Il Giornale della Vela

CI VUOLE PAZIENZA ...a fare mille miglia di bolina in Atlantico (con un 9 metri vecchio di 50 anni)

Qua ndo l'Oceanochia­ma 6 difficile non rispondere. Vi racconto la mia traversata da Capo Verde a Madeira Diciannove­giorni ci navigazion­e non stop in due in Oceano Atlantico su uno Scampi 30 del1971. Non senza problemi

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Che nome si può dare a una traversata Atlantica in verticale? Cioè, non da est a ovest o viceversa. Una “traversata” piuttosto particolar­e, a dire il vero, soprattutt­o per il periodo dell’anno. Mille miglia in bolina nell’Oceano Atlantico tra dicembre e gennaio quando l’Aliseo soffia per andare ai Caraibi. Se invece la rotta va da Mindelo (Capo Verde) su fino a Porto Santo, piccola isoletta vicino a Madeira (Portogallo), beh, non resta che bolinare: 19 giorni di navigazion­e non stop per fare, in linea d’aria, oltre 1000 miglia. La barca? Uno Scampi 30 del 1971, Shalom II. Ritornando alla domanda iniziale capirete bene che “traversata” non va bene perché non rende la fatica del risalire a nodi e tre di media. E lasciamo subito perdere “risalita” che sa di impianto sciistico. Allora eccoci qui a raccontarv­i di una “salmonata” oceanica (quale nome più adatto?) contro corrente, onde e vento. A bordo Giovanni “Gianni” Chiappino, anni 54, armatore e instancabi­le giramondo, ed io, Gregorio Ferrari, anni 22, al battesimo in Atlantico.

Premessa. Io e Gianni prima di quest’avventura insieme non ci conoscevam­o. “Sai, ho incontrato una persona giù a Capo Verde, ha bisogno di una mano a portare la barca su, possibilme­nte in Mediterran­eo”. A parlare qui è il velista oceanico Matteo Sericano. Stiamo chiacchier­ando davanti a un the in un’uggiosa giornata di novembre. Matteo è appena tornato da Sao Vicente (Capo Verde) dove è stato costretto a ripiegare dopo aver rotto la chiglia del suo Mini 650 durante la Mini Transat. La prospettiv­a non mi dispiace, anzi. Ci rifletto per due minuti abbondanti e maturo una decisione. “Ciao Gianni, sono Gregorio. Posso essere lì per il 12 dicembre”. “Perfetto – mi risponde – inizio a preparare la barca. A presto”. A questa conversazi­one seguiranno ore e ore di chiamate serali per discutere finestre meteo, armo, rotte seguibili e cambusa, fino al giorno X. Arrivo a Sao Vicente il 12 dicembre e passiamo una giornata di frenetici preparativ­i. Il momento è propizio per partire. Ancora non sappiamo che saranno 19 giorni di bolina nuda e cruda, con sorprese, rotture nel cuore della notte, venti previsti e poi mai visti, tante, tantissime stelle e pure un po’ di sfiga. Un primo velato indizio lo abbiamo dopo aver mollato gli ormeggi, il 13 dicembre a mezzanotte. Oltre ad avere il vento in faccia, tanto per prenderci subito la mano, il timone a vento si incastra nella trappa di una barca vicina, facendo saltare il fusibile che tiene in acqua la pala. A bordo con noi, c’è anche la mitica Yuki, uno yorkshire di 8 anni che in barca sta meglio che a casa.

Dopo aver rimesso a posto il timone a vento, che per le prime ore rimarrà inutilizza­to, ci lanciamo carichi di adrenalina nel buio della notte con un vento a 20-22 nodi che dovrebbe farci bolinare veloci. Dovrebbe, sì, perché siamo nel canale tra Sao Vicente e Santo Antao dove la corrente ci fa sudare ogni millimetro e non riusciamo a stringere il vento quanto vorremmo. L’onda alta completa l’opera. Il bilancio della prima giornata è di 80 miglia percorse e 40 miglia tra noi ed il punto di partenza. Dimenticav­o di dire che l’obiettivo alla partenza era il porto di Almeria, nel sud della Spagna, poco dopo Gibilterra.

Come anticipato nell’introduzio­ne, non ci arriveremo mai, ma ci fermeremo prima.

La giornata segue la falsa riga e per la prima volta in “carriera” sperimento una sensazione nuova. Il mal di mare. Questo piccolo grande inconvenie­nte mi accompagna per circa due giorni relegandom­i tra pozzetto e cuccetta. Tutto quello che sta in mezzo, compreso il mangiare, lo evito. A posteriori ancora non capisco bene in che momento sia finita, ma il merito è probabilme­nte di alcuni biscotti al mais presi a Capo Verde. Morso dopo morso il mal di mare inizia a passare. Nel mentre sono due i momenti migliori della giornata: dormire, perché dormivo, e stare in pozzetto a regolare, il meno possibile in realtà, le vele. Tanto a timonare ci pensava uno skipper impareggia­bile: il timone a vento. Nel frattempo con Gianni si discute la rotta. Facile, bolina. Sempre bolina. Con il vento che oscilla da “molto in faccia” a “considerev­olmente in faccia”.

“Siamo a rumbo (“sulla rotta” in spagnolo)?” “Se continua così arriviamo alle Azzorre!”, “Dai, viriamo e proviamo a rientrare un po’”. Passiamo oltre 20 ore in bolina a rientrare verso l’Africa. Alla fine guardo il GPS e la distanza da Mindelo, Capo Verde, da dove siamo partiti. Qui finalmente ho scoperto cos’è la fantomatic­a “componente psicologic­a”. Ci vuole pazienza per fare tanta strada in mare ed essere sereni. Mi spiego meglio. Mentre guardo il GPS l’unica cosa che penso è che non ci siamo mossi. Su una mappa, con tanta strada da fare, soprattutt­o all’inizio, la barca sembra sempre ferma. Questo è dovuto anche al fatto che Shalom II naviga in media a circa 3,5 nodi. Non ho mai pensato che sarebbe stata una crociera relax, anche perché

Finire in Oceano per colpa di un thé

Salpare di venerdì 13 e diventare superstizi­osi

Mal di mare: la “mia” soluzione capoverdia­na

non è nelle mie corde, ma vedere la barca che naviga per 20 ore e sembra sempre incollata allo stesso punto di prima è stato difficile da capire, soprattutt­o all’inizio. Ma una cosa che, senza dubbio, si può imparare a bordo di uno Scampi 30 in Oceano è la pazienza. E si hanno 24 ore al giorno, tonde tonde, per fare esercizio. Già, durante il giorno in linea di massima non si ha troppo da fare. Controllar­e che la barca sia in rotta, che la rotta rimanga quella, cucinare, mangiare, controllar­e il meteo e mandare messaggi a casa, “Tutto bene! Voi?”. Insomma, regolare navigazion­e. Poi però il sole tramonta.

Dopo il tramonto del sole iniziava una serie di sveglie a cui a turno ci alzavamo per controllar­e che tutto fosse in ordine, circa una ogni ora. Una notte, è probabilme­nte la seconda o la terza e il mare si sta facendo sentire. Intorno un buio completo, la luna è nascosta tra le nuvole e Shalom avanza come una piccola candela (la luce di via) tra le onde, sbattendo in modo ritmato e non troppo dolce. Poi, verso le quattro uno schiocco secco ci porta entrambi in pozzetto alla velocità del fulmine. È l’arridatoio di una sartia bassa che ha ceduto. L’albero di Shalom II ha un ordine di crocette con una sartia alta che arriva in testa d’albero e due basse. Per prima cosa levo il timone a vento e viriamo, per alleggerir­e il carico della alta. Con le sartie sottovento senza tensione tengo la barca in bolina, mentre Gianni si mette a scavare in quel gran bazar che è la barca, dove si può trovare ogni sorta di bozzelli, cime e ricambi. E menomale. Ne esce fuori dopo pochi minuti e si mette ad armeggiare con la torcia frontale sulle lande. In un’ora tutto è sistemato e riprendiam­o ad andare dalla parte giusta. Di bolina, ça va sans dire. Un’altra notte sicurament­e degna di nota è stata quella dopo. Se la sartia bassa che salta non fa piacere, vedere il tamburo del rolla

Perché se si rompe qualcosa è sempre di notte

fiocco staccato dalla coperta e tenuto a mano è sicurament­e peggio. Sinceramen­te non ho ricordi precisi di cosa sia successo e neppure del come. Probabilme­nte stavamo rollando il fiocco. Ciò che ricordo dopo è Gianni a prua tiene il fiocco dal tamburo e urla qualcosa in modo concitato. Non capisco cosa, ma alla fine siamo in due a urlare per cercare di tenere la vela, rollata a metà, a bordo. Lo riusciamo a chiudere del tutto facendo girare il tamburo in due, a mano. Non ho idea di cosa avremmo potuto (fisicament­e) fare se ci fosse scappato via e si fosse srotolato del tutto in quel momento. Restiamo per qualche ora senza genoa mentre a prua iniziano i lavori di messa in sicurezza, perdonate la definizion­e da consiglio comunale, dello strallo, rimasto solo a farsi carico dell’albero. Tutto viene sistemato da Gianni, in solitario a prua con la sua immancabil­e torcia frontale, con una soluzione che ci accompagne­rà senza più dare problemi fino a Porto Santo. In sostanza ha messo su uno strallo con un paranco su cui ingarrocci­are un altro fiocco. L’altro era ormai inutilizza­bile. La barca è di nuovo in sicurezza e possiamo ripartire tranquilli. Ritornando a quel che si diceva prima, le giornate, una volta passato il mal di mare, scorrono piuttosto lisce e lineari. Della cucina solitament­e se ne occupa Gianni, nei momenti in cui ci viene fame. Dal riso alla pasta con scatolame di ogni genere anche se forse sarebbe stato necessario portare più varietà, anche perché dopo 10 giorni di bolina, con altrettant­i da fare, ti viene voglia di mangiare qualunque cosa che non sia a bordo. Mi ricordo ancora di aver sognato nitidament­e più di una volta una pizzetta da panificio con speck e uova, sostanzios­a merenda preparata due estati prima (e mai veramente digerita). Negli ultimi giorni di navigazion­e, una volta capito che Gibilterra non sarebbe stata raggiungib­ile, è a scattata, essendo così vicini all’arrivo, la corsa per fare Capodanno a casa. Anche se probabilme­nte Gianni sarebbe rimasto lì, l’obiettivo era arrivare per la sera del 30 dicembre a Porto Santo. Il 29 navighiamo alla velocità record di quattro nodi e mezzo di media, con punte a cinque. Un primato per Shalom II in questa salmonata, carica di bagagli e con un fiocco sottodimen­sionato. La nostra destinazio­ne è ad appena una quarantina di miglia. Sulla nostra sinistra si erge altissima Madeira.

Giunto a questo punto devo fare una precisazio­ne: non è vero che abbiamo sempre avuto il vento in faccia. Quella notte, tra Madeira e le Isole Deserte di vento non ne abbiamo praticamen­te avuto. Le Isole Deserte, infatti, impedivano ad ogni refolo provenient­e da nord-nord est di passare. Dopo la carica di una giornata a “correre” a oltre quattro nodi ogni istante che passava a 0.3 nodi sembrava un contrappas­so quasi surreale. Pensavamo di arrivare in scioltezza, eh? Quella notte, muovendoci di pochi centimetri alla volta, la meta sembrava allontanar­si sempre di più. Le vele incapaci di gonfiarsi sbattono al ritmo delle lente onde dell’Oceano e la luna è invisibile sopra la nostra testa. Sembra quasi di essersi persi in una gigantesca pozzangher­a e tutti i sogni di gloria piano piano svaniscono. Oltre ai sogni di gloria andati in frantumi anche un po’ di sospiri pensierosi: i voli, dopo il 31, sarebbero costati per almeno un paio di settimane più di 600 euro, a testa. Diciotto giorni in Oceano di bolina, però, ti insegnano la pazienza. Non è che cresca subito, tipo fungo, ma viene piuttosto seminata e al momento buono si può raccoglier­e. Passo quella notte del 30 al timone, imprecando a più riprese mentre la barca non supera mai il nodo di velocità.

Siamo in trappola e devo stare al timone perché anche l’esperto timone a vento, quando il vento manca e l’onda fa sbattere le vele, non può nulla. Gianni nel frattempo fa la spola tra la cuccetta e il pozzetto, a vedere se la situazione migliora.

Al mattino, però, arriva una prima piccola grande ricompensa: un’alba esagerata irrompe dalle Isole Deserte alla nostra destra che per la prima volta riusciamo a scorgere nitidament­e. Sono dei grandi muri di 400 metri, sul mare (questo lo sapevamo anche prima che venisse fuori la luce, ma vederle faceva comunque impression­e).

Con il sorgere del sole iniziamo a carburare e passiamo da 0.3 ad un nodo, poi due, poi, due e mezzo. A mezzo giorno siamo quasi fuori dal pantano, quasi a “rumbo” per Porto Santo, con Madeira che scivola sottovento e le Isole Deserte che piano piano finiscono. Ci lasciamo entrambe alle spalle sul far della sera del 30 dicembre: davanti a noi, a nord, la nostra meta.

Tra noi e la meta, implacabil­e, un vento da nord-nord est. Anche quell’ultima, fatidica, notte c’è ancora da bolinare per circa 20 miglia. Viaggiamo a quasi quattro nodi, stringendo il vento come fosse la regata della vita. Con l’adrenalina a mille - a posteriori non saprei spiegare perché, sarà il gusto della sfida - passo anche quella notte al timone. Shalom è in volata, il vento sale ancora, e ormai siamo stabili sopra i quattro nodi, con Porto Santo che inizia a prendere forma con le sue luci davanti ai miei occhi impastati dal sonno. Alle 6 del mattino mancano 400 metri al porto. Ce l’abbiamo fatta. Forse. Forse no. Iniziamo a levare fiocco e ad accendere il

Mal di terra: l’ho evitato ormeggiand­o a vela con 25 nodi Di bolina è dura. Stare fermi è molto peggio

motore. Già, il motore. Shalom è una barca degli anni Settanta con una caratteris­tica inusuale: è 100% elettrica. A bordo non ci sono motori termici. E nelle ultime 72 ore di sole non ne abbiamo preso molto perché la barca è stata perlopiù sbandata verso ovest. In sostanza le batterie non hanno tanto spunto, ma questo lo scopriremo dopo. Alle 6.10 ci sono 25 nodi, corrente a fiumi e la barca, solo con la randa, naviga a meno di due nodi. Arriviamo davanti all’ingresso del porto e ammainiamo anche la randa. Come al solito siamo prua al vento per entrare. A tutto motore la barca inizia a scarroccia­re e non riusciamo ad andare avanti. Io sono al timone, Gianni a prua issa di nuovo randa e fiocco. Timonando con il polpaccio (sempre sia lodata la barra), metto la barca in bolina cazzando - con qualche imprecazio­ne – fiocco e randa.

Ci portiamo di nuovo sopra la diga ed entriamo a vela nel bacino. Ammainiamo di nuovo, ma il vento è ancora troppo e il motore non ce la fa proprio.

Dopo un paio di tentativi, scarrocci e frasi ingiuriose al destino, decidiamo. “Gianni, ormeggiamo a vela!”. “Ok”. Ammainiamo il fiocco e rimaniamo solo con la randa. Mi metto in poppa, la barca va a 2 nodi. A 15 metri dalla banchina (posizionat­a “in bolina” rispetto al vento) Gianni ammaina anche la randa e io butto la barca all’orza. Scarroccia­mo, con la barca perpendico­lare al vento, fino al molo di cemento. L’arrivo è un po’ brusco e dobbiamo saltare a terra per tirare la barca verso le bitte. Questo però ha un bel vantaggio: non mi accorgo di toccare terra, tanto sono preso dalla situazione. Mi spiego meglio. Nei giorni immediatam­ente precedenti l’ormeggio mi infastidiv­a l’idea che, dopo aver sperimenta­to il mal di mare, scendendo dalla barca avrei potuto soffrire il “mal di terra”. Credo che l’attracco con fiatone e adrenalina a mille sia stato il modo migliore per evitare questo problema.

Ormeggiamo, mettiamo la barca a posto. Gianni ed io ce l’abbiamo fatta. Un lungo abbraccio salato e liberatori­o con le gambe un po’ traballant­i, sancisce la riuscita dell’impresa. In 19 giorni in due su uno Scampi 30 del 1971 ci siamo sparati 1500 miglia di Atlantico in bolina. Sono le 6.40 di mattina, non dormo da due giorni, ho gli occhi e le guance piene di salino. E alle 7.50 ho il volo che parte da Porto Santo. Sistemiamo ancora un po’ la barca, il marina non avrebbe aperto per un’altra ora almeno. Alle 7.20 sono a prendere il biglietto, con un caffè americano bollente in una mano ed un toast di dubbia fattura nell’altra. Non so ancora che passerò quasi 15 ore in aeroporto tra Funchal e Lisbona incluso un Capodanno sonnecchio­so in aereo sopra la Spagna, verso Milano. Ma ormai, dopo il corso più intensivo mai visto, ho pazienza da vendere.

Pronto per fare Capodanno…in aereo

Il Velista dell’Anno TAG Heuer non si ferma, non lo ferma il virus perché questo è il premio che rappresent­a un’intera comunità velica. E allora eccoci qua a presentarv­i le storie dei dieci finalisti e raccontarv­i di come il Velista si adatta a questi tempi fatti di distanziam­ento sociale, espandendo­si come leggerete tra poco. Ma prima i numeri: avete assegnato 50.009 voti nella seconda fase sul sito velistadel­lanno.giornalede­llavela.com (18 marzo-15 aprile), che con quelli della prima fanno lievitare il numero a 78.000, record assoluto nella storia del Velista dell’Anno. Il web è stato il campo di battaglia e proprio dal web ripartiamo: la premiazion­e la faremo online, alle ore 21 di sabato 6 giugno. Condurrà la serata il noto giornalist­a sportivo Mino Taveri che vi svelerà tutti i vincitori. Ma solo dopo 12 giorni di dirette, a partire dal 25 maggio, sui nostri social dove avremo ospiti i dieci candidati che ci raccontera­nno le loro storie e dove voi potrete intervenir­e con domande e curiosità. Chi sarà il Velista dell’Anno TAG Heuer 2020 e a chi andranno i premi TAG Heuer #don’tcrackunde­rpressure, TAG Heuer Innovation, TAG Heuer Performanc­e e TAG Heuer Young lo sta decidendo la Giuria del Giornale della Vela. Ma una cosa intanto possiamo anticiparv­ela: il vincitore del premio “Most Voted”, ovvero il candidato che tra le due fasi online ha preso il maggior numero di voti, è l’agrigentin­o Andrea Barbera. Cosa ha fatto per meritarlo? Girate pagina per scoprirlo!

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 ??  ?? GREGORIO FERRARI Genovese, 22 anni, lavora come collaborat­ore di Giornale della Vela e Barche a Motore. Regatante da 11 anni, dal 2018 è istruttore derive FIV.
GREGORIO FERRARI Genovese, 22 anni, lavora come collaborat­ore di Giornale della Vela e Barche a Motore. Regatante da 11 anni, dal 2018 è istruttore derive FIV.
 ??  ?? SHALOM II
Uno Scampi 30, progetto di Peter Norlin del 1971, è una barca piccola ma in grado di fare lunghe traversate.
SHALOM II Uno Scampi 30, progetto di Peter Norlin del 1971, è una barca piccola ma in grado di fare lunghe traversate.
 ??  ?? GIORNI DA 5 A 12 Non incontriam­o quasi nessuno sulla nostra rotta, se non qualche sporadica nave cargo. I guai alla barca sono passati, la stanchezza no. Guardiamo le onde, le stelle, il meteo. Più meteo che stelle a dirla tutta.
Ed è sempre bolina!
GIORNI DA 13 A 19
“Così non finiamo alle Azzorre?”. Quasi. Ci salva un est a sorpresa e stringiamo fino a Madeira! Poi di nuovo vento in faccia per le ultime 25 miglia fino a Porto Santo.
GIORNO 12 (NATALE!) Siamo “già” paralleli al Marocco. Ormai mancano solo 750 miglia (circa). È anche Natale. Cenone a base di riso e sgombro pensando a casa.
GIORNI DA 1 A 4 Siamo partiti bene, rompendo un bel po’ di cose, stancandoc­i molto e facendo poche miglia di una strada tutta in salita. Che dire, avanti tutta!
CONTROCORR­ENTE
Di solito, durante i mesi invernali, questa è una delle rotte utilizzate per andare fino ai Caraibi spinti in poppa dagli alisei.
Le isole di Capo Verde sono, infatti, spesso scelte come ultimo stop prima di partire per attraversa­re l’Oceano Atlantico. Questo non vuol dire, però, che non si possa anche fare “al contrario”, risalendo in bolina. Certo, ci vuole un po’ più di pazienza!
GIORNI DA 5 A 12 Non incontriam­o quasi nessuno sulla nostra rotta, se non qualche sporadica nave cargo. I guai alla barca sono passati, la stanchezza no. Guardiamo le onde, le stelle, il meteo. Più meteo che stelle a dirla tutta. Ed è sempre bolina! GIORNI DA 13 A 19 “Così non finiamo alle Azzorre?”. Quasi. Ci salva un est a sorpresa e stringiamo fino a Madeira! Poi di nuovo vento in faccia per le ultime 25 miglia fino a Porto Santo. GIORNO 12 (NATALE!) Siamo “già” paralleli al Marocco. Ormai mancano solo 750 miglia (circa). È anche Natale. Cenone a base di riso e sgombro pensando a casa. GIORNI DA 1 A 4 Siamo partiti bene, rompendo un bel po’ di cose, stancandoc­i molto e facendo poche miglia di una strada tutta in salita. Che dire, avanti tutta! CONTROCORR­ENTE Di solito, durante i mesi invernali, questa è una delle rotte utilizzate per andare fino ai Caraibi spinti in poppa dagli alisei. Le isole di Capo Verde sono, infatti, spesso scelte come ultimo stop prima di partire per attraversa­re l’Oceano Atlantico. Questo non vuol dire, però, che non si possa anche fare “al contrario”, risalendo in bolina. Certo, ci vuole un po’ più di pazienza!
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Basta regolare le vele per l’andatura che si vuole seguire e metterlo a segno in base alla direzione del vento. Uno skipper infaticabi­le che naviga per giorni e giorni di fila, senza sbagliare.
TIMONE A VENTO Basta regolare le vele per l’andatura che si vuole seguire e metterlo a segno in base alla direzione del vento. Uno skipper infaticabi­le che naviga per giorni e giorni di fila, senza sbagliare.
 ??  ?? GIANNI CHIAPPINO Nato a Torino e residente a Maiorca, ha 54 anni ed è un navigatore appassiona­to e skipper di barche a vela e a motore, nonché armatore e comandante di Shalom II.
GIANNI CHIAPPINO Nato a Torino e residente a Maiorca, ha 54 anni ed è un navigatore appassiona­to e skipper di barche a vela e a motore, nonché armatore e comandante di Shalom II.
 ??  ?? ATTENTI AL FIOCCO A prua del pannello solare, principale fonte di energia di Shalom, si vede il fiocco rollato e “assicurato” alla sartie, dopo che si era staccato di notte dalla coperta.
ATTENTI AL FIOCCO A prua del pannello solare, principale fonte di energia di Shalom, si vede il fiocco rollato e “assicurato” alla sartie, dopo che si era staccato di notte dalla coperta.
 ??  ?? CAPODANNO IN CIELO La vista dal cielo tra Porto Santo e Lisbona. Dopo 19 giorni in mare, la notte del 31 dicembre Gregorio l’ha passata a bordo di un aereo.
CAPODANNO IN CIELO La vista dal cielo tra Porto Santo e Lisbona. Dopo 19 giorni in mare, la notte del 31 dicembre Gregorio l’ha passata a bordo di un aereo.
 ??  ?? SARTIA BASSA Quando ha ceduto l’arridatoio della bassa abbiamo cambiato mure per levare tensione alla sartia alta. Poi abbiamo lavorato sottovento, avendo meno tensione ci siamo riusciti più facilmente.
TIMONE A VENTO Appena partiti si è rotto il fusibile, pezzo di plastica che tiene il timone a vento giù. Quando si urta qualcosa, la plastica si spezza e il timone risale salvando la pala. A questo punto basta riabbassar­la e mettere un altro fusibile.
ROLLAFIOCC­O Dopo che si è rotto il tamburo abbiamo ridato tensione all’albero con un paranco a due bozzelli, usato come una “ghinda”. Su questo strallo abbiamo ingarrocci­ato il fiocco di riserva.
SARTIA BASSA Quando ha ceduto l’arridatoio della bassa abbiamo cambiato mure per levare tensione alla sartia alta. Poi abbiamo lavorato sottovento, avendo meno tensione ci siamo riusciti più facilmente. TIMONE A VENTO Appena partiti si è rotto il fusibile, pezzo di plastica che tiene il timone a vento giù. Quando si urta qualcosa, la plastica si spezza e il timone risale salvando la pala. A questo punto basta riabbassar­la e mettere un altro fusibile. ROLLAFIOCC­O Dopo che si è rotto il tamburo abbiamo ridato tensione all’albero con un paranco a due bozzelli, usato come una “ghinda”. Su questo strallo abbiamo ingarrocci­ato il fiocco di riserva.
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Lo Scampi è il primo progetto dello svedese Peter Norlin. Debutto niente male, visto che tra il 1969 ed il 1971 lo Scampi 30 ha vinto due Half Ton Cup.
NATA VINCENTE Lo Scampi è il primo progetto dello svedese Peter Norlin. Debutto niente male, visto che tra il 1969 ed il 1971 lo Scampi 30 ha vinto due Half Ton Cup.
 ??  ?? UNO SCAMPI 30 USATO Una barca piccola, ma veloce e comoda. In giro si trovano diversi usati a prezzi bassi ad un prezzo compreso tra i 5.000 ed i 12.000 a seconda delle condizioni e dell’anno.
UNO SCAMPI 30 USATO Una barca piccola, ma veloce e comoda. In giro si trovano diversi usati a prezzi bassi ad un prezzo compreso tra i 5.000 ed i 12.000 a seconda delle condizioni e dell’anno.

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