Immigrazione e natalità: serve un approccio laico e razionale
Un Paese che invecchia non può rinunciare alle opportunità che derivano da un flusso migratorio in ingresso gestito con serietà e concretezza
Le ultime settimane sono state caratterizzate da numerose novità normative sul fronte della gestione delle migrazioni, sia a livello comunitario a Bruxelles, con l’approvazione del nuovo accordo sull’immigrazione, che a livello dei singoli Paesi. In Italia, invece, dopo il grande risalto mediatico dato allo spot Albania - la cui portata è stata subito ridimensionata e che comunque ha subìto una brusca battuta d’arresto da parte della Corte costituzionale albanese - la questione sembra essere momentaneamente passata in secondo piano. In particolare ha suscitato grande attenzione la nuova legge approvata in Francia, invero alquanto penalizzante per gli ingressi di nuovi migranti, tra restrizioni allo ius soli, preferenze nazionali che riservano ai francesi case e servizi, maggiori difficoltà per i ricongiungimenti familiari e obbligo di pagamento di una cauzione per gli studenti stranieri (non europei) che intendano frequentare le prestigiose Istituzioni di Alta Formazione francesi. Di contro la legge regolarizza molti immigrati clandestini, sans papiers, ponendo fine ad una problematica annosa. Quest’ultimo aspetto è stato oggetto di attenzione anche in Grecia, con una legge che garantisce a circa trentamila migranti privi di documenti il diritto ad un permesso di soggiorno triennale finalizzato a colmare la mancanza di manodopera in alcuni settori particolarmente strategici e scoperti.
Al di là delle inevitabili polemiche (in Francia la legge ha ricevuto i voti favorevoli, ancorché non determinanti, del Rassemblement National di Marine Le Pen), la nuova normativa fortemente voluta dal Presidente Macron costituisce indubbiamente un gesto di forte coraggio politico, in quanto affronta con decisione una problematica che comunque esiste e sulla quale la destra specula con slogan populisti ed urlati. Il tema delle migrazioni, dell’accoglienza, dell’inserimento e dell’integrazione dei migranti è delicato e complesso, ma va affrontato. Va affrontato con coraggio e decisione, con un approccio laico e non ideologico. Non può essere lasciato alla propaganda della destra più estrema che su di esso pensa di costruire le proprie fortune elettorali instillando false paure e sollecitando gli istinti meno razionali di ampie fasce della popolazione. E allora, al di là delle sacrosante considerazioni umanitarie nei confronti di persone che fuggono dalla fame e dalla guerra, un approccio laico e razionale non può non considerare che in un Paese come il nostro con una crisi di natalità galoppante e drammatica, i migranti possono costituire una opportunità per il futuro e non un problema. L’immigrazione va gestita, non criminalizzata. L’ultimo rapporto ISTAT parla di una popolazione residente in Italia inferiore a 59 milioni di abitanti, con un calo del 3 per mille rispetto all’anno precedente (circa 179mila abitanti), calo che dura ormai da diversi anni. Le nascite sono al minimo storico (393mila neonati nel 2022) e non compensano i decessi, con un saldo demografico negativo nonostante i flussi migratori dall’estero. Ciò che è più grave è il progressivo invecchiamento della popolazione italiana, con, in media, 5,6 anziani (over 65) per ogni bambino (under 6 anni). Se si pensa che nel 1971 questo rapporto era 1:1, si comprende facilmente come il sistema non può reggere a medio-lungo termine. Alla medesima considerazione porta un altro dato, quello relativo alla cosiddetta popolazione in età attiva, la fascia 15-64 anni, in progressivo calo ed oggi ridottasi al 63%.
Con questi dati l’approccio della Grecia e cioè l’inserimento dei migranti nel sistema produttivo per colmare la carenza di manodopera nei settori strategici (agricoltura, edilizia, turismo, ma anche industrie e servizi) appare l’unico sostenibile, per continuare a garantire stabilità e crescita.
Un Paese che invecchia (l’età media tra il 2020 ed il 2023 è cresciuta da 45,7 a 46,4 anni nonostante i drammatici effetti del Covid...) deve certamente avviare politiche per favorire la natalità, ma non può d’altra parte rinunciare alle opportunità che derivano da un flusso migratorio in ingresso gestito con serietà e concretezza. Tutto il contrario che mandare i migranti in hot spot costruiti lontano dal territorio nazionale, in attesa di rimpatrio o di trasferimento verso altri Paesi.
Afine anno si tracciano i bilanci di tante cose. Lo si fa sul lavoro, in famiglia, lo fa anche il Presidente del Consiglio con la conferenza di fine anno, influenza permettendo. Potevo dunque esimermi dal fare un bilancio sull’anno della Generazione Z in Italia? Potevo, soprattutto se il bilancio è negativo, e invece eccoci qua. Cosa ha segnato il 2023 per i giovani?
Le battaglie (inascoltate). Il 2023 è stato l’anno in cui più forti che mai sono esplose battaglie condotte da giovani, per giovani e non solo. Certo, ogni generazione ha condotto le proprie: chi manifestando in piazza, chi con movimenti organizzati, chi in altri modi. Questa generazione, però, ha saputo adattare il modo di far valere le proprie ragioni in un modo differente: smettendo di acquistare prodotti di un brand, dimettendosi dal proprio posto di lavoro, unendosi in community in cui la diversità sociale è il punto di forza. Penso alle lotte per lo psicologo scolastico e, più in generale, per la tutela della salute mentale; penso alle tende piazzate davanti alle università per chiedere misure contro il caro affitti; penso alle manifestazioni per chiedere la fine del conflitto di Gaza. Penso soprattutto a come tutte queste battaglie non abbiano portato a nessun risultato ma al massimo a qualche manganellata: e non per la vacuità delle richieste o per la violenza delle proposte, ma perché rimaste inascoltate, da politica, politicanti e istituzioni. La salute mentale: un’emergenza destinata a peggiorare. Nel 2023 non c’è stata una statistica, un numero, qualcosa che mostrasse la luce in fondo al tunnel: da qualsiasi prospettiva lo si guardi, siamo di fronte a un problema enorme. È nel 2023 che si è registrato il numero più alto di tentativi di suicidio, di ricoveri per episodi di autolesionismo e chi la dipendenza da psicofarmaci ha raggiunto il suo apice. Ma anche senza considerare episodi così estremi, il 2023 è stato l’anno in cui, grazie alla GenZ, parlare di salute mentale non è più un tabù. Abbiamo accennato prima alla richiesta di istituzione dello psicologo scolastico, cui è seguita la richiesta della conferma dei fondi per il bonus psicologo: ma non c’è stata azienda o scuola in cui il tema è entrato forte e dirompente nei dialoghi quotidiani, portando alla necessità di cambiare modi di fare, organizzare e pensare alle persone.
Il lavoro: quello degli altri, probabilmente. No, il 2023 non è stato l’anno in cui è arrivato anche in Italia il fenomeno del quiet quitting, secondo cui negli USA si è assistito a un numero elevato di dimissioni tra i più giovani durante e dopo la pandemia. Il motivo è semplice: per dimetterti, un posto di lavoro lo devi avere. E invece nel Belpaese il tasso di occupazione giovanile è in picchiata: siamo il peggior paese d’Europa. E anche chi un lavoro lo ha, spesso è precario o part time, e non per scelta. È un problema che riguarda tutti, di qualsiasi generazione: non possiamo permetterci di rimanere ancorati a tassi così bassi, non possiamo permetterci di mettere a repentaglio l’innovazione economica e industriale della nostra economia e di affrontare costi sempre più elevati per le pensioni senza avere prima dato lavoro ai più giovani.
Neet: ora o mai più. I Neet sono quei ragazzi che, per motivi diversi, non studiano, non lavorano, non cercano indipendenza. In Italia hanno raggiunto la terribile percentuale del 19%: in Europa siamo secondi solo alla Romania, mentre nella maggior parte dei Paesi la tendenza è in netta decrescita e le percentuali dell’ultima indagine segnano già i risultati attesi da Agenda 2030. Gli effetti di questi numeri sono destinati a mostrarsi nei prossimi anni: ragazzi che non credono più nel proprio futuro, che diventeranno un costo sociale elevato e a carico di tutta la comunità, che saranno parte in causa dell’impoverimento economico, sanitario e collettivo del Paese. Ragazzi che anche nell’ultima Manovra non hanno trovato misure per loro.
L’affettività e l’educazione alla vita e al rispetto. L’omicidio Cecchettin è stato il momento più buio, mentre qualche mese prima la cronaca è stata segnata dall’incidente degli youtuber di Casalpalocco in cui dei ragazzi, filmandosi per dei contenuti da pubblicare, hanno ucciso un bimbo. Un anno estremamente complesso, in cui la richiesta di interventi e di spiegazioni è stata forte nelle scuole e tra molti ragazzi. Il minuto di rumore a seguito del femminicidio, ad esempio, è un’iniziativa nata nelle scuole venete, e ha portato anche a valutare l’istituzione di un programma di formazione e di educazione all’affettività. Un anno in cui episodi estremi, tanti episodi estremi, sono stati troppo spesso al centro delle cronache: un anno in cui la fragilità di una generazione si è rivelata in tutte le sue forme peggiori.
La scuola: quella abbandonata e quella che cade a pezzi. L’anno che si sta chiudendo ha portato con sé alcune novità: l’introduzione dell’insegnante Tutor per fare orientamento attivo, ad esempio. Ma anche alcune cose immutate negli anni: scuole fatiscenti, che cadono letteralmente a pezzi tra gli studenti. Il 2023 è stato anche l’anno in cui l’abbandono scolastico in Italia ha superato l’11%: una statistica atroce, indegna di un paese avanzato come il nostro. Avanzato ancora per poco, probabilmente, se non mettiamo un freno a questa tendenza.
Ecco, il 2023 per la Generazione Z italiana non è stato certo un anno da ricordare, se non per episodi e statistiche a loro sfavore, ma purtroppo, testimoni della realtà. Che sia l’ultimo anno così: buon 2024 GenZ, ve lo meritate.