UOMO A MARE!
Come alla Rolex Middle Sea Race un bravo equipaggio ha recuperato un membro finito in acqua. Vi spieghiamo poi come affrontare situazioni di pericolo con la vostra barca senza avere problemi. Con i consigli di un grande esperto
La storia dell’uomo a mare alla Middle Sea Race e i consigli su come cavarsela con mare grosso
Il mare grosso può giocare brutti scherzi. Lo sanno bene i ragazzi del Neo 400 Neo Zero di Paolo Semeraro, che si sono trovati a gestire la più brutta delle emergenze possibili: l’uomo a mare dopo una straorza tra le onde alla Rolex Middle Sea Race (di cui vi parliamo da pag. 109). Ci siamo fatti raccontare l’episodio da colui che è finito in acqua e da chi era a bordo e ha partecipato alle manovre di recupero, corredando il racconto con le foto, che documentano il colpo di vento, di un’altra barca italiana il J122 Joy di Giuseppe Cascino. E poi, traendo spunto dalla vicenda, vi spieghiamo, con l’aiuto di un esperto navigatore, come cavarsela in barca quando il mare picchia.
“L’UOMO A MARE SONO IO” Prime luci dell’alba, il Neo Zero naviga 20 miglia a nord di Pantelleria con un vento tra i 30 nodi di base e punte oltre i 40, con onde intorno ai 4 metri di cui alcune incrociate, due mani di terzaroli alla randa e fiocco 3 a prua. La barca al lasco ha una velocità base intorno ai 15 nodi, con punte in planata oltre i 22. L’equipaggio sta tirando forte per cercare di recuperare un po’ di strada persa nella parte iniziale di regata, e ci sta riuscendo. Nicola Cimbro Stedile, velista professionista, è il prodiere del Neo. In quel momento, legato alla jack line (linea di sicurezza) e con giubbotto indossato, si reca a prua per mettere in chiaro una drizza. Essendo l’equipaggio organizzato in turni, Nicola non fa solo la prua ma in manovra si occupa di gestire la scotta randa. In quel momento viene chiamata la strambata e Nicola corre verso poppa lungo la jack, si slega per alcuni secondi perché deve rientrare in pozzetto, raggiungere il winch randa sul bordo opposto e riagganciarsi all’altra linea di sicurezza. “Sono rientrato in pozzetto sganciandomi per pochi secondi dalla linea per raggiungere il winch sul lato opposto, sulla scotta che dovevo obbligatoriamente gestire per trovarmi nella giusta posizione, sopravento, al cambio di mura. Navigavamo mure a sinistra, rientro ov-
viamente dal lato sopravvento, entro in pozzetto e mi dirigo al winch sottovento che dopo il cambio di mura sarebbe stato il nuovo sopravvento. Ma quello era il momento giusto per strambare per una pausa tra le onde e la manovra parte a grande velocità. Decidiamo di cambiare mure virando per potere gestire meglio le volanti con quel vento e quell’onda e manovrare più in sicurezza. Tutto avviene in pochissimi secondi, la barca va all’orza, cambia mura, lasco randa, afferro l’ombelicale per riagganciarmi e in quel momento sento qualcuno che grida “Questa è grossa”. Io non la vedo arrivare, so solo che è piombata a bordo una montagna, la barca viene letteralmente ribaltata e volo sottovento, sbatto violentemente contro le draglie passando attraverso, afferro la scotta randa in acqua ma non riesco a tenerla e in quel momento si gonfia il giubbotto e realizzo che questa volta tocca a me, sono ufficialmente l’uomo fuori bordo”.
“CIMBRO NON È PIÙ A BORDO!
Momenti concitati, con il racconto di Nicola che si incrocia con quello di Francesco Bertone, velista professionista, che guarda da bordo quello che sta
succedendo: “Andavamo bene in andatura, velocità 15 nodi in media, picco massimo 22.7 ma era comunque molto delicato “guidare” la barca. Io finisco il mio turno al timone, è entrato al timone Paolo Semeraro e io sono andato a riposare un attimo, ho tolto la cerata ma ho tenuto gli stivali addosso. Ad un certo punto mi hanno chiamato per strambare, ho sentito che avevano urgenza allora son corso fuori in mutande, ma con stivali e ovviamente cintura. Abbiamo fatto la strambata virando. Eravamo in sei in pozzetto: io e Luca Pierdomenico alle scotte, Nicola ‘Cimbro’ Stedile, Piero Riccetti e Manolis alle volanti, Paolo Semeraro al timone. Abbiamo completato la virata senza problemi, abbiamo poggiato, ci siam rimessi in poppa e in quel momento dietro di noi si è alzata un’onda gigantesca, enorme, mai vista così, che ha franto sopra di noi. Io l’ho vista bene e ho avuto tempo di pensare: questa ci ribalta. Ha preso la barca dandole un colpo come se fosse stata investita da delle pietre. La barca si è ribaltata e intraversata subito. Una massa d’acqua ci ha ricoperto. Io ero sottovento e legato, quindi stavo sottacqua. Quando ci siamo raddrizzati Cimbro non era più a bordo”.
LA REAZIONE DELL’EQUIPAGGIO
Nicola in acqua vede la barca allontanarsi ma l’equipaggio reagire: “La sensazione terribile è realizzare lucidamente di essere in acqua, ma ho visto subito i ragazzi reagire, sentivo le loro voci. Ho visto l’AIS del giubbotto, collegato a quello della barca, lampeggiare e sapevo che in quel momento tutti gli allarmi di bordo stavano suonando. Ho sentito qualcuno da bordo gridare “Non lo vedo” e li è stata veramente dura, ma per fortuna sono riuscito a stabilire un contatto visivo con Luca Pierdomenico, che non mi ha perso di vista un attimo. Alzavo il braccio e lui faceva la stessa cosa. I ragazzi hanno avuto una reazione pazzesca, da manuale, ho visto che andavano subito al vento e ammainavano, portandosi sopravvento a me. In quegli istanti ti passa in mente di tutto, sarò stato in acqua 20 minuti ma sono sembrati un’infinità. Vedo la barca che si posiziona sopravvento e inizia a scarrocciare verso di me come è giusto che sia. Ma non è certo semplice controllarla in scarroccio e con quelle onde, arriva veloce verso di me, praticamente finisco sotto la carena ma con un colpo di reni e piedi riesco a riemergere in falchetta e in quel momento i ragazzi sono pronti con la cima e mi tirano su”. Il racconto da bordo lo prosegue ancora Francesco Bertone: “Cimbro è stato in vista un po’, ma comunque la barca, anche con vele che sbattono, fa tanta strada. Quando siamo riusciti ad ammainarle, Cimbro sarà stato a 200-300 metri, che sono davvero tantissimi. Io non lo vedevo, ma Luca Pierdomenico ha cercato di non perderlo mai d’occhio. Siamo riusciti a virare e iniziare a scar-
rocciare sulle altre mura. Praticamente gli siamo ritornati sopra scarrocciando. Cimbro ha anche nuotato per portarsi più vicino, arrivato sotto l’abbiamo preso, non semplice visto che con 40 nodi la barca scarroccia veloce e lo mette sotto, ma con una cima l’abbiamo tirato verso poppa e ripreso a bordo”.
FARSI TROVARE PREPARATI È TUTTO!
Ci tiene a precisare Stedile: “A bordo tutto era stato revisionato alla perfezione e le attrezzature di sicurezza preparate in maniera capillare, una regata come la Middle si affronta così, e in generale il mare si affronta così. Io avevo indossato il giubbotto correttamente, regolandolo bene sulle cosce e nonostante fossi vestito di tutto punto con cerata e stivali riuscivo a nuotare perché il giubbotto era indossato correttamente. Ma soprattutto le procedure per le emergenze come queste vanno studiate, non si può improvvisare, perché studiare le procedure e metterle in pratica come hanno fatto i ragazzi guidati da Paolo Semeraro ti salva la vita, l’improvvisazione no. In ultimo una parola per la barca, preparata ottimamente e ha retto alla grande. Il mare è bellissimo, ci da molto, a me da anche un lavoro, ma può anche toglierti tutto in un attimo, è una questione di frazioni di secondo, se quell’onda fosse arrivata due-tre secondi dopo io ero legato e non stavo qui a raccontare quest’esperienza. Farsi trovare preparati è tutto”.
COME CAVARSELA CON MARE GROSSO
Come dare torto a Stedile? La preparazione della barca è importante: come è importante la “conduzione del mezzo”. Per spiegare come farlo al meglio, ci viene in aiuto un bel libro (uscito da poco) del navigatore britannico Tom Cunliffe, “Lo Skipper Oceanico” (Nutrimenti, 296 pp., 21,95 euro).
MEGLIO NAVIGARE ALLE PORTANTI! Innanzitutto, è bene specificare che, quando il
“In condizioni di tempesta, la gassa d’amante sulla bugna di un fiocco che sbatte può essere comparata all’impatto del manico di un piccone”
mare picchia duro, tra le tecniche “attive” (le passive sono quelle che prevedono il “lasciare passare” la tempesta, come mettersi alla cappa, con o senza vele) la navigazione alle portanti è quella più sicura perché, sostiene Cunliffe, la riduzione del vento apparente fa sì che i carichi sulle vele e l’attrezzatura siano minori (diminuendo i rischi di rotture). Scrive: “Se si presentano problemi inattesi, come l’inceppamento del meccanismo del rollafiocco o, semplicemente, una vela di prua grande che risulta difficile da rollare, la tendenza naturale di chi ha iniziato a navigare sulle derive è quella di mettere la prua al vento e lasciar fileggiare le vele”. Ma il problema è che, “con una barca più grande, le vele non si limitano a fileggiare, ma sbattono violentemente”. Con condizioni di tempesta, la gassa d’amante sulla bugna di un fiocco che sbatte “può essere comparata all’impatto del manico di un piccone”. È pericoloso, quindi andare al vento, senza contare le spaventose sollecitazioni sull’armo. Meglio fuggire le onde e il mare: “Questo riduce anche la violenza del moto della barca, mentre la randa completamente lascata garantisce un discreto riparo dal vento per chi debba lavorare (sempre legato alla jackline, inteso, ndr) in coperta a prua”. Ovviamente, la navigazione alle portanti con mare grosso e “ventone” è la più sicura ma non è certo facile.
OCCHIO AL PIANO VELICO
Ed è qui che entra in gioco il “manico” del timoniere: ovviamente diamo per scontato che dovrete prendere il controllo della barca perché il pilota automatico (a meno che non sia un modello “oceanico” di ultima generazione) faticherà a seguire le continue variazioni di rotta previste in questo tipo di navigazione impegnativa e la straorza, o la strapoggia con strambata involontaria, saranno assicurate. Innanzitutto, per una barca da crociera l’andatura in poppa “in condizioni di sicurezza con tempo moderatamente cattivo richiede il controllo della velocità”, spiega Cunliffe: “In genere questo significa evitare di essere troppo invelati, anche se le imbarcazioni più leggere e, soprattutto, quelle con sezioni piatte a poppa, potranno decidere di iniziare a correre e planare sulle onde”. Man mano che il vento aumenta “e si sono prese tutte le mani di terzaroli, prima o poi dovrà essere presa una decisione riguardo a tirare giù tutte le vele tranne una... la tormentina, tuttavia alcune imbarcazioni navigano in poppa in modo più stabile con la randa e tre mani di terzaroli, a condizione che il boma sia tenuto stabile dal vang e da una ritenuta”.
SE IL VENTO AUMENTA: A “SECCO DI VELE”
Se il vento continua ad aumentare, dovrete am- mainre anche la tormentina e navigare sfruttando soltanto la presa al vento offerta dall’albero, dalla mastra del pozzetto, dalla tuga e da qualsiasi altra superficie piatta. “Di fatto, una tipica imbarcazione da crociera moderna riuscirà a governare in poppa, a secco di vele e con acque relativamente calme, fino a forza 6”. In una tempesta vera e propria, vi stupirete delle velocità che riuscirete a fare. Ovviamente c’è uno svantaggio, nella navigazione a secco di vele: se vi distrarrete e la barca si traverserà, sarà difficile ritornare in poppa. Potrebbe essere necessario aiutarvi con il motore o srotolare una piccola porzione di fiocco. Se le straorze e le strapogge avvengono di continuo perché il vento è aumentato ancora e la barca, pur senza vele, plana, per mantenere il controllo la prima soluzione è quella di filare a poppa grosse cime che vi rallentino, la seconda è quella di ap-
prontare a poppa l’ancora galleggiante oppure una spera con coni galleggianti (uno sviluppo dell’ancora galleggiante, che prevede 100 piccoli coni disposti lungo un nastro che misura da 73 a 113 metri). Se la trazione esercitata dal dispositivo risulta comunque troppo bassa e c’è il rischio di straorzare, nulla vi vieta di issare la tormentina. La trazione aumenterà di molto senza sollecitare troppo la barca.
L’ORZA-POGGIA DI BOLINA CON ONDA
Qualora il contesto non vi permettesse la navigazione alle portanti (e dato per scontato che un’eventuale navigazione con onda al traverso è un suicidio, perché esponendo il fianco al mare al primo frangente ripido rischierete la scuffia) e doveste quindi bolinare con vento e mare, sappiate che con una barca moderna (anche da crociera), con lo scafo più reattivo rispetto ai movimenti del timone, dovrete “poggiare rapidamente (di circa 10/20 gradi, ndr) quando la barca raggiunge la cresta di ciascuna onda. In questo modo si evita di sprofondare direttamente dalla cima al fondo del cavo dell’onda successiva, precipitando come un sasso e mettendo a rischio l’equipaggio” quando l’imbarcazione batte il fondo piatto nel cavo dell’onda, “duro come il cemento. Questi forti impatti non aumentano soltanto il rischio di danni strutturali, ma rallentano fortemente l’imbarcazione”. Se state navigando a vela con molta potenza, potete orzare leggermente al di sopra della rotta ideale, senza perdere troppa strada, quando vi arrampicate sulla facciata dell’onda successiva. “In questo modo si segue una rotta media che corrisponde alla bolina stretta. Un sistema efficace, ma stancante” Sul lungo periodo, quindi, dovrete sperare di avere a disposizione un equipaggio esperto per darvi il cambio ma come sempre la calma e la preparazione giocheranno a vostro favore.