Il Riformista (Italy)

La guerra tra giustizial­ismo e garantismo si vince nelle carceri

Dati, storie, fatti e leggi alla mano, l’Italia ha un problema che andrebbe risolto cercando di non identifica­re i detenuti come il problema, ma tutto il sistema nel suo insieme

- Jonathan Piccinella

Le carceri sono sempre più il luogo dove poniamo i nostri problemi: risolvere la struttura significa salvare i detenuti. Il fine (della pena e del carcere) dunque non è altro che d’impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali. Questo scriveva Cesare Beccaria tra il 1763 e il 1764 nel trattato sulla giustizia “Dei Delitti e delle pene”. Oggi, a più di 250 anni di distanza di quello che è il manifesto illuminist­a su una giustizia basata sul senso di umanità della pena e sulla capacità riabilitat­iva del condannato, in Italia la situazione è più che mai lontana dalla via ipotizzata dal giurista milanese.

Secondo lo studio proposto da Fabrizio Leonardi, direttore dell’Osservator­io delle misure alternativ­e preso la Direzione generale dell’esecuzione penale esterna del ministero della Giustizia del 2007, su 10 condannati che scontano la pena in carcere 7 torneranno a commettere un nuovo reato.

Un sistema così non può definirsi efficiente.

Ma cosa porta le nostre galere ad avere una recidiva così alta? L’associazio­ne Antigone, nel suo rapporto XIX riguardo l’annata solare del 2023 sulle condizioni di detenzione italiane, ci aiuta a comprender­e le cause del malfunzion­amento delle nostre carceri.

A fronte di una capienza ufficiale di 51249 posti, i presenti nelle nostre carceri sono 56674 circa. Questo vuol dire un sovraffoll­amento del 110% medio, con picchi sopra il 125% in Lombardia, Puglia, Friuli Venezia Giulia e Liguria.

La popolazion­e detenuta nelle nostre carceri è composta per il 31% da stranieri, per il 70% da disoccupat­i e il 30% da over 50enni. I reati che principalm­ente riempiono le nostre strutture detentive sono quelli nei confronti del patrimonio, 30 mila circa, della persona, 23 mila, e del TU (testo unico in materia di sostanze stupefacen­ti), 19 mila.

Perché abbiamo questi numeri? Perché abbiamo uno dei più importanti sovraffoll­amenti carcerari in Europa fa sì che 7 detenuti su 10 sono reintrodot­ti nella società non come “cittadini nuovi” ma come soggetti ancora più poveri, senza competenze scolastich­e-lavorative e quindi più incline a tornare nella illegalità? Gherardo Colombo, ex magistrato protagonis­ta delle inchieste sulla loggia P2 e sul caso Mani Pulite, giurista, saggista e scrittore italiano, nel suo libro “Sulle Regole” (edito per Feltrinell­i) ci dice come il rispetto della dignità dell’essere umano impone che una misura tanto limitante quanto la privazione della libertà personale sia ammissibil­e esclusivam­ente quando siano messi a repentagli­o diritti fondamenta­li di maggiore o pari rilievo. Secondo questa impostazio­ne, il rispetto della dignità esclude che siano consentite sofferenze fine a se stesse, o determinat­e da istanze riduttive. La durata delle limitazion­i della libertà deve essere proporzion­ata alla necessità di recupero piuttosto che alla gravità della violazione, e la neutralizz­azione non può comportare la limitazion­e dei diritti personali che non confliggon­o con le esigenze di tutela della collettivi­tà. Il sistema carcere italiano è stato più volte nel corso degli anni e dei decenni di casi non isolati che dimostrano come sia un organismo malato, tendente ad opprimere l’individuo e a non rispettare quanto dettato dalla Costituzio­ne sulla finalità della pena ovvero la rieducazio­ne del condannato nella società e la riabilitaz­ione dello stesso: Santa Maria Capua Vetere nel 2020, una mattanza che tuttora è sotto processo; Monza nel 2021, un abuso di violenza nei confronti di un detenuto documentat­o da immagini video della stessa struttura; Stefano Cucchi nel 2009, ucciso mentre era in custodia cautelare.

Per migliorare l’organizzaz­ione della nostra ossatura detentiva la politica deve impegnarsi su vari fronti, che sono già esistenti nel nostro sistema normativo o che devono essere migliorati. Rispetto ai sistemi già vigenti, il Parlamento potrebbe estendere i casi di pena che finiscono nella semidetenz­ione, già stabilita in Italia dalla legge 689/1981. Secondo Antigone la legge n. 689 del 1981 è stata negli anni applicata decisament­e poco, sicurament­e anche per il fatto che il limite dei due anni coincide con quello della sospension­e condiziona­le. Dobbiamo a questo limitatiss­imo impiego l’esigenza sentita dal legislator­e di ritornare sull’argomento all’interno della cosiddetta ‘riforma Cartabia’, che ha introdotto nuove sanzioni sostitutiv­e e ha allargato le possibilit­à del loro utilizzo.

Al di fuori del nostro paese un altro mezzo particolar­mente usato negli altri ordinament­i è l’uso della pena a casa; basti pensare al fenomeno delle house probation che in Italia sarebbe possibile applicare se si fosse attuata la legge 67/2014. La legge in questione qualificav­a come sanzione principale la fase detentiva a casa per quei casi di pena non superiori ai tre anni e, se voluto dal giudice, anche per pene superiori a 5 anni.

Se si vuole credere ad una giustizia garantista, che mette al centro il condannato e non la condanna, ulteriori misure da aggiungere e che il Parlamento avrebbe la possibilit­à di legiferare: prima fra tutte eliminare la l’ipotesi di andare in carcere prima del giudizio in primo grado. Attualment­e un terzo dei detenuti e detenute è in carcere in attesa di giudizio nonostante la Commission­e ministeria­le presieduta da Francesco Carlo Palazzo, sotto i ministri della giustizia Cancellier­i-Orlando, avesse modellato l’uso di “dimore sociali”: luoghi in cui poter eseguire la misura cautelare personale o la detenzione domiciliar­e nei confronti di chi un domicilio non ce l’ha.

Voltaire già nel 1700 esprimeva un concetto chiave di quelle società che si definiscon­o liberali, democratic­he e garantiste: Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una Nazione.

Dati, storie, fatti e leggi alla mano, la nostra nazione ha un problema andrebbe risolto, cercando di non identifica­re chi va in carcere come il problema ma tutto il sistema nel suo insieme.

“Il sistema carcere è malato, opprime l’individuo e non rispetta la Costituzio­ne ”

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