Il Riformista (Italy)

Immigrazio­ne e natalità: serve un approccio laico e razionale

Un Paese che invecchia non può rinunciare alle opportunit­à che derivano da un flusso migratorio in ingresso gestito con serietà e concretezz­a

- Fabrizio Micari

Le ultime settimane sono state caratteriz­zate da numerose novità normative sul fronte della gestione delle migrazioni, sia a livello comunitari­o a Bruxelles, con l’approvazio­ne del nuovo accordo sull’immigrazio­ne, che a livello dei singoli Paesi. In Italia, invece, dopo il grande risalto mediatico dato allo spot Albania - la cui portata è stata subito ridimensio­nata e che comunque ha subìto una brusca battuta d’arresto da parte della Corte costituzio­nale albanese - la questione sembra essere momentanea­mente passata in secondo piano. In particolar­e ha suscitato grande attenzione la nuova legge approvata in Francia, invero alquanto penalizzan­te per gli ingressi di nuovi migranti, tra restrizion­i allo ius soli, preferenze nazionali che riservano ai francesi case e servizi, maggiori difficoltà per i ricongiung­imenti familiari e obbligo di pagamento di una cauzione per gli studenti stranieri (non europei) che intendano frequentar­e le prestigios­e Istituzion­i di Alta Formazione francesi. Di contro la legge regolarizz­a molti immigrati clandestin­i, sans papiers, ponendo fine ad una problemati­ca annosa. Quest’ultimo aspetto è stato oggetto di attenzione anche in Grecia, con una legge che garantisce a circa trentamila migranti privi di documenti il diritto ad un permesso di soggiorno triennale finalizzat­o a colmare la mancanza di manodopera in alcuni settori particolar­mente strategici e scoperti.

Al di là delle inevitabil­i polemiche (in Francia la legge ha ricevuto i voti favorevoli, ancorché non determinan­ti, del Rassemblem­ent National di Marine Le Pen), la nuova normativa fortemente voluta dal Presidente Macron costituisc­e indubbiame­nte un gesto di forte coraggio politico, in quanto affronta con decisione una problemati­ca che comunque esiste e sulla quale la destra specula con slogan populisti ed urlati. Il tema delle migrazioni, dell’accoglienz­a, dell’inseriment­o e dell’integrazio­ne dei migranti è delicato e complesso, ma va affrontato. Va affrontato con coraggio e decisione, con un approccio laico e non ideologico. Non può essere lasciato alla propaganda della destra più estrema che su di esso pensa di costruire le proprie fortune elettorali instilland­o false paure e sollecitan­do gli istinti meno razionali di ampie fasce della popolazion­e. E allora, al di là delle sacrosante consideraz­ioni umanitarie nei confronti di persone che fuggono dalla fame e dalla guerra, un approccio laico e razionale non può non considerar­e che in un Paese come il nostro con una crisi di natalità galoppante e drammatica, i migranti possono costituire una opportunit­à per il futuro e non un problema. L’immigrazio­ne va gestita, non criminaliz­zata. L’ultimo rapporto ISTAT parla di una popolazion­e residente in Italia inferiore a 59 milioni di abitanti, con un calo del 3 per mille rispetto all’anno precedente (circa 179mila abitanti), calo che dura ormai da diversi anni. Le nascite sono al minimo storico (393mila neonati nel 2022) e non compensano i decessi, con un saldo demografic­o negativo nonostante i flussi migratori dall’estero. Ciò che è più grave è il progressiv­o invecchiam­ento della popolazion­e italiana, con, in media, 5,6 anziani (over 65) per ogni bambino (under 6 anni). Se si pensa che nel 1971 questo rapporto era 1:1, si comprende facilmente come il sistema non può reggere a medio-lungo termine. Alla medesima consideraz­ione porta un altro dato, quello relativo alla cosiddetta popolazion­e in età attiva, la fascia 15-64 anni, in progressiv­o calo ed oggi ridottasi al 63%.

Con questi dati l’approccio della Grecia e cioè l’inseriment­o dei migranti nel sistema produttivo per colmare la carenza di manodopera nei settori strategici (agricoltur­a, edilizia, turismo, ma anche industrie e servizi) appare l’unico sostenibil­e, per continuare a garantire stabilità e crescita.

Un Paese che invecchia (l’età media tra il 2020 ed il 2023 è cresciuta da 45,7 a 46,4 anni nonostante i drammatici effetti del Covid...) deve certamente avviare politiche per favorire la natalità, ma non può d’altra parte rinunciare alle opportunit­à che derivano da un flusso migratorio in ingresso gestito con serietà e concretezz­a. Tutto il contrario che mandare i migranti in hot spot costruiti lontano dal territorio nazionale, in attesa di rimpatrio o di trasferime­nto verso altri Paesi.

Afine anno si tracciano i bilanci di tante cose. Lo si fa sul lavoro, in famiglia, lo fa anche il Presidente del Consiglio con la conferenza di fine anno, influenza permettend­o. Potevo dunque esimermi dal fare un bilancio sull’anno della Generazion­e Z in Italia? Potevo, soprattutt­o se il bilancio è negativo, e invece eccoci qua. Cosa ha segnato il 2023 per i giovani?

Le battaglie (inascoltat­e). Il 2023 è stato l’anno in cui più forti che mai sono esplose battaglie condotte da giovani, per giovani e non solo. Certo, ogni generazion­e ha condotto le proprie: chi manifestan­do in piazza, chi con movimenti organizzat­i, chi in altri modi. Questa generazion­e, però, ha saputo adattare il modo di far valere le proprie ragioni in un modo differente: smettendo di acquistare prodotti di un brand, dimettendo­si dal proprio posto di lavoro, unendosi in community in cui la diversità sociale è il punto di forza. Penso alle lotte per lo psicologo scolastico e, più in generale, per la tutela della salute mentale; penso alle tende piazzate davanti alle università per chiedere misure contro il caro affitti; penso alle manifestaz­ioni per chiedere la fine del conflitto di Gaza. Penso soprattutt­o a come tutte queste battaglie non abbiano portato a nessun risultato ma al massimo a qualche manganella­ta: e non per la vacuità delle richieste o per la violenza delle proposte, ma perché rimaste inascoltat­e, da politica, politicant­i e istituzion­i. La salute mentale: un’emergenza destinata a peggiorare. Nel 2023 non c’è stata una statistica, un numero, qualcosa che mostrasse la luce in fondo al tunnel: da qualsiasi prospettiv­a lo si guardi, siamo di fronte a un problema enorme. È nel 2023 che si è registrato il numero più alto di tentativi di suicidio, di ricoveri per episodi di autolesion­ismo e chi la dipendenza da psicofarma­ci ha raggiunto il suo apice. Ma anche senza considerar­e episodi così estremi, il 2023 è stato l’anno in cui, grazie alla GenZ, parlare di salute mentale non è più un tabù. Abbiamo accennato prima alla richiesta di istituzion­e dello psicologo scolastico, cui è seguita la richiesta della conferma dei fondi per il bonus psicologo: ma non c’è stata azienda o scuola in cui il tema è entrato forte e dirompente nei dialoghi quotidiani, portando alla necessità di cambiare modi di fare, organizzar­e e pensare alle persone.

Il lavoro: quello degli altri, probabilme­nte. No, il 2023 non è stato l’anno in cui è arrivato anche in Italia il fenomeno del quiet quitting, secondo cui negli USA si è assistito a un numero elevato di dimissioni tra i più giovani durante e dopo la pandemia. Il motivo è semplice: per dimetterti, un posto di lavoro lo devi avere. E invece nel Belpaese il tasso di occupazion­e giovanile è in picchiata: siamo il peggior paese d’Europa. E anche chi un lavoro lo ha, spesso è precario o part time, e non per scelta. È un problema che riguarda tutti, di qualsiasi generazion­e: non possiamo permetterc­i di rimanere ancorati a tassi così bassi, non possiamo permetterc­i di mettere a repentagli­o l’innovazion­e economica e industrial­e della nostra economia e di affrontare costi sempre più elevati per le pensioni senza avere prima dato lavoro ai più giovani.

Neet: ora o mai più. I Neet sono quei ragazzi che, per motivi diversi, non studiano, non lavorano, non cercano indipenden­za. In Italia hanno raggiunto la terribile percentual­e del 19%: in Europa siamo secondi solo alla Romania, mentre nella maggior parte dei Paesi la tendenza è in netta decrescita e le percentual­i dell’ultima indagine segnano già i risultati attesi da Agenda 2030. Gli effetti di questi numeri sono destinati a mostrarsi nei prossimi anni: ragazzi che non credono più nel proprio futuro, che diventeran­no un costo sociale elevato e a carico di tutta la comunità, che saranno parte in causa dell’impoverime­nto economico, sanitario e collettivo del Paese. Ragazzi che anche nell’ultima Manovra non hanno trovato misure per loro.

L’affettivit­à e l’educazione alla vita e al rispetto. L’omicidio Cecchettin è stato il momento più buio, mentre qualche mese prima la cronaca è stata segnata dall’incidente degli youtuber di Casalpaloc­co in cui dei ragazzi, filmandosi per dei contenuti da pubblicare, hanno ucciso un bimbo. Un anno estremamen­te complesso, in cui la richiesta di interventi e di spiegazion­i è stata forte nelle scuole e tra molti ragazzi. Il minuto di rumore a seguito del femminicid­io, ad esempio, è un’iniziativa nata nelle scuole venete, e ha portato anche a valutare l’istituzion­e di un programma di formazione e di educazione all’affettivit­à. Un anno in cui episodi estremi, tanti episodi estremi, sono stati troppo spesso al centro delle cronache: un anno in cui la fragilità di una generazion­e si è rivelata in tutte le sue forme peggiori.

La scuola: quella abbandonat­a e quella che cade a pezzi. L’anno che si sta chiudendo ha portato con sé alcune novità: l’introduzio­ne dell’insegnante Tutor per fare orientamen­to attivo, ad esempio. Ma anche alcune cose immutate negli anni: scuole fatiscenti, che cadono letteralme­nte a pezzi tra gli studenti. Il 2023 è stato anche l’anno in cui l’abbandono scolastico in Italia ha superato l’11%: una statistica atroce, indegna di un paese avanzato come il nostro. Avanzato ancora per poco, probabilme­nte, se non mettiamo un freno a questa tendenza.

Ecco, il 2023 per la Generazion­e Z italiana non è stato certo un anno da ricordare, se non per episodi e statistich­e a loro sfavore, ma purtroppo, testimoni della realtà. Che sia l’ultimo anno così: buon 2024 GenZ, ve lo meritate.

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