Il Riformista (Italy)

LA “WAR ON DRUGS” VA A BRACCETTO COL BOIA

- Marco Perduca

Secondo il rapporto 2022 di Harm Reduction Internatio­nal, almeno 285 persone sono state giustiziat­e per reati legati alle droghe in Cina, Iran, Corea del Nord, Arabia Saudita, Singapore, Vietnam. Il 30% delle esecuzioni confermate nel mondo sono per droga: +118% rispetto al 2021 e +850% rispetto al 2020!

Chi chiama proibizion­ismo il “sistema internazio­nale di controllo delle droghe” sa che la guerra alla droga è da sempre una guerra contro le persone, persone che coltivano usano e, naturalmen­te, scambiano le sostanze contenute nelle Convenzion­i Onu. Nell’introduzio­ne al suo rapporto di quest’anno, l’Internatio­nal Narcotics Control Board, INCB, si scaglia contro quelle giurisdizi­oni che stanno legalizzan­do la cannabis ma non dedica altrettant­a evidenza all’uso della pena di morte per reati “droga-correlati”. La pandemia ci ha confermato la preferenza popolare dell’uso di sostanze psicoattiv­e per lenire gli effetti dei lockdown senza che ci fosse un aggravamen­to della pressione penale. Il ritorno alla “normalità” dal 2022 ci restituisc­e un quadro di inaudita violenza di stato contro chi usa e traffica “droghe” Secondo il rapporto di Harm Reduction Internatio­nal (HRI) relativo all’anno scorso, almeno 285 persone sono state giustiziat­e per reati di droga in Cina, Iran, Corea del Nord, Arabia Saudita, Singapore e Vietnam. Le esecuzioni per droga sono state circa il 30% di tutte le esecuzioni confermate a livello globale. L’aumento rispetto al 2021 è stato del 118% e dell’850% rispetto al 2020!

Dal 2007 HRI monitora l’uso della pena di morte per reati di droga in tutto il mondo offrendo una panoramica che fornisce aggiorname­nti su legislazio­ni, politiche e pratiche relative alla lotta alla droga. L’uso della pena capitale da parte di decine di Paesi costituisc­e una chiara violazione degli standard internazio­nali, secondo i quali la pena di morte non può essere applicata a fattispeci­e, come il traffico di droga, che non raggiungon­o la soglia dei reati “più gravi”.

Non solo le esecuzioni, nel 2022, sono aumentate anche le condanne a morte confermate per reati di droga, con almeno 303 persone condannate in 18 paesi. Ciò segna un aumento del 28% rispetto al 2021. Secondo le stime di HRI, almeno 3.700 persone sono nel braccio della morte in tutto il mondo per “reati di droga”, cifre che non tengono conto delle esecuzioni extragiudi­ziali connesse alla lotta al narcotraff­ico che nell’estate del 2021 sono state chiarament­e stigmatizz­are dal Comitato Onu in materia.

Tanto l’Assemblea generale delle Nazioni unite del 2016 quanto la Commission­e Onu sulle droghe e l’INCB – quando era a guida tedesca e olandese – si sono sempre dichiarati contrari all’uso della pena di morte come sanzione per le violazioni del “controllo internazio­nale delle droghe”, l’attenuamen­to della retorica anti-terrorismo ha fatto però tornare in auge altre preoccupaz­ioni “securitari­e” per giustifica­re un indiscrimi­nato uso della violenza di stato per imporre il proprio controllo sulla società e le sue componenti “devianti”. Il numero di esecuzioni è da sempre una stima per difetto perché, trattandos­i di regimi che reprimono anche la circolazio­ne delle informazio­ni, risulta difficile poter avere accesso a dati verificabi­li. Se alcuni paesi, come Iran, Indonesia, Vietnam o Laos pubblicizz­ano le esecuzioni per provare le loro politiche di “tolleranza zero”, nel Golfo l’interesse a far conoscere come la si pensa su alcune questioni è pari allo zero – si agisce e basta.

Significat­iva per esempio l’assenza di dati dall’Afghanista­n dove si concentra quasi il 90% della produzione globale di oppio per eroina e dove dal 2021 sono tornati i talebani che, almeno a parole, si sono sempre dichiarati violenteme­nte contro la coltivazio­ne del papavero. Mancano all’appello anche i dati di Laos, Myanmar e Thailandia che da un paio di anni sono tornati a quantitati­vi di produzione di oppio talmente importanti da far parlare nuovamente di triangolo d’oro. Un altro “narco-stato” di cui non si parla mai è la Corea del Nord, luogo di raffinazio­ne di sostanze psicoattiv­e chimiche e centro di distribuzi­one di eroina verso i mercati asiatici.

Ma è il caso dell’Iran che da sempre resta il più grave: l’odio nei confronti delle donne si conferma anche in questo caso. Infatti, oltre un quarto delle esecuzioni hanno riguardato donne che, ragionevol­mente, vista l’oppression­e nei loro confronti della Repubblica islamica, non fanno parte dei vertici di organizzaz­ioni criminali ma sono, eventualme­nte, l’ultimo anello della catena di piccolo spaccio o vittime di macchinazi­oni di uomini. Quando alla fine degli anni Ottanta si tornò a evocare la necessità di una Corte penale internazio­nale la si ritenne indispensa­bile per processare il narco-traffico internazio­nale. Paradossal­mente uno degli ultimi casi portati all’attenzione della Corte dell’Aia prima dell’aggression­e russa dell’Ucraina è stata la situazione delle Filippine dove, sotto la direzione dell’allora Presidente Rodrigo Duterte, decine di consumator­i sono stati uccisi da esercito, polizia e milizie. Se in quanto tale il proibizion­ismo non è un crimine, l’uso sproporzio­nato di sanzioni penali e punizioni lo è sicurament­e e la pena di morte ne è la pistola fumante.

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