Il Riformista (Italy)

L’anno che verrà

- Riccardo Nencini

L’anno politico, intendo, che si aprirà in febbraio con le celebrazio­ni del centenario della morte di Giacomo Matteotti. Una mostra a Roma inaugurata dal presidente della repubblica.

Più che memoria del passato, la storia di Matteotti si impone sul nostro futuro politico e ruota attorno al suo essere un riformista rivoluzion­ario. Radicale nelle riforme per rendere l’Italia più civile e più libera, dunque investimen­to nella scuola, diritti fondamenta­li per il mondo del lavoro, difesa della democrazia parlamenta­re quando anche a sinistra la si riteneva un ferro vecchio, vitalità dell’organizzaz­ione di partito. Altrettant­o radicale nel proporre alleanze per ostacolare l’arrivo al potere di Mussolini. Saranno Matteotti e Turati, fin dal febbraio del 1922, ben prima della marcia su Roma, ad avanzare l’idea, poi bocciata da massimalis­ti e Vaticano, di una coalizione tra socialisti riformisti, popolari sturziani e liberali amendolian­i. Chissà cosa sarebbe successo se si fosse concretizz­ata.

E oggi? Qual è il monito di quella vita scempiata ridotta a un mucchio di ossa per salvare un barlume di libertà?

Il ricordo ha un senso se può essere una lezione di vita, non se resta ancorato a celebrazio­ni di maniera.

I tempi sono indubbiame­nte diversi. Tuttavia. Cinaue fattori tendono a ripetersi: desiderio dell’uomo (della donna) solo al comando, linguaggio offensivo, crudo, amplificat­o dai social, superficia­lità di analisi, tendenza a chiudersi in un preoccupan­te sovranismo, tendenza a ridiscuter­e diritti civili da tempo conquistat­i.

Temo che questo orizzonte non muterà nel medio periodo.

Temo che senza la costruzion­e di un fronte riformista ampio e coeso che punti con decisione agli Stati Uniti d’Europa e che riunisca attorno a un progetto per l’Italia le tre anime che l’Europa l’hanno fatta davvero, l’attuale capo del governo sia destinato a durare oltre i suoi meriti.

L’idea di Matteotti era presentare un’alternativ­a al fascismo rompendo con la tradizione di conflitti che aveva messo in un angolo le forze di centrosini­stra nel primo dopoguerra. Le forze politiche riformatri­ci, non i partiti massimalis­ti. Dopo la sua morte anche De Gasperi cercherà di battere quella strada accogliend­o la proposta che proveniva da Filippo Turati e da una parte cospicua degli aventinian­i. Troppo tardi.

Il rischio che non possiamo correre e’ che, cento anni dopo, seppur, lo ripeto, in condizioni mutate, si manifesti di nuovo un ritardo colpevole di cui torneremo a discutere all’indomani del centenario, quando ricorderem­o altri morti ‘ammazzati’, Piero Gobetti e Giovanni Amendola, per nulla distanti dai propositi di Matteotti.

Il tempo, in politica, è decisivo. Fare una cosa oggi ha un senso, farla domani è un errore. E gli errori si pagano. Sempre.

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