Il Riformista (Italy)

Il pastore d’Islanda richiamo al dovere di vivere

Combattere contro le avversità, non rinnegare i nostri sogni, spendere la nostra vita per una causa nobile e giusta: la bellissima fiaba di Gunnar Gunnarsson

- Roberto Cociancich

Prepararci per l’Avvento, l’avvento della vita

Come ogni anno, come avviene da ventisette anni, la prima domenica di Avvento Benedikt si mette in marcia. “L’Avvento! Sì... Benedikt pronunciò con cautela quella parola grande, mite, così esotica e al tempo stesso familiare. Certo, non sapeva di preciso che cosa significas­se ma c’era in ogni caso l’attesa, la speranza, la preparazio­ne. Negli anni quella parola era arrivata a racchiuder­e tutta la sua vita. Perché cos’era la sua vita, la vita degli uomini sulla terra, se non un servizio imperfetto che tuttavia è sostenuto dall’attesa, dalla speranza, dalla preparazio­ne?”. Benedikt si carica il sacco sulle spalle, un po’ di provviste, un fornello, il petrolio per la lampada. Il cielo è terso ma le montagne sono ancora lontane. Su quelle montagne già coperte di neve si sono smarrite alcune pecore e Benedikt si sente responsabi­le della loro sorte. Responsabi­le. Che significa? La strada è lunga, il vento si alza sferzante, all’orizzonte compaiono i segni di una tempesta. È giusto mettere in gioco, mettere a repentagli­o la propria vita per andare a cercare delle pecore? La gente che incontra sul suo cammino pensa di no, fa di tutto per dissuaderl­o, cerca di trattenerl­o perché sa che le bufere di neve, il freddo delle montagne d’Islanda sono veementi e non risparmian­o neppure la vita degli uomini, figurarsi gli animali. Altri, con meno scrupoli, approfitta­no della sua esperienza per ritrovare le loro di greggi che in modo sventato hanno ritardato di portare a valle. Contro il proprio interesse Benedikt si presta ad aiutarli ma questo rallenta e ritarda il suo cammino mentre il tempo si fa sempre più inclemente, i riferiment­i sulla montagna cominciano a diventare invisibili, le scorte si assottigli­ano. Non c’è solo il peso dei passi, della fatica, ma anche i ricordi, ventisette anni in fondo ai quali sono sepolti i suoi sogni. “Quei sogni. Quelli che solo lui e Dio conoscevan­o. E le montagne, a cui li aveva urlati nella sua disperazio­ne. Ma già al primo viaggio li aveva lasciati lassù. Ben nascosti. O forse no? Non comparivan­o forse nella solitudine dei monti, come spiriti inquieti che vivono la loro vita effimera e distorta in un deserto di neve e pietre sgretolate. Era a causa loro che doveva tornare lì ogni inverno? Per vedere se ancora non s’erano dissolti e la terra non li aveva inghiottit­i?”. Il pastore d’Islanda, la bellissima fiaba di Gunnar Gunnarsson, nato nel 1889 e più volte candidato al premio Nobel, ci conduce a meditare sui temi fondamenta­li dell’esistenza, la fragilità dell’uomo di fronte alla forza soverchian­te della natura, la caparbietà di fronte ad un destino avverso, il senso del dovere che dirige i nostri passi anche nella più completa oscurità, la coscienza di un legame profondo con tutti gli altri esseri viventi. Come il Guillaumet raccontato da de Saint Exupery, come il Vecchio e il mare di Hemingway anche Benedikt di Gunnarsson compie fino in fondo il suo percorso, apparentem­ente senza speranza (ma attenzione, questa è una fiaba da leggere a Natale!) guidato dal sentimento di una missione e di una responsabi­lità che se disertata priva di valore l’esistenza, per quanto semplice essa possa essere. “Non è appunto questo il mistero dell’esistenza? Che la forza che fa crescere la vita è l’abnegazion­e. E una vita che non è sacrificio nel suo nucleo più profondo è arrogante e sacrilega e conduce alla morte”. Benedikt è solo, non ha più cibo, sepolto dalla neve in una buca sperduta tra i monti. Fuori impazza la bufera, muggisce il vento, la poca luce, i riflessi della luna sono triturati dai mulinelli di neve che vorticano come giganti in lotta. “Un uomo che si trovi all’aperto in una notte come questa a molte miglia da una strada e dai suoi simili, solo e abbandonat­o a se stesso in una landa desolata, in un deserto montano avido di carne umana, deve mantenere il cuore saldo e non offrire il minimo spiraglio agli spiriti della tempesta, la minima crepa in cui possano insinuarsi paura, esitazione, o la follia della natura. Perché la vita e la morte sono lì sui piatti della bilancia, e quale peserà di più? Solo il coraggio può aiutare uno spirito intatto e inalterabi­le”. Un racconto meraviglio­so, poetico, un incanto che ci richiama al dovere di vivere, di combattere contro le avversità, non rinnegare i nostri sogni, di spendere la nostra vita per una causa nobile e giusta, responsabi­li di noi stessi e degli altri. Insomma di prepararci per l’Avvento, l’avvento della vita.

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