lo skipper nei rari momenti di riposo si “accuccia” dove può, generalmente disteso sul fondo della barca su un cuscino o un materassino, spesso anche seduto se le condizioni non consentono la posizione orizzontale, in una scomodità generale difficilmente riproducibile su qualsiasi altra barca da regata. La navigazione quotidiana di un minista è fatta di piccoli e grandi gesti, tutti molto faticosi. Dai bisogni primari (come mangiare e dormire) in poi nulla è scontato. Inutile dire che non c’è posto per un vero wc su queste barche, ma un “comodo” secchio servirà a sostituirlo. La cambusa è un’altra fonte di sacrificio: soprattutto per la seconda tappa, imbarcare cibo fresco sarà difficile dato lo spazio che occupa e in volumi così ristretti è un lusso che non ci si può permettere: occorre lasciare spazio all’attrezzatura. Il menù degli skipper è principalmente a base di cibi liofilizzati, che occupano pochissimo spazio. Tutti i ministi però non rinunciano a qualche piccolo snack, qualche barretta energetica da stivare qua e la e da tirare fuori dopo una manovra faticosa o in un momento di abbattimento: serve a ridare energie velocemente e a tirare su il morale, piccole gioie quotidiane in una vita fatta di grandi sacrifici.
1. Quando la navigazione si fa dura e bagnata si indossa la TPS (thermal protection survival), serve a mantenere la temperatura corporea e a donare un minimo di confort nel caso in cui lo skipper sia costretto a riposarsi in pozzetto in semi veglia.
2. Tutte le manovre del mini sono adeguatamente demoltiplicate e rigorosamente rinviate in pozzetto. Lo skipper deve riuscire a eseguire quasi tutte le operazioni senza spostarsi dalla sua postazione, va a prua solo nel caso in cui deve issare una nuova vela, terzarolare il fiocco o verificare qualcosa nell’attrezzatura.
3. All’interno della barca, ingombro di attrezzature, si dorme ricavando uno spazio in base alle necessità di assetto (per esempio, più peso a prua, a poppa, sopravento).
4. Oltre a vivere a bordo, bisogna anche navigare e dunque trovare lo spazio per fare la rotta. A bordo solitamente non c’è quindi un vero tavolo da carteggio. Il punto di riferimento è il minuscolo schermo del gps non cartografico, lo skipper cerca poi un angolo dove stendere qualche carta nautica per fare dei punti e orientarsi meglio.
5. L’interno della barca dei prototipi ha un grosso ingombro in più: il sistema per azionare la chiglia basculante, fatto con una serie di rinvii e pulegge, che toglie ulteriore spazio vitale all’uomo.
6. La paratia di prua è stagna: in caso di collisione con un oggetto in quella zona dello scafo la galleggiabilita della barca non viene compromessa e lo skipper può isolare la zona. Più complessa l’eventualità di una collisione con la chiglia.