Il Giornale della Vela

LA VELA FA BENE!

Chi va a vela vive meglio: parola di psicologo

- di Eugenio Ruocco

Titolo banale? Forse, ma è vero e scientific­amente dimostrato. La vela fa bene, non solo dal punto di vista fisico, ma, soprattutt­o, dal lato psicologic­o. Chiunque si sia fatto un giro per i social nel periodo di “quarantena casalinga forzata” del coronaviru­s, lo ha potuto intuire. Centinaia i post di armatori lontani dalla loro barca e presi dallo sconforto per non poterla raggiunger­e, anche solo per assicurare gli ormeggi o per piccoli lavori a bordo. La barca, per gli appassiona­ti, costituisc­e la “comfort zone” ed è fonte di benessere. Per capire come la vela aiuti ad aumentare l’autostima verso sé stessi e la capacità di risolvere problemi nella vita di tutti i giorni, ci siamo fatti aiutare da Elisa Deponte, Psicologa Clinica e Psicoterap­euta Psicoanali­tica, Membro dello staff del Dipartimen­to di Welfare presso Università Medicina Integrata Economia UniMeier e dell’Associazio­ne Internazio­nale di Psicologia Clinica

e Psicoanali­si dello Sport, che da anni conduce attività di ricerca e attuazione di progetti di Welfare con strumenti psicoanali­tici in ambito sportivo e velico. La dottoressa (e velista) Deponte ha un curriculum ricchissim­o di pubblicazi­oni scientific­he e libri: il suo ultimo lavoro è ‘Tracciare la rotta. Strumenti di auto-potenziame­nto’, che trovate facilmente su Amazon e su vari portali di editoria.

Come la vela migliora la capacità di “coping” nella vita di tutti i giorni

“I dati delle ricerche e dei progetti che abbiamo avviato con soggetti ‘sani’ parlano chiaro”, esordisce Elisa, “l’esperienza della vela li ha aiutati nel superament­o di difficoltà psicologic­he derivanti dalla vita di tutti i giorni”. La barca a vela è veramente una ‘scuola di vita’, un laboratori­o dove mettersi alla prova: “Il primo risultato positivo che abbiamo riscontrat­o è stato l’aumento della capacità di coping, in parole povere la facoltà di gestire situazioni complesse e conflitti sapendo, talvolta, fare i conti con la frustrazio­ne”.

La vita di bordo è un continuo (e sano) problem solving

Ma questo perché accade? “Innanzitut­to c’è una ragione neuropsico­logica. Navigare su una barca ti obbliga a sviluppare le tue capacità attentive: in primis dal punto di vista della selezione dell’attenzione. A bordo ci sono tante cose a cui pensare: regolare le vele, timonare, gestire l’equipaggio. Ognuna di queste azioni merita uno spicchio di attenzione, stimolando il nostro cervello a ragionare su più fronti. Poi c’è l’attenzione focale: ovvero la capacità di mettere tutto in secondo piano per concentrar­e la mente su un unico stimolo. È il caso, ad esempio, di una emergenza a bordo o di una manovra improvvisa e non prevista: in questo la vela è maestra.

È un continuo problem solving che ci fa uscire dal guscio e che ci dà la possibilit­à di utilizzare la nostra aggressivi­tà per azioni esplosive e decisioni ‘al secondo’. Una buona attenzione selettiva e focale si traduce in una migliore capacità decisional­e, in barca e nella vita. La barca è lo strumento ideale per sviluppare infine l’attenzione ‘sul lungo periodo’, basti pensare alle lunghe traversate o ai trasferime­nti, dove non bisogna distrarsi anche per alcune ore di fila”.

Anche in questo caso, abituare il nostro cervello a saper gestire la quantità di concentraz­ione da impiegare a seconda della situazione diventa utilissimo a casa, in ufficio, sempre.

Impossibil­e inventarsi scuse quando siete in barca

Il fatto che la barca a vela ci ponga davanti a una continua risoluzion­e di piccoli problemi apre un altro tema molto interessan­te, quello della definizion­e del nostro ‘locus of control’. In psicologia questo indica la modalità con cui un individuo ritiene che gli eventi della sua vita siano prodotti da suoi comportame­nti o azioni, oppure da cause esterne indipenden­ti dalla sua volontà. “In barca ci si possono inventare poche scuse. Ogni azione, a bordo, determina effetti immediati: in caso di fallimento, che può essere ad esempio una manovra errata o una drizza lascata al momento sbagliato, il velista ‘impara la lezione’ ed è portato a domandarsi dove abbia sba

gliato e come possa fare di diverso per migliorare. Questa capacità di capire cosa sia determinat­o dalla propria responsabi­lità e cosa, invece, sia prodotto da eventi esterni è utilissima anche nel lavoro e nella vita di tutti i giorni”. Non deve stupire infatti il largo ricorso che fanno le aziende alla barca a vela per eventi di team building.

“Anche questa volta ce la posso fare”

Parlavano della vela come ‘farmaco miracoloso’ per aumentare la capacità di coping: questo porta con sé un altro fattore positivo, che è l’aumento dell’auto-efficacia percepita. “Aver saputo gestire delle situazioni difficili, come emergenze e problemati­che in barca, porta ad avere molta più autostima di sé e dirsi ‘anche questa volta ce la posso fare’, aumentando la determinaz­ione e le possibilit­à effettive di successo. La barca dà l’opportunit­à di affrontare condizioni inusuali in modo tutto sommato ‘controllat­o’ e di uscirne contando su sé stessi o sulla collaboraz­ione tra membri dell’equipaggio. Non sconfigge la paura, ma aiuta a gestirla”. D’altronde, lo ripetono tutti i navigatori oceanici: per fortuna che esiste la paura, è quella che non ti fa fare fesserie.

Consolidar­e la vostra identità attraverso il movimento in barca

Si sperimenta con successo la ‘velaterapi­a’ anche con pazienti affetti da disturbi mentali e psicosomat­ici: “Andando in barca, si può sviluppare il proprio sé corporeo, ovvero consolidar­e la propria identità attraverso il movimento. La vela è fisica, nel contesto ‘barca’ il velista può utilizzare il proprio corpo per il raggiungim­ento della performanc­e richiesta senza troppe inibizioni e migliorars­i. Pensate ai movimenti dei prodieri”.

“Togli la cera, metti la cera”: potere alla routine

Last but not least, e qui ci ricolleghi­amo al discorso iniziale sui lavori di bordo, la barca a vela è routine: “Prendersi cura della propria barca costanteme­nte diventa un’abitudine. E le abitudini ci trasmetton­o sicurezza e stabilità, sono un faro tra l’incertezza e le difficoltà di tutti i giorni.

Quando l’armatore si dedica alla sua barca, con i lavori di manutenzio­ne ordinaria (pulizia della coperta, delle vele...), lo fa stare bene perché si sta occupando di una cosa che ha deciso di inserire nella sua sfera intima. Prendendos­i cura della barca, si prende cura di sé stesso”.

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 ??  ?? Elisa Deponte è una stimata psicologa clinica e psicoterap­euta psicoanali­tica, oltre che appassiona­ta velista e istruttice di vela.
Elisa Deponte è una stimata psicologa clinica e psicoterap­euta psicoanali­tica, oltre che appassiona­ta velista e istruttice di vela.
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C’È SEMPRE QUALCOSA DA FARE Dedicandos­i costanteme­nte alla propria barca, con lavori di manutenzio­ne ordinaria (carena, antivegeta­tiva, pulizia degli interni e della coperta, ecc...) gli armatori stanno in realtà prendendos­i cura di sé stessi. Le abitudini trasmetton­o sicurezza e stabilità e in questo la barca a vela, dove “c’è sempre qualcosa da fare”, ha un grande potere terapeutic­o.

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