La battaglia del gen. Mariggiò contro la pena infinita
Ci sono condanne che valgono per sempre e che ricadono sui figli. Il commissario di Calabria Verde ha osato sfidare queste leggi: chi ha sbagliato e ha pagato, può ancora lavorare. Apriti cielo!
Chi sbaglia paga, è un detto antico, diffuso nel mondo, in Italia, per moltissimi, gli si dovrebbe aggiungere “per sempre”, e in Calabria, tranquillamente, si potrebbe riformulare: paga chi sbaglia, e pagano i suoi figli, i parenti, gli amici. Chiunque sfiori un cattivo è cattivo. La violazione penale diventa un marchio genetico, il per sempre diventa l’eternità. E anche se dopo aver violato la Legge, si sia pagato il corrispettivo, anche dopo avere scontato la pena del reato. Si dovrebbe stare in un canto, fare i bravi, e lasciarsi morire di fame, perché se non si troverà un privato di buona volontà, non potrà essere lo Stato a soccorrere. La pena totalizzante, il ravvedimento impossibile. E anche se la Costituzione dice altro, anche se l’umanità dovrebbe dire altro, o la pietà, il cuore, l’intelligenza. L’etica, quel pauroso sentimento dei giusti che impera, toglie ogni speranza. In Calabria accade che sia un generale dei carabinieri, ex, a battersi per il diritto alla sopravvivenza dei cattivi, ex anche loro. generale Aloisio Mariggiò, commissario straordinario di Calabria Verde, ente regionale che si occupa di forestazione e cura del territorio, lotta contro una crociata moralista che vorrebbe fuori dal lavoro i dipendenti che hanno violato la Legge, pur se hanno scontato la pena, cambiato vita, e tentano di rifarsene una fondata sul lavoro, il rispetto delle regole. Un generale da solo, che affronta le campagne mediatiche, le tendenze populistiche, le mancanze politiche, le deficienze sociali, le perdite di umanità. Difende i suoi operai. E non è facile, perché amministra un ente che negli anni ha dimostrato pecche e vergogne, che si è trasformato in carrozzone assistenziale, improduttivo.
Scandalo dopo scandalo, eppure, fonte unica di speranza per migliaia di dipendenti: per i più, che non hanno mai violato la Legge, e per quelli che hanno sbagliato, anche in modo terribile e hanno aggrappato le loro vite a questo lavoro. Insieme, i giusti e gli ex cattivi, smarriti, lasciati senza progetti e senza guida, infilati nella retorica della legalità, dell’onestà. È un generale, oggi, che deve difendere i suoi operai dagli sbagli di un sistema che vuol far cadere sui dipendenti gli errori di un’intera classe dirigente. In un Sud che è questo, in una Calabria che è fatta di una maggioranza di giusti, ma che dentro ha tante persone che hanno sbagliato. E a quelli che hanno pagato, che voIl gliono rientrare con gli altri, camminare insieme, un’orda moralista vieta, o vorrebbe vietare, ogni appiglio, ogni ancora. Per i campioni del bene le espiazioni, i riscatti, sono favole. Ai cattivi ex e per sempre, bisogna interdire, negare, licenziare. Devono stare fuori dai buoni spesa, fuori dai redditi di cittadinanza, fuori dal lavoro. Fuori da tutto, chiusi nel recinto delle loro colpe. Ed è strano che a difendere chi ha sbagliato, e non vorrebbe farlo più, ci sia un ex Generale che ha trascorso tutta la propria vita a fermare i cattivi. O, forse, è più strano che non ci siano i corpi sociali a fermare le febbri etiche, le derive morali, l’esigenza di creare mostri per sentirsi migliori di come davvero si sia.