FRONTE DEL PORTO
Ambrogio Beccaria trionfa alla Mini Transat centrando uno storico risultato per la vela italiana. Una vittoria che parte da lontano, dal 2014, in quel capannone di La Spezia dove riparava il suo primo Mini in compagnia di un’“ex” amica
Ambrogio Le Roi
Quando “Bogi” vinse la Les Sables – Les Acores scomodammo un paragone con il ciclismo definendolo “Dantesco”, citando la prima pagina de L’Equipe del 10 luglio 2014 dedicata a Vincenzo Nibali, eroe di quella quinta tappa del Tour de France all’inferno, sotto la pioggia e il fango sul pavé della Roubaix. Ambrogio Beccaria adesso è entrato nella storia, ha vinto la Mini Transat (la mitica transatlantica in solitario sui Mini 650, più di 4.000 miglia da La Rochelle ai Caraibi con stop alle Canarie) nella categoria Serie, con il tempo nella seconda tappa di 13 giorni, 1 ora, 58 minuti e 48 secondi, dopo avere vinto anche la prima. È il quarto velista non francese nella storia della regata (dal 1978) a riuscirci, il primo italiano: un risultato che
verrà ricordato come uno dei più importanti della nostra vela.
“Un’emozione incredibile, sono cinque anni che inseguo questo risultato ed è diventato realtà, è la prova che il lavoro e la passione misti insieme fanno un mix esplosivo. Ho timonato tanto, facevo delle belle medie e mi sono gasato, avevo una velocità clamorosa”, queste le prime parole appena giunto a terra. E allora ci fa piacere scomodare anche un’altra citazione dal mondo del ciclismo, questa volta ancora più storica e musicale. “E i francesi ci rispettano, che le balle ancora gli girano…Tra i francesi che si incazzano, e i giornali che
svolazzano”. Cantava così Paolo Conte in Bartali, immaginando un tifoso italiano del dopoguerra che aspettava spuntare da quella curva “quel naso triste da italiano in gita”.
E quel tifoso adesso siamo un po’ tutti noi velisti italiani, che aspettavamo da anni una vittoria
di un velista nostrano così prestigiosa. Forse, senza nulla togliere agli atleti italiani che in questi anni hanno ottenuto risultati importanti, stiamo aspettando da quasi 20 anni (dalle medaglie olimpiche di Sydney 2000) una soddisfazione simile e adesso è arrivata grazie a questo ragazzo classe 1991. Questo giovane velista che nel 2015 scoprimmo a lavoro in un capannone di La Spezia. Aveva recuperato un Mini semi distrutto, il Pogo 2 con cui aveva fatto naufragio Ian Lipinski alla Transat del 2013. Lo rimise a posto con quella che ai tempi era solo un’amica e sarebbe diventata la sua compagna, Vittoria Ripa di Meana. Quattro anni fa era uno studente, oggi è un Ingegnere Navale, con svariate migliaia di miglia in solitario alle spalle e il suo nome è scritto a chiare lettere nel palmares della Mini Transat. Perché Ambrogio ha vinto? E perché lo ha fatto rifilando
una della “batoste” più clamorose della storia della vela oceanica agli specialisti francesi, trionfando con 100 miglia - un’eternità - sul secondo? Ha vinto perché probabilmente ha sempre avuto le idee chiare. Lui non voleva partecipare, voleva competere ai massimi livelli.
“Sono un tipo competitivo, non mi accontento”, ci disse nella prima intervista che gli dedicò il nostro Giornale che poi lo avrebbe incoronato Velista dell’Anno 2018. Ma una cosa è dirlo a parole, altro è mettere queste intenzioni in pratica. Ambrogio in quegli anni metteva da parte il 90% del suo stipendio di skipper, per investirlo su una buona barca veloce, come il Pogo 2 con cui prese parte alla Mini Transat del 2017. Beccaria capì che per essere competitivo occorreva andare a conoscere i migliori e imitarli. Si fecero sempre più frequenti le sue puntate in Atlantico, in quel posto magico che si chiama Lorient e intorno al quale ruota il meglio della vela oceanica mondiale. Soggiorni francesi sempre più lunghi, sia per allenarsi che per partecipare alle regate con i
“NON VOLEVA PARTECIPARE, VOLEVA COMPETERE AI MASSIMI LIVELLI”
migliori. Grazie anche ai primi sponsor che lo affiancarono, perché Ambrogio ha la capacità di essere credibile: non solo sogni ma anche la visione di una strada concreta da percorrere per ottenerli. E poi in mare è forte, perché alla fine gli sponsor ti seguono anche perché dimostri di essere in grado di ottenere dei risultati. E nella sua vittoria c’è forse anche molto del suo essere ingegnere. Non è un caso che alcuni dei navigatori oceanici più importanti lo siano, come per esempio François Gabart e Armel Le Cleac’h (gli ultimi due vincitori del Vendée Globe). Perché il talento è importante, ma se a questo aggiungi la conoscenza della fisica, della matematica e della meccanica, nella vela, in questo tipo di vela che guarda sempre più al futuro, hai una marcia in più. Insomma, navigare in mare è fondamentale, ma studiare è importante. E allora nulla accade per caso. Ambrogio partiva da favorito per questa Transat 2019, lo sapeva lui e lo sapevano i suoi av
“PARTIRE DA FAVORITO SIGNIFICA ESSERE IN GRADO DI GESTIRE LA PRESSIONE”
versari che lo rispettavano e lo temevano. Quegli skipper francesi che per tutto l’ultimo anno si sono allenati con Beccaria sapevano quanto fosse veloce, quanto minuziosa fosse la conoscenza di Bogi della sua barca e il livello perfetto di “tuning”, di regolazioni di fino, a cui era arrivato. Sapevano quanto minuzioso e centrato fosse stato lo studio del programma vele di Geomag, sviluppato con la North Sails che lo segue fin dagli esordi del 2015 (prima con il disegnatore Giovanni Sanfelice in Italia poi con gli specialisti francesi della North di Vannes). Ma partire da favorito, e vincere già la prima tappa, significa anche essere in grado di sopportare una pressione enorme, che può schiacciarti nei momenti in cui devi prendere le decisioni importanti sotto stress, nei momenti in cui in Atlantico
Bogi ha “picchiato duro” su Geomag, tenendo delle medie di miglia nelle 24 ore impressionanti. E anche negli ultimi due giorni, poco prima dell’arrivo in Martinica, Ambrogio ha dimostrato di sapere gestire la pressione, quando ha capito che era fatta e che non doveva strafare ha alzato forse leggermente il piede dall’acceleratore, ben conscio che la vela è uno sport meccanico e la sua Geomag fosse ormai “stanca”, dopo una traversata oceanica vissuta al “limite”. E allora goditela Ambrogio, goditela sul serio. La vittoria probabilmente ti lascerà inizialmente una piccola sensazione di vuoto e di smarrimento, come quando per lungo tempo hai inseguito qualcosa e quando la ottieni ti sembra di perdere quell’equilibrio che ti ha tenuto in piedi in questi anni di planate oceaniche. Ti chiederanno: “e adesso che fai”? Come quando ti laurei e tutti sono ansiosi di sapere i tuoi programmi futuri. Adesso per te è “estate” Ambrogio, è tempo di divertirti, di riposare, hai la fortuna di poter scegliere cosa fare e di prenderti una pausa, riflettere per ritrovare le giuste motivazioni. Complimenti Bogi, e grazie.