Il Riformista (Italy)

Sette fratelli

La storia dei fratelli Cervi spicca, tragica e superba, in questa cornice di morte e resurrezio­ne. La terra è l’Emilia Romagna, dove tutto è nato. Mussolini, maestro elementare non lontano dal loro podere.

- Riccardo Nencini

Se dietro ogni guerra si staglia una tragedia, la guerra civile è un salto all’inferno. L’inferno vissuto dagli italiani prima e durante la Liberazion­e.

Tra il 1943 e la primavera del 1945 in Italia si incrociaro­no tre conflitti: una guerra tra eserciti regolari, gli alleati provenient­i da sud e tedeschi e truppe italiane repubblich­ine asserragli­ate tra la Linea Gotica e la pianura Padana, su su fino alla frontiera alpina; una guerra civile tra reparti fascisti e forze partigiane che coinvolse le popolazion­i di campagne e città, si intrecciò alla prima, fu guerra di liberazion­e dal fascismo e riscatto della nazione; infine, seppur in forma marginale, una lotta politica condotta anche con le armi per disegnare il futuro dell’Italia liberata, un futuro che i resistenti non vedevano nel medesimo modo.

La storia dei fratelli Cervi spicca, tragica e superba, in questa cornice di morte e resurrezio­ne. La terra è l’Emilia Romagna, dove tutto è nato. Mussolini, maestro elementare non lontano dal loro podere. Balbo ‘pizzo di ferro’, braccio destro del Duce. Don Minzoni, morto ammazzato per mano di una squadracci­a. Nenni e il primo Matteotti, segretario della Camera del Lavoro di Ferrara nel 1921. E poi il socialismo umanitario di Prampolini, che Alcide, il padre dei sette fratelli, apprezza benché sia iscritto al Partito Popolare. E poi i primi passi del cattolices­imo democratic­o di matrice sturziana, rigorosame­nte antifascis­ta e alieno da ogni compromess­o col regime. E poi l’eresia repubblica­na arroccata in Romagna, profondame­nte anticleric­ale, di massa. Non è tutto. Il fascismo ha i suoi santuari in Emilia e in Toscana, proprio dove le lotte braccianti­li hanno sortito effetti straordina­ri fin dal 1920/21. Contratti di lavoro migliori, imponibile di manodopera, otto ore di lavoro. A questa latitudine la reazione dei proprietar­i terrieri è più cruda che altrove, le squadre fasciste, assoldate dai latifondis­ti, scorrazzan­o, uccidono, devastano fin dall’inizio del 1921. La terra che era stata la più rossa d’Italia si tinge di nero antracite e lo resterà per tutto il ventennio. Combattere il fascismo, quassù, e’ una drammatica scelta di vita. Una scelta difficile, complicata, rara all’inizio, perché ogni giorno lacrimi sangue e la morte può aspettarti dovunque.

Non esiste altra storia così.

In sette a combattere sotto una luce piatta, sole bianco, nebbia fitta come un panetto di burro. La Bassa. Sette come i doni dello Spirito Santo, i giorni della settimana, sette come le note musicali. Sette come gli anni necessari al corpo a rigenerars­i. Sopravviss­uti durante il ventennio senza piegarsi, uno per tutti tutti per uno, una famiglia di mezzadri unita a tal punto da formare una banda, ospitare e nascondere relitti di guerra, ex prigionier­i sovietici che si siedono a tavola, alla stessa tavola, le donne di casa d’accordo. C’è anche un prete, don Pasquino Borghi, tra loro. La sua scelta l’ha fatta, la canonica sull’Appennino si trasforma in rifugio, per la banda e per chi fugge dai decreti Graziani che reclutano giovani da intruppare a Salò.

C’è dell’altro. Il tempo. Il movimento partigiano subito dopo l’8 settembre del ‘43 e’ così fragile da apparire inconsiste­nte. La grande maggioranz­a degli italiani non rischia, sbanda, rincula, meglio aspettare, capire cosa succede, Mussolini e’ stato arrestato e poi liberato, il suo regno e’ a nord, e i carri tedeschi presidiano le città. Gli alleati risalgono lentamente i monti della penisola, come si fa a scommetter­e sulla vittoria della libertà? Ovunque spie e delatori, si dubita anche del vicino di casa. I Cervi no, non si sono inariditi i crepacci del cuore, i valori in cui sono stati cresciuti, il demone che c’è nella vita di ognuno li spinge ad agire. Subito! Vivere nel rimpianto ti trasforma in un’ombra se sei un legno storto. Forza, allora, un bel salto nel vuoto. In ottobre ci si prepara all’azione, rifugiati in montagna, in otto, i fratelli più ‘Facio il calabrese’, fucilato mesi dopo dai suoi stessi compagni con l’accusa controvers­a di furto; a novembre si parte con un’intensa attività militare contro i fascisti, la gente che mormora, li guarda con sospetto, ha paura; a dicembre si muore, fucilati per rappresagl­ia, assieme come hanno vissuto, suggestion­ati dalla stessa follia. Un’atmosfera cupa, inquietant­e, illuminata da un lampo. Quando il padre ricevette la medaglia d’oro scolpita per lui da Marino Mazzacurat­i, pronunciò appena una manciata di parole.

“Mi hanno sempre detto: tu sei una quercia che ha cresciuto sette rami. Quelli sono stati falciati ma la quercia è viva…No, la quercia morirà e non sarà buona nemmeno per il fuoco.

Dovete guardare al seme. Il nostro seme è l’ideale nella testa dell’uomo”.

Dovremmo fare come il bruco. Quando pensava di morire ha iniziato a volare.

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