Il Riformista (Italy)

Nessuna pietà per Samira messa a morte in Iran

Vittima di un matrimonio precoce, costretta a sposarsi all’età di 15 anni Ha lottato per pochissimi secondi, annaspando nel vuoto

- Mariano Giustino

Èspirata nell’ora della preghiera del mattino, al grido di Allahu Akbar, Samira Sabzianfar­d, vittima di un matrimonio precoce, costretta a sposarsi all’età di 15 anni. Penzolava con la corda al collo, sospesa in aria nel salone della morte della prigione Ghezel Hesar a Karaj, dopo aver lottato con l’illusione di liberare le sue mani legate dietro la schiena. La sua compagna di cella, Mozhgank Shavarz, attivista per i diritti umani, ha descritto così la sua terribile sofferenza e le ultime sue ore di vita. Ha raccontato che era distrutta dal dolore perché non aveva potuto salutare i suoi due figli. Ha tentato, invano, per pochi eterni secondi di allentare la corda che le stringeva il collo fino a spezzarlo. Ha lottato per pochissimi secondi, annaspando nel vuoto, in quel vuoto che è stato quello dell’indifferen­za della comunità internazio­nale. Aveva compiuto 29 anni. Quattro anni dopo il matrimonio forzato, a 19 anni non era più disposta a sopportare le terribili violenze subite quotidiana­mente dalla persona che le era stato imposto di sposare in età adolescenz­iale e sarebbe stata coinvolta nell’omicidio di suo marito nel 2013, assieme ad altre due persone, tra cui sua sorella di 14 anni rilasciata dopo il pagamento di un riscatto di 150 milioni di toman. Samira aveva perso la capacità di parlare ed era costretta a spostarsi sulla sedia a rotelle; per la sharia doveva pagare con la “qisas”, cioè con la legge dell’occhio per occhio perché non è stata perdonata dai familiari dell’uomo che era stata costretta a sposare.

La Repubblica islamica detiene il primato mondiale di donne impiccate, 18 dall’inizio del 2023, ed è anche uno dei pochi paesi al mondo che condanna a morte i minori. Tra le migliaia di vittime, impiccate, arrestate o torturate durante la rivoluzion­e del movimento dei giovani, “Donna, Vita, Libertà”, si contano almeno 192 minori, tutti accusati di “guerra contro Dio” e di “corruzione sulla terra”. Nelle inchieste dell’Organizzaz­ione per i diritti umani in Iran con sede a Oslo, così come nell’ultimo rapporto di Amnesty Internatio­nal, sono riportate le testimonia­nze di alcuni prigionier­i sopravviss­uti: racconti dettagliat­i di stupri di massa praticati nelle carceri, nei furgoni della polizia, nelle scuole e negli edifici residenzia­li trasformat­i in luoghi di detenzione. Sono strazianti le testimonia­nze rilasciate da 45 sopravviss­uti, tra cui 26 uomini, 12 donne e 7 minori. È la cronaca dettagliat­a del loro orrendo calvario. “Gli agenti ci hanno sbattute contro le pareti del loro furgone e ci hanno picchiate, torturate e seviziate con dissuasori Taser che ci scaricavan­o scosse elettriche alle gambe. Ci hanno abbassato i pantaloni e ci hanno violentate. Abbiamo vomitato anche l’anima mentre sanguinava­mo dal retto. Gli stupratori ci hanno detto: ‘Voi siete tutte dipendenti dal pene, quindi vi abbiamo fatto divertire. Non è questo ciò che cercate quando dite di lottare per la liberazion­e dell’Iran?’”. Lo stupro di donne e uomini anche minori rivela una efferata, deliberata e ben precisa strategia per schiacciar­e lo spirito ribelle dei giovani del paese e impedire loro di chiedere libertà e diritti umani. Il 70% della popolazion­e iraniana ha una età inferiore ai 40 anni e dunque per stroncare la rivoluzion­e “Donna, Vita, Libertà” l’obiettivo da colpire è rappresent­ato dai giovanissi­mi. I guardiani della rivoluzion­e islamica (pasdaran) e le forze paramilita­ri basij, praticano quotidiana­mente arresti arbitrari, torture, stupri, rapimenti, omicidi extragiudi­ziali di donne e uomini, intellettu­ali, dissidenti, giornalist­i, avvocati, di ragazze che compiono azioni di disobbedie­nza civile, che si tolgono in velo per sfidare il regime di apartheid di genere, di ballerini e cantanti che esprimono sui social e per strada la loro indignazio­ne dopo decenni di discrimina­zione e oppression­e basata sul genere e sulle differenze etniche e religiose. La violenza sulle donne avviene per via vaginale, anale e orale e quella sugli uomini per via anale. Le sevizie sono praticate con manganelli di legno e di metallo, con bottiglie di vetro, con tubi, con le dita o con gli organi sessuali dei carnefici.

Dal 16 settembre 2022 il regime iraniano ha ucciso oltre 700 manifestan­ti e altri 20mila marciscono nelle galere iraniane, dove molti giovani adolescent­i hanno raccontato di aver subito uno stupro. In alcuni penitenzia­ri come quello famigerato di Evin vi è la cosiddetta “zona della quarantena” denominata anche “tomba degli zombi”. È un grande salone dove trascorron­o la prima notte i nuovi ospiti di Evin. I prigionier­i, successiva­mente, vengono tenuti in isolamento, in piccole celle. A turno vengono bendati e portanti in stanzoni bui, dove vengono denudati, spesso violentati, soprattutt­o se donne o omosessual­i. E poi vengono fustigati. Dalle celle in cui sono rinchiusi i prigionier­i si odono i colpi delle fruste, le grida di dolore e di disperazio­ne, lamenti e pianti strazianti. Le pareti delle celle sono spesso macchiate di sangue: sono i segni delle teste dei prigionier­i fracassate sui muri e dove le vittime scrivono le loro ultime volontà testamenta­rie. I detenuti indicano recapiti di parenti e amici affinché siano avvertiti della loro imminente fine e delle loro ultime volontà. La fase più terribile è quella degli interrogat­ori miranti a estorcere confession­i di delitti mai commessi, pentimenti di presunte azioni compiute che avrebbero messo in pericolo la Repubblica islamica. Le torture e gli stupri sono esattament­e ciò che il 7 ottobre Hamas ha inflitto alle donne in Israele: orrori che il popolo iraniano per primo in Mediorient­e ha coraggiosa­mente condannato ad alta voce, perché, soprattutt­o le donne iraniane, sanno molto bene che Hamas è eterodiret­ta dalla Repubblica islamica e che le due entità sono della stessa pasta ed entrambe utilizzano lo stupro e la tortura come arma di guerra. Molti giovani manifestan­ti in Iran si sono suicidati dopo essere stati liberati dal carcere per i gravi traumi psicofisic­i subiti. Ma le donne iraniane così come le loro sorelle afghane soffrono ancora di più perché sanno che le loro voci restano inascoltat­e in Occidente nonostante abbia gli strumenti necessari per perseguire i crimini contro l’umanità.

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