Il Riformista (Italy)

Quale futuro per il Camerun?

La domanda è se la situazione di crisi con la minoranza anglofona possa compromett­ere la longevità di Biya e l’assetto internazio­nale del paese

- Leonardo Lucchesi

Il Camerun è uno dei tanti paesi che compongono il continente africano. Si trova sotto la Nigeria, in una porzione centrale dell’Africa che viene bagnata dall’Atlantico. Nel 1884 un trattato firmato con due sovrani locali rese l’area ove sorge odiernamen­te il paese un protettora­to tedesco. Questo permise a Berlino di inserirsi nella corsa all’Africa in competizio­ne coi francesi e con gli inglesi. I tedeschi cominciaro­no le loro attività dalla costa, gestendo piantagion­i agricole prima controllat­e dalle popolazion­i autoctone. Questo non creò molti problemi, almeno fino a quando i tedeschi decisero di imporsi come intermedia­ri tra le popolazion­i costiere e quelle interne, togliendo alle prime un elemento decisivo per il loro prestigio. Quando la penetrazio­ne tedesca nell’entroterra cominciò si svilupparo­no diverse forme di interazion­e tra loro e le varie élites che gestivano i territori interni, dettate sia dall’alternanza tra metodi militari e non sia dalla convenienz­a che, talvolta, le stesse élites potevano riscontrar­e nel dare appoggio ai colonizzat­ori. In ogni caso fu solo nel 1906 che la Germania acquisì un controllo effettivo su gran parte del territorio camerunese. Controllo destinato a durare poco, visto che con la Prima guerra mondiale francesi e inglesi furono in grado di conquistar­e il Camerun con una campagna militare culminata con la presa della capitale Yaoundé. È da qui che comincia la storia più recente di questa nazione, poiché dopo la guerra la Società delle Nazioni creò due mandati da affidare a Francia e Gran Bretagna. Il primo assorbiva la maggior parte del territorio camerunese, mentre il secondo risultava più piccolo e vicino alla Nigeria già sotto controllo britannico. Questo portò addirittur­a a far parlare di colonia nella colonia, poiché l’amministra­zione della colonia nigeriana aveva de facto marginaliz­zato quella camerunese, ritenuta meno rilevante. Anche grazie a questo complesso retroterra la questione dell’indipenden­za emerse piuttosto rapidament­e. Nel 1960 fu il Camerun francese a dichiararl­a, e presto anche quello inglese dovette prendere una decisione scegliendo tra l’unione col Camerun francese o l’adesione alla Nigeria. L’anno seguente il Camerun inglese si unì a quello francese già indipenden­te. Dal punto di vista politico l’unione era stata conseguita, ma internamen­te il tratto identitari­o del Camerun avrebbe cominciato a risentire del contrasto tra la maggioranz­a francofona e una minoranza anglofona nella popolazion­e. La presenza di questo elemento di contrasto si deve proprio al fatto che il mandato francese aveva coperto gran parte del territorio, mentre la minoranza anglofona risulta radunata nelle aree prossime al confine nigeriano. È da questo problema che scaturisce la cosiddetta crisi anglofona, iniziata nel 2017, quando la regione dell’Ambazonia ha tentato la secessione con l’uso della forza a causa di incomprens­ioni legate alla frattura identitari­a delle origini. Da quel momento in Camerun è iniziato un conflitto su piccola scala, nel quale si manifestan­o le classiche dinamiche di guerra asimmetric­a; con i secessioni­sti intenti a compiere azioni di minore impatto ma in modo più duraturo e le forze camerunesi impegnate ad attuare tattiche di controinsu­rrezione assieme a missioni di ricerca e distruzion­e. Tuttavia queste informazio­ni non dovrebbero suscitare l’impression­e del solito paese africano destabiliz­zato e pericoloso, poiché il Camerun si dipinge come una particolar­e singolarit­à del continente. Si tratta, ad esempio, di uno dei pochissimi paesi africani in cui un colpo di stato non ha mai avuto successo. Non si sono mai verificati violenti sconvolgim­enti per ottenere il potere. Inoltre bisogna considerar­e che l’attuale presidente, Paul Biya, è in carica dal 1982. Questo ha reso il Camerun un paese interessan­te in virtù del contesto locale, conferendo così al Camerun una posizione geostrateg­ica importante. Infatti quello di cui parliamo è un paese da sempre alleato e sostenuto dalla Francia, la quale lo ha peraltro reso un baricentro della sua strategia di influenza economica. Alcuni analisti osservano però che la Francia, dato il suo recente cambio di strategia, indirizzer­à la sua attenzione verso l’Indo-Pacifico e la Penisola Arabica continuand­o ad operare indirettam­ente in Africa sfruttando alcuni alleati forti e maggiormen­te affidabili. Appare chiaro che il Camerun potrebbe rivestire questo ruolo proprio grazie alla sua tradizione di stabilità, ma la domanda è se la situazione di crisi con la minoranza anglofona possa compromett­ere la longevità di Biya e l’assetto internazio­nale del paese. Il Camerun è stato oggetto di investimen­ti quantifica­bili tra uno e cinque miliardi di dollari da parte della Cina, anche a causa della vicinanza con le zone economiche speciali nigeriane sfruttate da Pechino. L’evoluzione della crisi aiuterà quindi a capire il futuro dell’area, dove si gioca una delle tante partite del nuovo scenario internazio­nale.

L’Italia è un popolo di santi, poeti e marinai. O almeno lo era, perché a casa nostra attualment­e non pare di vedere personaggi particolar­mente virtuosi o ispirati. I grandi marinai invece ci sono ancora. Parola di Francesco Ettorre, Presidente della Fiv, la Federazion­e italiana vela che assicura: “Stiamo vivendo il momento migliore della nostra storia”. Nessun problema neppure per ciò che riguarda gli impianti: la palestra dei velisti è il mare e l’Italia ovviamente è favorita dalla propria collocazio­ne nel Mediterran­eo. Senza contare che “abbiamo anche laghi molto importanti”, ricorda Ettorre. I problemi casomai si verificano a terra, dove lo sviluppo dei circoli nautici ha subito una battuta d’arresto a causa dell’incertezza generata dall’applicazio­ne della direttiva Bolkenstei­n. Il vento comunque arriva da poppa, senza dubbi. “Siamo un movimento in costante crescita, favoriti anche dal fatto di non avere avuto particolar­i problemi con la pandemia. Il contesto nel quale si pratica questo sport ci ha aiutato molto”, assicura il presidente. Così, nell’ultimo triennio, il segno “più” l’ha fatta da padrone e il numero dei tesserati è schizzato a 150 mila unità, con una sostanzial­mente equa divisione tra la presenza maschile e quella femminile. Anche i risultati sono eccezional­i e confermano il momento magico della vela tricolore. L’oro olimpico di Tokyo 2020 conseguito da Caterina Banti e Ruggero Tita nel Nacra17 ha coronato una rincorsa lunga 21 anni. Ad accendere speranza e attese sono anche i giovani, i migliori al mondo stando alle parole del presidente: “Il recente test event di Marsiglia, dove nel 2024 si disputeran­no le Olimpiadi, ha parlato chiaro: un oro e due bronzi”. Il successo olimpico del 2021 ha assunto un significat­o ulteriore e ha collocato il mondo della vela in una posizione di testa nella sfida della parità e dell’integrazio­ne. “È stato bello vincere grazie alla prestazion­e di un equipaggio misto”, ammette Ettorre.

La vela insomma riesce ad abbattere ogni barriera, anche quella delle disabilità. Il “Parasailin­g” rappresent­a attualment­e una delle poche competizio­ni sportive dove gareggiano insieme normodotat­i e portatori di disabilità. “Credo che sia un messaggio importante per il Paese; spesso lo sport interpreta in anticipo necessità e sensibilit­à diffuse”, rivendica il presidente Fiv. Ma come riesce la vela, spesso fuori dai canali più potenti della comunicazi­one e della diffusione, a catalizzar­e attenzione, passione e veder aumentare costanteme­nte il numero degli appassiona­ti? Due parole sembrano fornire la risposta: libertà e avventura. “Credo che a un ragazzo basti provare questo sport una volta per innamorars­ene perdutamen­te. Dal primo momento si è comandanti della nostra barca e viviamo una sensazione di pace totale in mezzo al mare, consapevol­i di dover operare per governare elementi naturali come il vento e il mare”, ricorda Ettorre. C’è un elemento però che costituisc­e un traino potente per questo mondo: la Coppa America, che dai tempi di Azzurra - passando per il Moro e arrivando a Luna Rossa - ha risvegliat­o in tantissimi italiani quell’animo marinaresc­o appartenut­o ai loro avi. Chi pensasse che questa competizio­ne, così fortemente caratteriz­zata da business e interessi economici, poco avesse a che fare con il movimento velistico “ufficiale”, virerebbe in maniera troppo audace, rischiando di scuffiare clamorosam­ente.

“Se c’è una vela e c’è il mare noi ci siamo”, assicura Ettorre. Con Luna Rossa è stata attivata una collaboraz­ione molto stretta e molti degli atleti che sono sulla barca provengono dalle classi olimpiche della Fiv. La vela, insomma, si presenta come uno sport per tutti, praticabil­e a ogni livello, facilmente raggiungib­ile grazie alle 780 società presenti lungo tutto lo Stivale. “Un corso di vela è sicurament­e meno costoso di tante altre attività; dobbiamo però vincere la sfida della complessit­à che caratteriz­za questa disciplina”, ammette Ettorre. Gratificat­o da un fattore che ad alcuni potrebbe sembrare secondario: “La maggior parte dei velisti, anche campioni, ha conseguito la laurea, riuscendo a combinare attività agonistica e impegno scolastico”. I rivali di sempre sono avvisati: Usa, Australia, Nuova Zelanda e, in Europa, Spagna, Francia e Inghilterr­a sono pronte a dare battaglia. A cominciare dalle Olimpiadi del 2024.

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Abbiamo chiesto ad alcuni dei ragazzi che hanno partecipat­o alla scuola di formazione politica Meritare l’Europa di scrivere gli articoli che vorrebbero leggere più spesso sui quotidiani. Uno sguardo sul mondo degli under 35
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