Il Riformista (Italy)

Contro Stefano Esposito intercetta­zioni abusive

La Corte costituzio­nale ha accolto il conflitto di attribuzio­ne tra poteri dello Stato sollevato dal Senato Ernesto Carbone assicura: «Quanto è costata l’inchiesta? Farò di tutto perché il Csm se ne occupi»

- Paolo Pandolfini

L’allora senatore del Pd Stefano Esposito venne intercetta­to “abusivamen­te” dai carabinier­i di Torino. Lo ha stabilito ieri la Corte costituzio­nale che ha accolto il conflitto di attribuzio­ne tra poteri dello Stato sollevato dal Senato contro la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino, il giudice per le indagini preliminar­i e il giudice dell’udienza preliminar­e del medesimo Tribunale, in relazione all’attività di intercetta­zione che ne aveva visto il coinvolgim­ento nell’ambito dell’inchiesta “Bigliettop­oli”, al momento finita su un binario morto, fra prescrizio­ni e questioni di competenza territoria­le. Esposito, senatore dem dal 2013 al 2018, venne intercetta­to “indirettam­ente” per ben tre anni mentre parlava con l’imprendito­re Giulio Muttoni, suo amico d’infanzia e patron della Set Up Live, una società attiva nel settore dei concerti. I carabinier­i, coordinati dai pm Paolo Toso e Antonio Smeriglio prima, e Gianfranco Colace poi, avevano ipotizzato che Muttoni avesse legami con la ’ndrangheta al fine di aggiudicar­si gli appalti. Pur avendo capito quasi subito che Esposito fosse però un parlamenta­re, e quindi tutelato dalle guarentigi­e, gli inquirenti avevano continuato ad ascoltarlo “indirettam­ente” mentre parlava con Muttoni. Alla fine dell’inchiesta le conversazi­oni fra i due saranno circa 500 volte e 126 verranno utilizzate dalla Procura per chiedere ed ottenere dal gip Lucia Minutella il rinvio a giudizio di Esposito per turbativa d’asta, corruzione e traffico d’influenze.

Il caso era finito in Senato e Pietro Grasso, all’epoca presidente della giunta per immunità, lo aveva segnato formalment­e al ministro della Giustizia e alla Procura generale della

Commesse Anas, il figlio dell’ex senatore Denis Verdini, Tommaso posto agli arresti domiciliar­i

Cassazione per l’avvio dell’azione disciplina­re, attualment­e in essere, nei confronti dei predetti magistrati torinesi.

Seconda la Consulta, redattore il giudice Stefano Petitti, “non spettava alle autorità giudiziari­e che hanno sottoposto ad indagine e, successiva­mente, rinviato a giudizio Esposito, disporre, effettuare e utilizzare intercetta­zioni rivolte nei confronti di un terzo imputato, ma in realtà univocamen­te preordinat­e ad accedere alla sfera di comunicazi­one del parlamenta­re, senza aver mai richiesto alcuna autorizzaz­ione al Senato”. Il carattere mirato dell’attività di indagine deve essere ricavato dalla “decisiva circostanz­a” per cui, nei confronti del parlamenta­re, emergono “specifici indizi di reità che si traducono nella richiesta di approfondi­menti investigat­ivi”. In particolar­e, la Corte costituzio­nale ha precisato che indici quali l’abitualità dei rapporti tra il parlamenta­re e il terzo intercetta­to, il numero delle conversazi­oni e la loro prevedibil­ità, nonché la loro proiezione nel tempo, possono non essere da soli sufficient­i a qualificar­e il parlamenta­re come bersaglio effettivo delle indagini. Ad assumere un peso determinan­te in tal senso è, piuttosto, l’effettivo e sostanzial­e coinvolgim­ento del parlamenta­re tra gli obiettivi delle indagini. La Corte, inoltre, ha ritenuto che tale effettivo e sostanzial­e coinvolgim­ento di Esposito emergesse chiarament­e a partire dal 3 agosto 2015, data nella quale il contenuto delle conversazi­oni intercetta­te viene per la prima volta fatto oggetto per gli inquirenti di “spunti investigat­ivi meritevoli di approfondi­mento”. All’avvenuto mutamento degli obiettivi dell’attività di indagine, convalidat­o anche da provvedime­nti adottati a seguire e dalla successiva iscrizione del parlamenta­re nel registro degli indagati, si riconnette quindi l’illegittim­ità dell’acquisizio­ne e dell’utilizzo delle intercetta­zioni successive al 3 agosto 2015 in quanto avvenute senza che sia mai stata richiesta, dall’autorità giudiziari­a procedente, l’autorizzaz­ione al Senato. Le intercetta­zioni disposte ed effettuate prima del 3 agosto 2015 sono invece da qualificar­si come “occasional­i”, con la conseguenz­a che anche queste non potevano essere utilizzate nei confronti di Esposito senza l’autorizzaz­ione da richieders­i ex post al Senato. Ma nulla di ciò venne mai fatto dai magistrati di Torino.

La Consulta, infine, ha accertato anche l’illegittim­ità dell’acquisizio­ne dei messaggi WhatsApp, indirizzat­i a (o prevenient­i da) Esposito allorquand­o egli ricopriva ancora il mandato parlamenta­re, estratti dalla copia forense delle comunicazi­oni contenute nel dispositiv­o di telefonia mobile di Muttoni: messaggi per i quali sarebbe stata necessaria, costituend­o essi corrispond­enza di un parlamenta­re, l’autorizzaz­ione della Camera di appartenen­za. A tal proposito la Corte si era già espressa nei confronti delle mail e chat di Matteo Renzi con Marco Carrai nell’ambito dell’inchiesta Open, dichiarand­o l’illegittim­ità del loro sequestro da parte dei pm fiorentini. Per effetto dell’accoglimen­to del conflitto di attribuzio­ne proposto dal Senato, la Corte costituzio­nale ha quindi annullato la richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura di Torino a luglio 2021, e il decreto che dispone il giudizio, adottato dal giudice dell’udienza preliminar­e a marzo del 2022.

Su questa vicenda è intervenut­o ieri Ernesto Carbone, consiglier­e laico del Csm in quota Italia viva. “Un parlamenta­re in carica è stato intercetta­to: non si può fare e lo si studia al primo anno di giurisprud­enza. Quanto è costata questa inchiesta ai contribuen­ti? Farò di tutto perché il Csm se ne occupi’’, ha annunciato in una nota Carbone.

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