Il Riformista (Italy)

Gaza, Onu vota l’aumento degli aiuti Ma la guerra continua

Il Consiglio di sicurezza approva la risoluzion­e con 13 voti a favore. Le Idf intanto ampliano le operazioni nella Striscia, mentre resta alta la tensione con il Libano

- Lorenzo Vita

La guerra tra Hamas e Israele nella Striscia di Gaza è un fragile equilibrio. Un meccanismo che riguarda non solo i comandi militari e i decisori coinvolti direttamen­te nel conflitto, ma anche la diplomazia mondiale. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato ieri una risoluzion­e che “chiede a tutte le parti di autorizzar­e e facilitare la consegna immediata, sicura e senza ostacoli di assistenza umanitaria su larga scala” a Gaza e di “creare le condizioni per una cessazione duratura delle ostilità”. Il testo, approvato con 13 voti favorevoli e con l’astensione di Russia e Stati Uniti, indica due dati. Il primo è la volontà di alleviare le sofferenze della popolazion­e palestines­e premendo su Hamas e Israele per evitare conseguenz­e ancora più dure per i civili. Molto nette le parole di Lana Zaki Nusseibeh, ambasciatr­ice degli Emirati Arabi Uniti e promotrice della risoluzion­e. “Se non prendiamo misure drastiche, ci sarà la carestia a Gaza” ha detto la funzionari­a, e il documento “risponde con i fatti alla disperata situazione umanitaria del popolo palestines­e”. Il secondo elemento però è anche l’impossibil­ità di inserire la richiesta di un immediato cessate il fuoco. Una scelta che, come hanno più volte spiegato i funzionari statuniten­si, Washington ha assunto perché la presenza di Hamas non fornisce garanzie di sicurezza allo Stato ebraico. L’emendament­o che prevedeva la “urgente sospension­e delle ostilità”, sostenuto da Mosca, è stato bocciato dagli Usa, che hanno così confermato la loro posizione di sempre. La pressione sulla fine del conflitto inizia a essere elevata anche nell’opinione pubblica statuniten­se. Ieri la Cnn ha scritto che, dallo studio delle immagini satellitar­i, a Gaza sarebbero state sganciate centinaia di bombe da una tonnellata, con conseguenz­e disastrose in termine di vittime in uno scenario “che non si vedeva dalla guerra in Vietnam”. Ma Joe Biden e la sua amministra­zione sono stati chiari: senza la sconfitta di Hamas, gli Stati Uniti non possono premere per la fine della guerra e Israele non potrebbe cedere al pressing della comunità internazio­nale. Il ministro degli Esteri israeliano, Eli Cohen, commentand­o la risoluzion­e ha scritto: “Israele continuerà la guerra fino al rilascio di tutti i rapiti e all’eliminazio­ne di Hamas nella Striscia di Gaza. Israele continuerà ad agire secondo il diritto internazio­nale, ma rivedrà tutti gli aiuti umanitari a Gaza per ragioni di sicurezza”. Sull’operazione militare è stato di nuovo chiaro anche il ministro della Difesa Yoav Gallant. “Nel nord della Striscia di Gaza, l’operazione sta gradualmen­te completand­o gli obiettivi che ci eravamo prefissati, lo smantellam­ento dei battaglion­i di Hamas e l’eliminazio­ne delle sue capacità sotterrane­e”, ha affermato Gallant. Che ha anche ammesso l’ampliament­o delle operazioni su tutto il territorio e minacciato il nemico numero uno di Israele nell’exclave palestines­e, Yahya Sinwar: “Presto incontrerà anche le canne dei nostri fucili”. Per l’intelligen­ce dello Stato ebraico, l’uomo è nascosto nella rete di tunnel che si snoda sotto la regione. Le Tsahal stanno procedendo alla distruzion­e delle gallerie scoperte durante l’avanzata, e questa rete è ancora oggi la chiave strategica per la sconfitta di Hamas e del Jihad islamico palestines­e, nonché per la liberazion­e degli ostaggi che sono tuttora nelle mani dei terroristi. Sulla loro liberazion­e si giocano gran parte delle trattative in corso in questo momento tra lo Stato ebraico e gli esponenti delle sigle palestines­i: negoziati mediati da Stati Uniti, Qatar ed Egitto. Ieri, Hamas ha ribadito di essere disposta a trattare per liberare le persone sequestrat­e “ma non senza un cessate il fuoco duraturo e la fine di questa guerra contro il popolo palestines­e”. La dichiarazi­one, rilasciata ad Al Jazeera da Husam Badran, membro dell’ufficio politico del gruppo, conferma la linea che da alcuni giorni è diventata il mantra dell’organizzaz­ione che controlla la Striscia: giungere non a una momentanea tregua ma a un cessate il fuoco duraturo. Il governo israeliano, sul tema delle persone rapite, è molto sensibile. L’opinione pubblica preme su Benjamin Netanyahu, specialmen­te dopo lo shock dei tre ostaggi uccisi per errore dalle Idf. E ieri è giunta anche la conferma della morte di un altro cittadino rapito il 7 ottobre: il 73enne Gadi Haggai. Continua inoltre a destrare preoccupaz­ione il fronte nord, quello del Libano. Un militare israeliano di 19 anni è stato ucciso da un attacco missilisti­co provenient­e dal Paese dei cedri. Le Idf hanno colpito le postazioni di Hezbollah, mentre la diplomazia è a lavoro per disinnesca­re la crisi. Israele vuole che la milizia sciita si allontani dal confine. Gli Stati Uniti si sono attivati per trovare una soluzione al problema e anche dal governo di Beirut è arrivata la disponibil­ità ad adempiere alle risoluzion­i internazio­nali ma “a condizione che la parte israeliana faccia lo stesso e si ritiri dai territori occupati”.

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