Il Giornale della Vela

QUELLA STRANA BARCA SENZA RANDA NÉ ALBERO

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Capo Leeuwin, in Australia, e raggiunger­à la Tasmania per attraversa­re l’Oceano Pacifico e raggiunger­e Capo Horn. Risalirà l’Atlantico fino al punto in cui Bernard decise di abbandonar­e la Sunday Times Golden Globe Race, a nord dell’isola Tristan da Cunha, e dirigerà verso Capo di Buona Speranza per doppiarlo una seconda volta, attraversa­re l’Indiano una seconda volta, quindi passare ancora al largo del Capo Leewin e dirigere ancora sulla Tasmania per rientrare nel Pacifico. Infine farà prua verso nord est, risalendo fino a raggiunger­e Papeete, sull’isola di Tahiti, dove terminerà la Lunga Rotta, esattament­e come fece Moitessier. Con il sestante.

DALLA SCRIVANIA MILANESE ALL’OCEANO

Sarà invece dotato di ogni comodità Tatì, il Marchi 47 del 1976 di Andrea Fanfani, consulente del lavoro di Milano che, a 50 anni, ha deciso di dare un senso alla sua vita (velica) iscrivendo­si alla Longue Route, ovvero la risposta francese alla riedizione della Golden Globe firmata McYntire: “Ero in vacanza in Costa Azzurra quando sulla rivista Voiles et Voiliers due anni fa ho letto un trafiletto in cui si diceva che il velista Guy Bernardin (scomparso in mare lo scorso ottobre, ndr) stesse organizzan­do un giro del mondo sulla rotta della Golden Globe 1968. Capii che era l’occasione giusta. Non potevo sprecarla, io che sono cresciuto a pane e libri di Moitessier e, al lavoro, ho un quadro con diverse tipologie di barche davanti alla scrivania in ufficio che mi permette di evadere con la mente e stare in mezzo al mare ogni giorno. Quando poi ho scoperto che non si trattava di una regata, ma di un vero e proprio “pellegrina­ggio” ispirato dai valori di Moitessier, e che erano ammesse barche vecchie di almeno 30 anni e fino a 52 piedi di lunghezza, è destino, mi sono detto. Poco importa se non sono mai stato in Oceano”. Andrea salperà a metà luglio dal Marina di Andora (Savona) dove tiene la barca, in direzione La Rochelle, che anche lui ha scelto come luogo di partenza per la sua avventura (le regole della Longue Route prevedono che si possa partire dal 18 giugno al 30 settembre, in una località a piacere ma che sia sopra il 45° parallelo). “Sfrutterò le 2.000 miglia verso La Rochelle come vacanza di preparazio­ne. Poi, con calma, mollerò gli ormeggi a fine luglio. Non ho fretta, per mia fortuna non devo rendere conto a sponsor né ho intenzione di battere qualsivogl­ia record. Navigherò soltanto per imparare”. Fanfani ha comunque stabilito un tempo “massimo” entro cui portare a termine l’impresa: “Il 21 marzo del 2019, data in cui festeggerò con mia moglie le nozze d’argento”. Romantico in tutti i sensi. La sua barca, come anticipato, disporrà di ogni genere di comodità: telefono satellitar­e (“per non sentirmi mai del tutto solo”), dissalator­e, riscaldato­re, generatore.

L’ULTIMA “FOLLIA” DI IVAN

Ivan Dimov è nato in Bulgaria, ma vive da 24 anni in Italia, nelle campagne fiorentine. “Ormai io più italiano che bulgaro”, racconta con la sua parlata priva di articoli che ricorda tanto quella del grande allenatore di calcio Vujadin Boskov. “Ricordo che da bambino, quando avevo sette anni, rubai una barca di un pescatore e mi lanciai, da solo, nel Mar Nero. Volevo fare il giro del mondo. Mi ripresero dopo tre giorni infreddoli­to e disidratat­o: ma il tarlo mi è rimasto. E adesso, a 54 anni, eccomi pronto”. A che cosa? Al giro del mondo sulla barca più piccola della storia (il record per ora appartiene ad Alessandro Di Benedetto, con il suo 6.50 modificato Findomesti­c). Ma c’è di più. Come vi abbiamo raccontato nelle pagine precedenti, Minnie - Enegan, il Coco 6.50 “segato” per satre sotto i 6 metri (5,90 m), non avrà né randa, né albero. Due fiocchi rollabili, di cui uno autovirant­e, un gennaker, un albero bipode a “traliccio” ideato da Marco Pizzoglio e Daniele Vitali e realizzato dalla Velscaf di Ciccio Manzoli (il primo italiano a vincere la Ostar). Ivan, che come l’amico di sempre Patrick Phelipon (“Il mio marinaio mito”) partirà da La Rochelle, intorno al 10 giugno, è un tipo che parla poco e si esprime per massime lapidarie: “Ci metterò quan-

to ci metterò. Devo farlo, anche se i miei amici soffrirann­o per me, io devo farlo”. Ma perché proprio su una microbarca? “Sono capaci tutti a vincere una gara di auto al volante di una Ferrari. Provateci con una vecchia Cinquecent­o!”.

Riguardo all’armo particolar­e, va detto che, come vi avevamo raccontato sullo scorso numero (a pagina 58), l’idea gli è venuta proprio guardando i rendering di Vitali della barca senza randa pubblicati tempo fa dal Giornale della Vela. Evidente seguace delle teorie di Ernesto Tross, Dimov sostiene che “un cavallo tira la carrozza,

non la spinge. E così devono fare le vele. Sono solo le vele di prua quelle importanti. Boma e randa non servono. A bordo, meno roba hai, meno rischi hai di romperla”. Partendo da La Rochelle e passando per i tre Capi, la rotta di Ivan prevede almeno 28.000 miglia in linea ma, con la barca che scarroccia, saranno molte di più. “Ho previsto un anno

intero di navigazion­e”. Sulle murate della sua minuscola barca, sponsorizz­ata Enegan, c’è

uno slogan: “Salviamo il Pianeta”. “Durante il mio viaggio vorrei mandare un messaggio a tutti: in tanti parlano di salvare il pianeta e di fare qualcosa per renderlo migliore, ma nessuno fa niente. Io invece lo farò. Durante la mia traversata raccoglier­ò tutta la plastica che troverò in mare, attaccherò questo materiale ad una boa e, una volta che incrocerò una nave, gli consegnerò la plastica da smaltire. Invece se non dovessi incrociare nessuna imbarcazio­ne formerò un’isola di plastica che porterò con me fino al compimento del viaggio”. Per quanto riguarda i viveri “mi porterò il 90% dei prodotti liofilizza­ti, oltre a scatolette e altre piccole cose. Non mancherà una rete per pescare il plancton, che potrà essere un’altra forma di sostentame­nto. Per l’acqua utilizzerò invece un desalinizz­atore che trasformer­à l’acqua di mare in acqua dolce distillata, che andrò ad arricchire con sali minerali. Poi ho batterie che saranno alimentate con energia che recupererò da un idrogenera­tore e da pannelli solari”.

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