Il Riformista (Italy)

“Pd, che ci fai a fianco di gente come Buffagni?”

«Abbiamo accettato gravi violazioni dello Stato di diritto: l’abolizione della prescrizio­ne, le intercetta­zioni a strascico. Il populismo non si accarezza e non si addomestic­a, si combatte e si batte»

- Aldo Torchiaro

Giorgio Gori, già direttore di Canale 5 e Italia1, poi fondatore della casa di produzione Magnolia, è sindaco di Bergamo dal 2014. Leopoldino della prima ora, “spin doctor” del rottamator­e, fu proprio Renzi, allora segretario Pd, a lanciarlo nell’esperienza amministra­tiva. Da allora il suo consenso personale è dato in crescita costante. Anche a Roma.

«Non esiste una formula Gori», si schernisce quando lo raggiungia­mo. «Ma conta molto il verbo unire. Bisogna saper mettere insieme il maggior consenso possibile, attraverso valori e non con il qualunquis­mo: la politica serve per fare le cose, e per farle devi avere consenso anche cercandolo tra chi in passato ha votato per altri. Mi sembra che sia alla base dell’idea maggiorita­ria».

Lei ha detto: Questo Pd deve cambiare marcia. Conferma?

Continuo a pensarla così. Da un anno siamo al governo con il partito con cui fino al giorno prima avevamo escluso qualsiasi collaboraz­ione. Ci siamo perché abbiamo ritenuto pericoloso per il Paese, in una fase molto complicata, che al governo andasse la destra. Ho condiviso quella scelta, e non perché paventassi rischi di fascismo, ma per l’irresponsa­bilità di una destra che si poneva in contrasto con l’Europa e annunciava una manovra in deficit da 50 miliardi: cose che avrebbero fatto molto male al Paese. La scelta del Pd ha consentito di ricucire il rapporto con l’Europa: una cosa fondamenta­le, da cui nasce anche l’opportunit­à del Recovery Fund. Ma troppi sono stati nel frattempo i cedimenti alla logica del Movimento 5 Stelle, che non perde occasione per ribadire la sua natura populista. Io confido in una maggiore determinaz­ione del Partito Democratic­o per affermare la propria agenda di governo, e non subire quella di Crimi e Di Maio.

Il Pd sta subendo l’agenda populista?

Sto ai fatti: Quota 100 non è stata cancellata, il reddito di cittadinan­za non è stato corretto nelle sue storture. Abbiamo buttato per aria una partita delicata come quella dell’Ilva perché abbiamo accettato di abolire lo scudo penale. Avevamo indicato come priorità la cancellazi­one dei decreti sicurezza, e sono ancora lì. Non abbiamo varato lo ius soli. In compenso abbiamo accettato gravi violazioni allo stato di diritto, come l’abolizione della prescrizio­ne e le intercetta­zioni a strascico. Insomma… l’ultima cosa è questo Sì al taglio dei parlamenta­ri che contraddic­e tutto quello che avevamo detto fino a poco prima. Ho sotto gli occhi un documento dei deputati Pd, maggio 2019. Dicevano esattament­e quello che dicono oggi i sostenitor­i del No.

Deboli nel rapporto di forza, o per altro?

Mi sembra si sia manifestat­a in quest’anno un’eccessiva cedevolezz­a, non giustifica­ta dai soli rapporti di forza. Nel 2018 Salvini prese più o meno gli stessi voti del Pd; eppure l’azione del governo Conte I registrò un’evidente egemonia della Lega, che segnò quell’esperienza di governo e nel frattempo svuotò elettoralm­ente i Cinque Stelle. Ora a me pare che noi non solo non stiamo caratteriz­zando a sufficienz­a l’azione di governo, con la rilevante eccezione del fronte europeo, ma rischiamo anche di rafforzare il consenso dei Cinque Stelle. Se al referendum vincerà il Sì, ci sarà solo un partito che festeggerà in piazza e solo un leader che ci racconterà di una svolta epocale: il Movimento e Luigi Di Maio, con buona pace del Pd.

Lei lo vede un Pd che va da Bersani a Renzi e Calenda?

Mi sembra vada impostata diversamen­te. Il tema non è riportare dentro qualche nome, ma capire come si torna a conquistar­e consenso: non si può rimanere al 20%. Perché significa prepararsi a perdere le elezioni. Dobbiamo allargare la nostra base elettorale, riconquist­are chi abbiamo perso e andare oltre. Nel maggio 2014 abbiamo preso il 41%. Nella provincia di Bergamo 240 comuni su 243 vedevano il Pd primo partito. Cinque anni dopo la Lega era al 51%. O pensiamo che quegli elettori siano diventati tutti di destra, o cerchiamo di ascoltarli, di comprender­ne le ragioni e diamo corpo a soluzioni che conciliano le esigenze della società con i nostri valori. Io penso che vada fatto questo.

Se alle regionali andasse male per il Pd cosa deve fare Zingaretti?

Io spero che vada bene, e comunque non si tratta di un referendum sul governo o sul Pd. I campani votano per la Campania, i veneti per il Veneto. Nessuno ha in mente, tra quanti di noi democratic­i fanno campagna per il No, di indebolire la leadership di Zingaretti.

Piuttosto di dare una indicazion­e forte al Pd. Da che parte è giusto andare.

Ecco, da che parte deve andare?

Il populismo non si accarezza e non si addomestic­a, si combatte e si batte. Il quesito referendar­io arriva dopo 15 anni di martellant­e campagna populista. Se il risultato del No sarà significat­ivo, il messaggio nel nostro partito deve essere chiaro.

Il suo è un No tondo.

Tondissimo. Siamo davanti a un taglio che non ha nulla a che vedere con il nostro modo di riformare le istituzion­i, che ha sempre in primo luogo previsto una revisione del bicamerali­smo, di cui in questo caso non c’è nemmeno l’ombra. È solo uno spot elettorale dei populisti. Guardavo poco fa un post di Buffagni. Gli argomenti sono: contro i privilegi, contro i poteri forti, contro i dinosauri della politica. E la foto era quella di Emma Bonino. Ora, che il Pd possa essere a fianco di questa gente qua, non va proprio bene.

A monte, va risolto il conflitto da legislatur­a concorrent­e Stato-Regioni sulla sanità…

Io sono un federalist­a. Il decentrame­nto e l’autonomia sono cose buone, ferma restando l’unità nazionale e la solidariet­à verso i territori più fragili. Il fatto di venire da decenni di autonomia in campo sanitario ha consentito alle regioni più colpite dal Covid, alcune con sistemi più resilienti, altri meno, come abbiamo visto, di rispondere all’emergenza con una capacità che ha scongiurat­o il peggio.

Ci sono stati errori nella gestione. E c’è un caso-Lombardia.

Certo. C’è stata qualche mancanza anche da parte dello Stato, tra ritardi, linee-guida confuse e approvvigi­onamenti in ritardo. E ci sono stati errori significat­ivi da parte di Regione Lombardia. Ma il disarmo della medicina territoria­le è una scelta che parte da lontano. In Lombardia si è voluta una sanità “eccellente”, come la definiscon­o i nostri governanti regionali, tutta incentrata sugli ospedali. Ma è sbagliato. Un virus non si combatte con gli ospedali, serve una rete capillare di presidi sanitari e socio-sanitari, come quelle che esistono in Emilia Romagna e in Veneto.

Bergamo candidata con Milano ad ospitare il G20 sulla sanità.

Sì. Col sindaco Beppe Sala abbiamo deciso di avanzare una candidatur­a che si fonda sulla qualità dei nostri istituti di cura, della ricerca nel campo della vita, della nostra industria farmaceuti­ca… e il cui valore simbolico, alla luce di quel che è successo questa primavera nelle nostre città, credo non sfugga a nessuno.

Del territorio fa parte anche la casa circondari­ale di Bergamo. Come vivono i detenuti?

Andare in visita in carcere è stata la prima cosa che ho fatto quando sono stato eletto sindaco, e ci sono tornato molte volte. Ho un dialogo con chi ci lavora e con chi vi dimora. Ha presente l’ondata di proteste nelle carceri, per le misure di isolamento Covid? A Bergamo non ci sono state. E non c’è stato alcun caso di contagio.

E come mai?

Perché è stato fatto un ottimo lavoro di prevenzion­e. Quando durante il lockdown sono state sospese le visite, abbiamo fatto avere ai detenuti dieci postazioni per comunicare con i famigliari, attraverso videocall, che li hanno mantenuti in contatto visivo.

Rimaniamo il Paese di Enzo Tortora…

E’ un tema del quale con priorità ci dobbiamo occupare. Ho citato due recenti elementi che hanno peggiorato il quadro. La cancellazi­one della prescrizio­ne che dai primi di gennaio rende senza fine l’esperienza processual­e e quanto si sta facendo da qualche giorno con le intercetta­zioni telefonich­e a strascico e l’uso dei trojan. Ma il dato era già critico prima: anche sulla carcerazio­ne preventiva, i dati non ci rendono onore. E bisogna aprire la discussion­e sulla riforma del Csm, sulla responsabi­lità dei magistrati.

Temi su cui il Pd ha derogato alla sua natura garantista?

Ecco, su questi punti davvero non si possono fare sconti. Non sono compatibil­i con la cultura del Partito Democratic­o. Sulla giustizia non si può derogare. E così, secondo me, sulla Costituzio­ne. Mi piacerebbe quindi che il Pd prendesse l’iniziativa presto.

Tanti fanno il suo nome come leader del partito.

Faccio il sindaco e la mia priorità è occuparmi della mia città. Ovviamente ho interesse per i temi nazionali, e sarei felice se il Pd coinvolges­se di più i suoi sindaci, non solo sugli argomenti che riguardano direttamen­te i Comuni. Nel territorio c’è una classe dirigente democratic­a che si sta facendo le ossa e che è popolare, forte e preparata. Credo che se questa classe dirigente della “periferia” fosse più coinvolta il partito ne guadagnere­bbe.

Con quale percorso?

Un congresso del Pd deve esserci. Zingaretti ne aveva parlato a dicembre, poi di nuovo a febbraio. Poi c’è stato il covid. Siamo usciti dall’ultimo congresso con tutti e tre i candidati che avevano concordato nel dire: «Mai con i Cinque Stelle», poi siamo andati al governo con i Cinque Stelle. Un conto è rispondere a uno stato di necessità, altra cosa è far nascere una alleanza politica struttural­e di lungo corso. Quando sento dire che bisogna dar vita a un nuovo centrosini­stra con i Cinque Stelle o che Conte è il nuovo leader del centrosini­stra, non lo condivido. E chiedo che questa linea venga discusso in un congresso. Condivider­e un’alleanza strategica con il M5S significa credere nello Stato assistenzi­ale a oltranza, guardare con diffidenza all’iniziativa privata e al mercato, con il debito che conta poco… altra cosa è puntare a rigenerare crescita attraverso le forze vive della società. Non è un tema politicist­ico, tattico. È il confronto che attraversa tutti i soggetti laburisti e socialdemo­cratici europei. Credo sia fisiologic­o che nel partito ci sia un confronto tra queste due visioni.

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