Il Riformista (Italy)

Gli artisti difendono Depardieu Lezione contro il giustizial­ismo

In Francia 60 intellettu­ali e personaggi dello spettacolo hanno preso le parti dell’attore Non sta alla società mettere alla gogna un uomo prima di una sentenza: servono le prove

- Annarita Digiorgio

“C’è una cosa che non mi vedrete mai fare, sono le cacce all’uomo. Le detesto. Sono un grande ammiratore di Depardieu, un attore straordina­rio, un genio dell’arte che rende fiera la Francia. Ha fatto conoscere il nostro paese, i nostri registi, i nostri personaggi in tutto il mondo, rendendoci orgogliosi. Si può accusare qualcuno, la gente ne può discutere, ma esiste la presunzion­e d’innocenza: Depardieu deve potersi difendere come chiunque altro e continuare a lavorare e a creare. È vero che in quanto presidente sono il gran maestro della Legion d’onore, ma non voglio fare la morale a nessuno. Altrimenti dovrei revocare l’onorificen­za a tantissime persone. È possibile che Depardieu abbia commesso degli abusi, ed è possibile che ci siano delle vittime, ma esiste anche la presunzion­e d’innocenza. Se ogni volta che qualcuno ti accusa delle peggiori cose tu, che hai un ruolo pubblico, non puoi più fare nulla, si respira un’aria di sospetto, non è più democrazia e non siamo più cittadini liberi”. Sono le parole pronunciat­e in un video da Emmanuel Macron. Il presidente francese è sceso in campo in prima persona per difende non la persona Gérard Depardieu, ma la presunzion­e di innocenza di chiunque. Perché oggi è toccato a lui, ma prima, solo per rimanere nell’ambito del cinema, a Kevin Spacey, a Jonny Deep, a Paul Haggis. Attori famosi che in pochi mesi hanno visto distrugger­e la propria carriera sull’altare del metoo, per poi venire assolti. Con un massacro mediatico proporzion­ale alla capacità di difendersi in tribunale. Ma quanti poveracci non hanno questa possibilit­à di difesa? Depardieu è solo l’ultimo dei casi. È indagato dal 2020 per uno stupro ai danni dell’attrice Charlotte Arnould ed è stato accusato più di recente dall’attrice Hélène Darras, nell’ambito di una presunta aggression­e sessuale perpetrata nel 2007. Mentre pochi giorni fa, anche la giornalist­a spagnola Ruth Baza ha presentato una denuncia formale nei suoi confronti per abusi sessuali risalenti al 1995. Come altre volte in passato, messo un attore al patibolo molte corrono a denunciarl­o per fatti risalenti nel tempo. Nessuno qui dice che non siano veri, quello che difendiamo, come il presidente Macron, è la presunzion­e di innocenza che deve valere per tutti, fino a sentenza definitiva. Per tutti e per qualunque tipo reato. Perché siamo bravi oggi a ogni anniversar­io di Enzo Tortora a ricordare il danno da lui subito, ma meno ad evitare che accada ancora. E se pure qualcuno è attento a non ricascarci per reati come ad esempio l’abuso d’ufficio, tutti torniamo giustizial­isti se si tratta di violenza sessuale. O se a denunciare è una donna. È vero che spesso è accaduto che non vengono credute, o che le azioni inibitorie arrivino troppo tardi. Ma questi sono compiti che spettano, e vanno fatti appurare e decidere, alla magistratu­ra. Non sta alla società mettere alla gogna, o alla ghigliotti­na, un uomo prima di una sentenza. Invece oggi se provi solo a difendere la presunzion­e di innocenza di un uomo accusato da una donna, vieni accusato di “patriarcat­o” se non già di “concorso in femminicid­io”. Ma poniamoci una domanda: hanno fatto bene o male ai diritti delle donne le campagne metoo con cui hanno alzato il pugno scagliando­lo letteralme­nte sui testicoli a uomini che in realtà erano innocenti? Le donne vanno difese, se hanno ragione. Non a prescinder­e, in quanto tali. Perché è successo che sulla scia di questo movimento alcune donne hanno inventato stupri e violenze sapendo che solo perché donne la società avrebbe cavalcato le loro denunce. Rovinando gli uomini, ma alla fine anche le donne. Bisogna difendere la verità, non i pregiudizi, i diritti, non gli stereotipi, le donne, non i movimenti. È cio che hanno fatto 60 intellettu­ali e personaggi dello spettacolo in Francia, che hanno scritto un appello incline alle parole del presidente Macron per difendere Depardieu. “Gérard Depardieu è probabilme­nte il più grande degli attori. L’ultimo mostro sacro del cinema. Non possiamo più restare in silenzio di fronte al linciaggio che si abbatte su di lui, di fronte al torrente di odio che si riversa sulla sua persona a dispetto di una presunzion­e di innocenza di cui avrebbe beneficiat­o, come tutti, se non fosse stato il gigante del cinema qual è”, si legge nel messaggio. “Quando attacchiam­o Gérard Depardieu in questo modo, è l’arte che attacchiam­o. Attraverso il suo genio di attore, Gérard Depardieu contribuis­ce all’influenza artistica del nostro Paese. Qualunque cosa accada, nessuno potrà mai cancellare la traccia indelebile della sua opera che segna per sempre la nostra epoca. Il resto, tutto il resto, riguarda la giustizia, solo ed esclusivam­ente la giustizia”. Tra i firmatari anche Carla Bruni. Il marito Hollande invece ha replicato a Macron: “No, Depardieu non ci rende fieri. Parlare delle 14 donne aggredite, delle donne umiliate, delle donne sconvolte dalle immagini che hanno visto, di tutte quelle donne che attraverso Depardieu vedono violenza, dominazion­e e disprezzo”. Hollande ha già deciso prima di qualunque tribunale che le 14 donne dicono la verità, e Depardieu mente. A dimostrazi­one che in Francia, a differenza di gran parte dell’Italia, la destra è giustizial­ista e la sinistra garantista. Con quel messaggio però gli intellettu­ali francesi vanno oltre la difesa della presunzion­e di innocenza sottolinea­ta da Macron, e colpiscono la cancel culture con cui, anche in questo caso prima di un processo, accanto alla gogna mediatica e sociale si vuole cancellare le opere artistiche del personaggi­o.

È quello che è accaduto in America a Kevin Spacey. Dopo le accuse di violenza è stato fatto fuori dal cast di House of Cards, che addirittur­a gli ha chiesto un risarcimen­to milionario dopo averlo cacciato dal set. È stato sostituito in film già girati e nessuno gli ha più offerto un lavoro. Qualche mese fa, dopo sei anni di gogna mediatica, è stato assolto da tutte le accuse.

Ma un tribunale “non è uno sport di squadra in cui sei dalla parte di Me Too o dall’altra”, ha detto il suo avvocato. Servono le prove. Ai giudici, come alle paladine del metoo, e ai pugni chiusi di tutto il mondo scagliati contro qualsiasi innocente fino a sentenza definitiva.

La presunzion­e di innocenza deve valere per tutti

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