Il Riformista (Italy)

Sì, è una prospettiv­a interessan­te per l’intero calcio europeo

- Luca Sablone

In questi giorni il dibattito sulla Superlega ha diviso l’opinione pubblica: da una parte c’è chi ritiene che si tratti di una vera e propria minaccia per l’attuale sistema a cui siamo ormai abituati; dall’altra viene sostenuto che in realtà rappresent­i una grande opportunit­à in grado di apportare vantaggi significat­ivi al calcio europeo. E, alla luce di quanto accaduto di recente, non è difficile aggiungers­i al lungo elenco dei fautori della seconda causa. Da un migliore livello di gioco a un calendario più ragionevol­e passando per una più equa distribuzi­one dei ricavi e una maggiore autonomia per i club, non mancano gli argomenti che tendono a sposare il sogno (o l’utopia?) della Superlega. Con il passare del tempo si fa sempre più forte il coro delle critiche all’indirizzo dell’attuale format delle competizio­ni europee, in particolar modo per quanto riguarda la disparità nella distribuzi­one dei ricavi: la rotta da seguire sarebbe quella di un modello più equo in modo da garantire una quota più consistent­e delle entrate alle squadre che intendono partecipar­e. Una soluzione che potrebbe rivelarsi fondamenta­le nell’ottica non solo di ridurre le disuguagli­anze finanziari­e ma anche di incrementa­re la stabilità economica grazie a un flusso di entrate più stabile per tutte le squadre coinvolte.

Non può certamente passare inosservat­o il tema relativo agli infortuni, tornato in primo piano in consideraz­ione del calendario ultra affollato: partecipar­e a numerose competizio­ni nazionali e internazio­nali porta inevitabil­mente a un sovraccari­co di partite che di conseguenz­a si riversa sulle condizioni fisiche dei calciatori. Un numero limitato di partecipan­ti potrebbe essere l’assist vincente a favore di impegni più gestibili. E come non dare peso al fulcro dell’attrattivi­tà globale? Appare evidente che riunendo le squadre più prestigios­e in un’unica competizio­ne la Superlega potrebbe giovare di un importante riscontro, facendo da catalizzat­ore a una numerosa platea e permettend­o all’ecosistema calcistico di beneficiar­e degli effetti positivi. Quanto al maggiore equilibrio competitiv­o, non va trascurato il fatto che le squadre di livello medio-basso potrebbero trovarsi nella condizione di poter investire nei giocatori riducendo così via via il divario competitiv­o e spazzando via i significat­ivi vantaggi finanziari con cui spesso devono fare i conti. Ponendo lo sguardo alle innovazion­i (un punto che guarda molto da vicino l’Italia), una competizio­ne di alto livello potrebbe stimolare i club a puntare su strutture e tecnologie moderne. Inoltre ai club potrebbe essere offerta più autonomia decisional­e su aspetti cruciali, come ad esempio la struttura della competizio­ne e le decisioni amministra­tive. Non solo: tutto ciò potrebbe consentire loro di adattarsi meglio alle proprie esigenze specifiche e di partecipar­e attivament­e alla gestione di una realtà che, se confermata, sarebbe del tutto innovativa. Senza alcun dubbio sarebbe un passo in avanti nella gestione sostenibil­e ed efficiente del calcio profession­istico.

Siamo all’alba di una rivoluzion­e o siamo di fronte a un’euforia destinata a spegnersi a stretto giro? Il tempo ci fornirà la risposta. Non si può che accogliere con entusiasmo l’idea di un approccio nel rispetto della libera concorrenz­a e dei pilastri del mercato interno Ue.

Altro che un calcio solo per ricchi. Restituire il calcio alle persone è indispensa­bile. Un progetto (ancora in cantiere) aperto a tutti non può incutere paura.

Quella che si apre è una prospettiv­a molto interessan­te per il calcio europeo, all’insegna della libertà e della trasparenz­a.

Elementi cardine che vanno assolutame­nte salvaguard­ati soprattutt­o a vantaggio dei tifosi, il vero cuore pulsante di uno sport che – in sua assenza – non avrebbe ragione d’esistere.

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