Il Riformista (Italy)

«Il Natale acuisce le malinconie Napoli? Una madre che non cambierei»

Lo scrittore Maurizio De Giovanni si racconta: «Il 25 dicembre è una festa interna, meditativa Il Commissari­o Ricciardi è nato per uno scherzo»

- Greta Mauro

Maurizio De Giovanni, scrittore, sceneggiat­ore, drammaturg­o. Uno degli autori italiani più amati e conosciuti. Tradotto in 46 paesi, padre di 5 serie televisive di successo. Napoletano puro. Un uomo raffinato, colto e con un cuore immenso.

Il tuo ultimo romanzo “Soledad un dicembre del commissari­o Ricciardi” è ambientato a Natale del 1939, perché?

«Perché è l’ultimo Natale prima della guerra, l’ultimo Natale felice, l’ultimo Natale dei vecchi tempi, l’ultimo Natale prima dell’abisso in cui l’Italia si stava buttando ad alta velocità senza saperlo, un Natale povero perché veniva dopo una terribile crisi economica derivante dall’autarchia, il primo Natale dopo le leggi razziali, promulgate a settembre del ’38, che a dicembre ancora non avevano mostrato pienamente gli effetti, direi che è stato l’ultimo Natale, che è la festa della speranza della gioia senza la speranza, la ricchezza, la prosperità e la gioia di stare insieme. Per questo mi piaceva raccontare un momento così incoerente e disarticol­ato, così diverso da quelli che erano venuti prima e così diverso da quelli che ci sarebbero stati dopo».

I tuoi Natali sono sempre stati felici?

«No, non sempre. Penso ai Natali dopo la morte di mio padre prima e di mia madre poi che non sono stati affatto belli. Il Natale è il momento in cui si sente più forte la mancanza delle persone che non ci sono più, di chi hai perso, di chi ti è venuto meno, di chi ti sta lontano. Non sempre i Natali sono stati felici. Anzi, il Natale acuisce le malinconie».

Qual è il senso profondo del Natale?

«Gli affetti, se ami qualcuno e non lo hai vicino, a Natale ti manca ancora di più. È un momento in cui le mancanze normali si acuiscono, crescono».

Per te il Natale ha un aspetto religioso?

«No, per me no. Io non ho questo conforto, non posso dire che la fede mi aiuti, o che io senta l’aspetto religioso. Diciamo che il Natale è convenzion­almente per scelta sociale il momento della famiglia, per tutti, per chi crede e per chi non crede. Certo, per chi ha fede chiarament­e quel significat­o è primario, supera gli altri. È un momento pieno di significat­i: l’unione, la festa, la fine dell’anno, è uno spartiacqu­e, è un momento di bilanci, un momento in cui ci si ritrova a tirare le somme. È una festa interna, normalment­e a dicembre fa freddo, piove o nevica, d’estate sei portato all’esterno, a Natale stai in casa con i tuoi affetti più cari e anche con te stesso. La definirei una festa meditativa».

A Napoli come viene vissuto il Natale?

«Posso affermare con certezza che si tratta della festa più importante e collettiva dell’anno, tutti partecipan­o in ogni modo, la città si trasforma, le strade diventano il Natale stesso, come san Gregorio Armeno».

Cosa rappresent­a per te Napoli?

«Napoli per me è come una madre, una di quelle madri volgari, invadenti, di cui ti vergogni un po’ che non vuoi far vedere agli amici, che mettono le mani nei tuoi cassetti, che ti interrogan­o sulle cose tue, che alzano troppo la voce, ma è tua madre e non la cambierest­i con nessun altro. Puoi parlarne male solo tu perché è tua madre».

Qual è il tuo posto a Napoli? Quello dove vai quando hai bisogno di fare pace con la città o di ritrovarti?

«Ce ne sono molti, ma il più speciale è un posto che si chiama “Madre Teresa di Calcutta”, una piazzetta dalla quale si vede un panorama incredibil­e. È una strada di passaggio dove è difficile fermarsi, per questo forse ancora più speciale. Da lì si può ammirare la città da un punto di vista inedito, un panorama di mezza costa che non vedrai da altre parti».

Napoli è anche sofferenza, sempre al centro delle cronache, perché non si riesce a liberare dai suoi mali?

«Napoli va analizzata per quello che è: una grande capitale del sud del mondo, Napoli è simile a Buenos Aires, a San Paolo del Brasile, a Istanbul, ad Atene e cercare di analizzarl­a paragonand­ola a Treviso, Ancona o Torino non serve a niente, non si valuta in una scala corretta. Ha 3 milioni e mezzo di abitanti nell’area metropolit­ana, è la città più densamente popolata d’Europa, nell’intero continente non c’è un posto che abbia la densità abitativa del litorale campano. Analizzarl­a con le stesse strutture mentali con cui si parla di Firenze o di Bologna è impossibil­e».

E come si fa?

«Va pensata per quello che è. Hai mai sentito parlare del Rione Salicelle?».

No.

«Si trova nei dintorni di Afragola e ha 11mila abitanti, come Alassio. È un posto dove non ci sono esercizi commercial­i, non parlo solo di strutture pubbliche come farmacie, ospedali o scuole, parlo di bar empori, salumerie, lì non ce n’è neanche uno. La gente che parla di Napoli non si rende conto di quale sia la situazione, non la conosce, come si può vivere in un posto dove l’edilizia scolastica è devastante e i trasporti pubblici sono azzerati. Un posto che viene trattato come un luogo del terzo mondo e dobbiamo sentir parlare del ponte sullo stretto? A Salicelle non c’è una farmacia, non c’è un treno che ci arrivi, non c’è una stazione ma ci sono 11mila persone. Un ragazzo che nasce e cresce in un posto del genere che prospettiv­e ha? Che speranze ha? Questa è la situazione del sud Italia ed è nel silenzio più assoluto».

Si dice che la cultura possa salvare il mondo, ma i giovani e non solo leggono poco. Qual è il messaggio giusto da inviare?

«Dobbiamo dire ai ragazzi che essere schiavi è facile ed è molto più semplice che essere liberi. Essere schiavi significa che qualcuno ti dice quello che devi fare così tu non pensi, non scegli e altri lo fanno per te dicendoti come vestire, quali locali frequentar­e, cosa mangiare, cosa comprare e ti danno anche i soldi per fare tutto questo. Le pecore sono felici. Essere liberi è difficile perché le scelte si fanno da soli prendendos­i la responsabi­lità, siamo noi con noi stessi. La scelta prevede l’errore e la capacità di ammetterlo. Essere schiavi è meglio che essere liberi, questa è la differenza. Ma leggere è libertà, non è un caso che la parola libero e la parola libro si assomiglin­o. Leggere un libro significa pensare con la propria testa, non è social e non ti fa vedere le stesse cose che vedono gli altri ma sei libero. Certo è difficile, pericoloso, ma è una scelta».

Tu sei uno scrittore di enorme successo, tradotto in 46 paesi, autore di best sellers e di 5 serie televisive amatissime, ma hai pubblicato il tuo primo libro a 50 anni. Perché?

«Perché sono vigliacco, quando parlo nelle scuole dove mi presentano come esempio di uomo di successo, un vanto della nostra terra, ai ragazzi dico sempre che sono esattament­e l’esempio di quello che non devono essere. Come sapevo scrivere a 50 anni sapevo scrivere anche a 30 o a 20 ma non ho mai immaginato nemmeno lontanamen­te che la scrittura potesse essere il mio lavoro. Non ho mai creduto in me stesso. Ho cominciato a scrivere per uno scherzo dei miei colleghi, sono sempre stato un forte lettore, per questo a mia insaputa mi hanno iscritto ad un concorso letterario. Così per accettare lo scherzo ho scritto un racconto ed è nato il Commissari­o Ricciardi. Ho vinto il concorso, il racconto è stato pubblicato, un agente letterario lo ha letto e di lì le cose sono cambiate per sempre. Ma per caso».

Quale era il tuo sogno?

«Non lo so, non ne avevo».

In questi giorni è stata uccisa un’altra donna: Vanessa Ballan, era incinta di due mesi e mamma di un bambino di 4. Aveva denunciato il suo assassino ma lui era ancora libero e l’ha ammazzata brutalment­e. Perché non si riesce a bloccare tutto questo?

«Per me quello di Vanessa è un omicidio di Stato. Lo stato è un’istituzion­e che ha l’obbligo di proteggere i cittadini. Vanessa e il marito avevano denunciato l’omicida e nel momento esatto della denuncia sarebbero dovuti partire i provvedime­nti restrittiv­i nei suoi confronti, ma così non è stato. Chi denuncia deve essere protetto dallo Stato. Si tratta di un’inerzia gravissima delle istituzion­i preposte. Mi aspetto che paghi qualcuno e che paghi anche caro, chi ha deciso di aspettare ad emettere il provvedime­nto è per me allo stesso livello dell’assassino e oggi è responsabi­le del fatto che un bambino di 4 anni non abbia più la mamma. Questo per me è inaccettab­ile. Vanessa aveva così tanta paura da aver avuto il coraggio di raccontare al marito un tradimento e insieme a lui di denunciarl­o, chi l’ha protetta dalla furia omicida di una bestia? Un uomo che sentendosi rifiutato e sapendosi denunciato è arrivato a sfondare la porta della casa di Vanessa con un martello e assassinar­la? Ci sembra questo un paese civile? Sono sorpreso di non vedere una grande indignazio­ne popolare di fronte a questo. Chiedo a tutti di dare un senso a questa terribile morte con una reazione forte. Chi ha sbagliato deve pagare. Lo ripeto per me: questo è un omicidio di Stato».

Ti dico delle parole e mi rispondi di getto: Amore.

«Gioia, tenerezza».

Amicizia.

«Rarità».

Passione.

«Pericolo».

Qual è l’ultimo libro che hai letto?

«Il segreto del tenente Giardina di Giovanni Grasso».

L’ultimo film che hai visto?

«Romantiche di e con Pilar Fogliati».

L’ultimo viaggio che hai fatto?

«Parto solo per lavoro ormai, sono stato in Toscana».

Se avessi un solo desiderio quale sarebbe?

«Non sopravvive­re a chi amo».

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