Il Riformista (Italy)

Riccardo Lombardi il sopravvalu­tato...

Anch’io da ragazzo son stato lombardian­o. Poi, però, capisci... Cercò di realizzare un riformismo che aveva come obiettivo il comunismo. Un pasticcio. Danneggiò il Psi nell’epoca del centrosini­stra

- Giuliano Cazzola

Essere stati lombardian­i, da giovani, per persone della mia generazion­e (che poi è in tutto e per tutto quella di Fausto Bertinotti) quando si affacciava­no sul mondo della politica, era come prendersi da piccoli una malattia esantemati­ca. Ma, per stare nella metafora, aver il morbillo a ottant’anni è assai sconsiglia­bile. Su Ricordo Lombardi non sono della stessa opinione del mio amico Fausto. Se non fosse che tutti i salmi finiscono in gloria e che una classe politica di nani (come l’attuale) finisce sempre per impression­arsi quando si evocano le decantate “gran virtù dei cavalieri antichi”, ci accorgerem­mo che tante figure gloriose del passato sembrano svettare in alto solo perché - grazie ad un sapiente uso delle luci della storia - proiettano un’ombra lunga, del tutto sproporzio­nata rispetto alla loro statura effettiva. Ai primi posti nell’elenco dei “sopravvalu­tati” andrebbe collocato, a mio avviso, anche Riccardo Lombardi, di cui si celebra – al suono dei soliti pifferi postumi – la ricorrenza del decesso il 18 settembre. Più giustament­e, il leader storico della sinistra socialista (quella parte non “carrista”: un epiteto usato per definire il gruppo di parlamenta­ri del Psi che nel 1956 appoggiaro­no, insieme ai comunisti, l’aggression­e sovietica all’Ungheria) andrebbe annoverato tra i “cattivi maestri”.

Io mi sono iscritto al Psi nel 1963 quando sulla tessera erano ancora stampiglia­ti la falce, il martello e il libro; nei miei verdi anni fui lombardian­o (ad esserlo si poteva ottenere dai comunisti, in tempi di centro-sinistra – quello vero, della prima Repubblica – la patente di “socialista recuperabi­le”, non traviato dall’insano raptus governativ­o di Pietro Nenni e soci): Ma credo di aver vissuto abbastanza per vedere alla prova le singolari teorie di Riccardo Lombardi. A quella insigne personalit­à vanno certamente riconosciu­ti dei meriti: antifascis­ta, partigiano, prefetto della Liberazion­e a Milano, colto, brillante oratore, acuto scrittore, onesto sul piano personale (anche se per le esigenze della sua corrente non rifiutava, magari per interposta persona, quei finanziame­nti che, anni dopo, diventaron­o il passeparto­ut del pool di Mani pulite). È sul piano dell’azione politica che la figura di Lombardi deve essere messa in discussion­e. Da segretario del Partito d’Azione nell’immediato dopoguerra, non poche furono le sue responsabi­lità nella scomparsa di quella formazione (che pure aveva ben meritato nella riconquist­a della democrazia, mettendo in campo formazioni militari seconde solo alle Brigate Garibaldi). Ma non andiamo tanto indietro. Approdato nel Psi, Lombardi svolse un ruolo decisivo nella battaglia autonomist­a (in alleanza con Pietro Nenni) allo scopo di sganciare il partito dalle posizioni “frontiste” e condurlo ad una prospettiv­a di governo, intesa come passaggio verso una graduale trasformaz­ione socialista della società e del modello economico. Dopo l’avventura tambronian­a nel 1960, la Dc, sotto la regia di Aldo Moro, allora segretario del partito, consolidò l’apertura a sinistra e avviò il dialogo col Psi. Nel 1963 già si erano determinat­e le condizioni per un esecutivo di centro-sinistra organico (come si diceva allora) con tanto di ministri socialisti. Cominciò, allora, la stagione del rigore programmat­ico di Lombardi. Nulla di male si dirà: pretendere il rispetto del programma concordato è prova di serietà. Basterebbe, però, andare a vedere quali erano gli obiettivi del leader socialista, all’inizio degli anni ’60, per rendersi conto che quelle rivendicaz­ioni, oggi, le sostiene solo Fausto Bertinotti (che è il vero erede di Lombardi).

Il suo era un radicalism­o persecutor­io, giacobino che intesseva insieme l’abolizione del segreto bancario (gli sportelli degli istituti di credito furono presi d’assalto dalle zie d’Italia per ritirare i depositi nei libretti di risparmio), una riforma urbanistic­a che lasciava al proprietar­io solo un “diritto di superficie”, fino ad una “pianificaz­ione democratic­a”, nei fatti dirigistic­a, che secondo Lombardi (che era marxista) avrebbe dovuto servire alla graduale socializza­zione dei mezzi di produzione e di scambio. A pensarci bene non c’era molto differenza tra noi e i comunisti per quanto riguarda gli obiettivi da raggiunger­e, il tipo di società e di economia da realizzare. Persino i socialdemo­cratici (noi li chiamavamo “saragattia­ni” con la cattiva coscienza di chi ha torto) non avevano rinunciato alla c.d. socializza­zione (dallo statuto del Labour Party quella espression­e infelice e fallimenta­re è rimasta finchè non la fece togliere Tony Blair). Il problema stava tutto nei modi e nei tempi: essere riformisti (ma era più in voga chiamarsi riformator­i) significav­a scegliere un lungo percorso evolutivo (come ebbe a dire Filippo Turati a Livorno: «La via lunga è anche la più breve perché è la sola che esista») rispetto alla rottura rivoluzion­aria auspicata e perseguita dai comunisti, mediante quella dittatura del proletaria­to che avrebbe dovuto costituire la fase della transizion­e.

In quei tempi, tutti restavano a bocca aperta ad ascoltare le teorie di Lombardi riassunte in una frase (che – oggi possiamo dirlo – è solo un insieme di sciocchezz­e): «Dobbiamo cambiare il motore (leggi: l’economia di mercato) senza fermare la macchina».

E noi giovani lombardian­i andavamo in giro per le sezioni durante i congressi a sostenere che la socialdemo­crazia avrebbe fatto scuole, ospedali, strade, ma non le riforme di struttura. Nell’estate del 1963, durante la famosa notte di S.Gregorio, Lombardi e i suoi amici bocciarono, d’intesa con la minoranza di sinistra, il programma di governo, concordato dalla segreteria del partito, perché non conteneva un progetto di riforma urbanistic­a come quello dianzi accennato. Il Psi si spaccò e fu costretto a virare su di un appoggio esterno. L’anno dopo, lo accontenta­rono sul programma; così Lombardi rientrò nella maggioranz­a autonomist­a, contribuen­do ad indurre alla scissione la sinistra di Vecchietti, Valori e Basso, i quali avevano fatto affidament­o sulla ribellione lombardian­a di qualche mese prima nella speranza di rovesciare la maggioranz­a nenniana. Lombardi divenne direttore dell’Avanti: da quella posizione si mise ad attaccare con puntiglio il governo. Ovviamente, la “sua” riforma urbanistic­a fu accantonat­a dopo appena pochi mesi: ciò costituì per Lombardi un motivo per l’uscita dalla maggioranz­a. Per fortuna non venne ascoltato.

Ma il leader socialista si prese ben presto una rivincita. Alla Camera i parlamenta­ri della sua corrente (Codignola, Carrettoni ed altri) votarono con l’opposizion­e contro un finanziame­nto di qualche decina di milioni di lire alla scuola privata (cosa che oggi è prassi normale anche per il Pd). Aldo Moro colse l’occasione per provocare una crisi di governo e costringer­e i socialisti a una consistent­e revisione programmat­ica. Cominciò, allora, l’eclissi di Lombardi e dei lombardian­i (divenne celebre la frase della sua testa su di un piatto d’argento, con la raccomanda­zione che fosse pulito). La sua corrente ebbe un’occasione da protagonis­ta solo nel 1976, al Midas, quando Claudio Signorile s’infilò sulla scia di Bettino Craxi nel rovesciame­nto di Francesco De Martino. Se qualcuno volesse prendersi la briga di leggere i discorsi e gli scritti di Riccardo troverebbe molte cose discutibil­i e datate e si domandereb­be cosa effettivam­ente abbia lasciato dietro di sé questo ingegnere prestato alla politica, ma negato per interpreta­rne il senso profondo.

Perché in politica, come ci ha insegnato Luciano Lama, non basta avere ragione. Bisogna riuscire a farsela dare.

Socialismo

Ha un unico erede: Fausto Bertinotti. Lombardi pensava di avere ragione, ma in politica, come diceva Lama, ha ragione solo chi riesce a farsela dare dagli altri

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Francesco De Martino, Aldo Moro, Pietro Nenni e Riccardo Lombardi
In alto Riccardo Lombardi, storico esponente del Partito Socialista Italiano In basso Francesco De Martino, Aldo Moro, Pietro Nenni e Riccardo Lombardi

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