Il Riformista (Italy)

A GIUDIZIO PER FUGA DI NOTIZIE PALAMARA E FAVA NELLA STORIA

Il gup Angela Avila manda a processo i due ex pm accusati (ma i giornalist­i negano) di aver fatto una soffiata su Amara. Prassi diffusa in magistratu­ra (buon ultimo il caso Morisi), ma stavolta si va a caccia del reato

- Paolo Comi

Inizierà il prossimo 19 gennaio il processo a Perugia nei confronti degli ex pm della Capitale Luca Palamara e Stefano Rocco Fava, accusati di rivelazion­e del segreto d’ufficio. Confermate, dunque, le previsioni della vigilia.

Il gup Angela Avila ha accolto la tesi della Procura diretta da Raffaele Cantone secondo cui Fava, istigato da Palamara, avrebbe fornito notizie riservate ai giornalist­i del Fatto e della Verità per scrivere due articoli pubblicati il 29 maggio del 2019. La notizia “riservata” era che Fava aveva predispost­o una misura cautelare nei confronti dell’avvocato Piero Amara - noto alle cronache per aver rivelato l’esistenza della loggia Ungheria - e che l’allora procurator­e Giuseppe Pignatone non aveva voluto apporre il visto. Fava, ora giudice a Latina, era in quel periodo il titolare di un fascicolo a carico di Amara e dell’avvocato Luca Lanzalone, l’ex super consulente della sindaca di Roma Virginia Raggi, poi nominato presidente della Multiutili­ty Acea, incaricato di seguire il dossier sullo stadio della A.S. Roma.

Il pm, allora in servizio al dipartimen­to reati contro la Pa di piazzale Clodio, coordinato dall’aggiunto Paolo Ielo, oltre alla custodia cautelare, aveva chiesto nei confronti di Amara anche il sequestro di circa 25 milioni di euro. Pignatone, invece, non condividen­do la gestione delle indagini da parte di Fava, aveva avocato i fascicoli, per poi riassegnar­li al dipartimen­to di Ielo. Quest’ultimo, poco prima che Pignatone lasciasse l’incarico per raggiunti limiti di età, gli aveva scritto una nota in cui chiedeva di “soprassede­re” sulle richieste di custodia cautelare avanzate da Fava, “ritenendo necessarie ulteriori attività istruttori­e, valutando insufficie­nte la provvista indiziaria”.

Il fascicolo, per la cronaca, venne poi mandato a Milano per competenza territoria­le.

Fava, dopo la revoca, aveva scritto una ventina di pagine di osservazio­ni al Csm per chiedere chiariment­i. Il Csm non ha ancora risposto. Secondo i pm di Perugia Fava e Palamara orchestran­o una campagna mediatica per mettere in cattiva luce Pignatone e Ielo. Le indagini sulla fuga di notizie vennero affidate alla sezione di pg dei carabinier­i del capoluogo umbro. Fra i testimoni ascoltati, gli aggiunti Rodolfo Maria Sabelli e Paolo Ielo, i togati Piercamill­o Davigo e Sebastiano Ardita, la segretaria generale del Csm Paola Piraccini, l’ex pm antimafia Cesare Sirignano. Vennero interrogat­i anche i deputati Cosimo Ferri e Luca Lotti.

Palamara venne sentito tre volte. E vennero sentiti anche i giornalist­i del Fatto e della Verità che negarono che le loro fonti erano i due magistrati.

Pur potendo avvalersi del segreto profession­ale, i giornalist­i dissero che avevano avute la notizia da fonti interne al palazzo di giustizia e da ambienti imprendito­riali. Nel corso dell’udienza preliminar­e sia Fava che Palamara hanno rilasciato dichiarazi­oni spontanee. Palamara, che dopo aver terminato il mandato di consiglier­e al Csm era tornato a piazzale Clodio, confidando­si con Fava, una volta affermò di essere “sotto ricatto”. Il processo potrebbe essere l’occasione per chiarire anche questi aspetti rimasti nell’ombra. Giudice del dibattimen­to molto probabilme­nte sara Giuseppe Narducci, ex assessore alla legalità a Napoli con Luigi De Magistris ma, soprattutt­o, ex pm che condusse, come Palamara, uno dei vari filoni di Calciopoli.

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