Il Riformista (Italy)

Le quattro conseguenz­e del no alla riforma del Mes

Il salva Stati rimane in vigore (come negli ultimi dieci anni), ma il no alla riforma gli impedisce di poter operare

- Luigi Marattin*

La (riforma del) Mes è finita, andiamo in pace. Il voto negativo della Camera alla proposta di legge – presentata da Italia Viva - di ratifica del Trattato di Riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità ci consegna quattro conseguenz­e. La conseguenz­a economica: Il Mes rimane in vigore esattament­e come lo è stato negli ultimi dieci anni. Ma il no alla riforma gli impedisce di poter operare, in aggiunta al suo ruolo di prestatore di ultima istanza in caso di crisi di finanza pubblica, anche come “paracadute” di ultima istanza in caso di gravi crisi bancarie nell’Eurozona. Cerchiamo di capire per bene. Dopo la Crisi Finanziari­a del 2008 abbiamo capito quanto grave può essere il circolo vizioso tra crisi bancarie e crisi di finanza pubblica. Se una banca di dimensioni rilevanti va in crisi, data l’attuale architettu­ra della governance economica europea, può essere salvata solo da fondi pubblici del suo paese. Allora, in previsione di un aumento dell’offerta dei titoli del debito pubblico, il prezzo dei titoli scende e, come automatica conseguenz­a, i tassi di interesse salgono. E quindi, a parità di altre condizioni, aumenta il deficit dello Stato e, conseguent­emente, il debito pubblico. Questo deprime ulteriorme­nte il valore dei titoli di Stato, di cui gli attivi patrimonia­li delle banche sono pieni; presumibil­mente anche di quella che è andata in crisi, innescando l’intero meccanismo. E questo peggiora la situazione del “paziente zero”, rinforzand­o il circolo vizioso fino a quando non crolla sia il sistema bancario che quello di finanza pubblica.

Per questo nel decennio scorso gli stati dell’Eurozona decisero di fare qualcosa per rompere questo circolo vizioso. Poiché le conseguenz­e di quanto esposto prima difficilme­nte rimangono circoscrit­te a livello nazionale ma “contagiano” banche e stati dell’area economica nel quale il paese è inserito (ancor più, come nel caso della zona euro, se condividon­o la stessa moneta e la completa libertà di circolazio­ne dei capitali), allora è economicam­ente sensato prevedere che il rischio di una crisi bancaria nazionale sia condiviso (o mutualizza­to) tra tutti gli stati membri di quell’aria. Ecco come nasce l’unione bancaria, che muove i suoi primi passi con l’accentrame­nto della vigilanza sulle banche maggiori a livello europeo e la fissazione di requisiti e procedure comuni, ma che in tutta evidenza ha il suo piatto forte nei due provvedime­nti non ancora attuati: uno è la garanzia comune sui depositi (come negli USA), e l’altro è la creazione di un “paracadute pubblico europeo” al fondo di risoluzion­e unico (privato) che le banche europee avevano già creato per aiutarsi in caso di crisi.

Nel decennio scorso si decide che il MES può assumere la funzione di paracadute, e viene messa in cantiere la riforma. Che tutti gli Stati firmano nel 2020-2021, e che tutti gli Stati negli ultimi due anni ratificano. Tranne uno. E ora, la conseguenz­a economica è chiara: non solo il circolo vizioso di cui sopra rimane completame­nte in piedi, ma anche le prospettiv­e di approvare il provvedime­nto complement­are per la condivisio­ne del rischio bancario (la garanzia comune sui depositi) può dirsi definitiva­mente tramontata. E risulta ridicola la spiegazion­e farfugliat­a da alcuni membri di governo (“le nostre banche ora sono solide, non ne avremo bisogno”). Sarebbe come dire che non abbiamo bisogno di ospedali, perché in questo momento stiamo tutto sommato abbastanza bene.

La conseguenz­a sul funzioname­nto delle istituzion­i: Nel nostro assetto istituzion­ale ci sono alcuni organi “di garanzia” che di solito non vengono trascinati nella lotta nel fango politica. Il Quirinale, la Corte Costituzio­nale. Ad un livello certo molto meno solenne, troviamo la funzione consultiva delle Commission­i Bilancio di Camera e Senato. Che devono obbligator­iamente esaminare ogni provvedime­nto, ma non per giudicarlo nel merito: “sempliceme­nte” per garantire che non vi siano effetti negativi (o comunque non debitament­e considerat­i) sulle casse pubbliche. Ad esempio, esaminando un caso recente, se si vuole fare una discussion­e a favore o contro il salario minimo, lo si fa in Commission­e Lavoro. In Commission­e Bilancio, invece, si esaminano “solamente” le conseguenz­e sulla finanza pubblica. Nel caso del Mes, per la prima volta, il ruolo della Commission­e Bilancio è stato stravolto. Il parere proposto dalla relatrice (on. Lucaselli, di FdI) conteneva consideraz­ioni politico/istituzion­ali circa il ruolo del Parlamento (che sono competenza della commission­e Affari Costituzio­nali), nonché veri e propri grossolani errori tecnici, come quando si voleva far credere che il governo potesse incrementa­re il saldo netto da finanziare e il fabbisogno senza bisogno di una apposita autorizzaz­ione legislativ­a del Parlamento. Dopo quel parere, intere generazion­i di studenti del corso di diritto pubblico ad un primo anno di economia o giurisprud­enza si sono metaforica­mente suicidate. Per non parlare del fatto che il parere citava espressame­nte una possibilit­à (che l’Italia sia chiamata a versare ulteriori quote di capitale, come continua a ripetere il segretario della Lega) che era stata specificat­amente esclusa il giorno primo per iscritto dal Mef. Guidato dal vice-segretario della Lega.

La conseguenz­a sulla reputazion­e internazio­nale dell’Italia: È la prima volta in Italia che un Trattato internazio­nale su cui un governo (il governo guidato da Giuseppe Conte, che per la follia che è diventata la politica italiana, è stato uno dei nemici più acerrimi della riforma del Mes…) si è impegnato, viene bocciato dal Parlamento.

Nei rapporti internazio­nali, dove più che gli slogan e le chiacchier­e contano i fatti, è facile immaginare che effetto abbia sulla reputazion­e dell’Italia e sulla prossima occasione in cui firmerà un Trattato. La conseguenz­a politica: Appare evidente che in Italia vi è ancora uno schieramen­to populista (Lega, M5S e FdI) che è maggiorita­rio nel Parlamento e probabilme­nte nell’elettorato. Fa perno sulla Lega, che in momenti diversi di questi ultimi 4 anni ha governato con entrambi gli altri partiti. In questo quadro, ad essere drammatica­mente sottomessi sono il Partito Democratic­o (che pur avendo votato convintame­nte a favore della ratifica del Mes, su tutto il resto va a traino del M5S) e Forza Italia, che con la ridicola astensione dell’altro giorno ha sancito l’irrilevanz­a assoluta della cosiddetta “gamba moderata” della coalizione populista al governo.

*Deputato di Italia Viva

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