L’impronta dell’editore la vita nuova dei libri
In ‘L’impronta dell’editore’ (Adelphi), Roberto Calasso, ripercorrendo la genesi della casa editrice, illustra la metafisica categoria dei ‘libri unici’; volumi che testimoniano come e quanto all’autore sia accaduto qualcosa, un qualcosa che lo ha percorso, attraversato e che si è depositato nel profondo del suo essere.
Non si tratta semplicemente della figura quasi burocratica dell’auctor unius libri, ma di qualcosa di più radicale, intimo e saturnino: il libro unico è una scia sagittale purpurea che appartiene al suo autore e che lo espone, per un breve istante, per un frammento di caos e di luce, al divenire conosciuto, all’appartenere per il tramite di quelle parole anche ad altri.
Ma l’unicità dei libri, a ben vedere, sta anche, in generale e sempre che si stia parlando di libri pregni di un qualche valore, di una qualche carica linfatica vitale, sussultante, brodosa e smeraldina, nel rapporto viscerale e magmatico che instaurano con i loro proprietari.
Un libro, quando viene acquistato, posseduto, letto, riposto e ordinato nella biblioteca personale, non è più solo un oggetto stampato serialmente, ma un atto unico che si insinua dolcemente, sorta di patto col serpente, per dirla con Mario Praz, nel profondo dei nostri ricordi, nelle corde del nostro essere e del nostro spirito: non passatempo, non semplice, mera emozione, non concatenazione di istanti sommati tra loro nella lettura, in quei momenti di una vita musicalmente sottolineati dalle righe, dalle pagine di quel libro da cui siamo stati scelti, ma vita ulteriore, portale cosmico di accesso a un universo parallelo dove la vita, la nostra vita, esiste solo in accordo ai libri che abbiamo acquistato e letto.
Così, i mercatini dei libri usati, dove rarità preziose e reliquie si confondono tra le ombre di editoria pacchiana e trash, si elevano a teatro, a rito mistico, a dimensione metafisica di vite incatenate ai libri in esposizione: e come cani da tartufi i bibliofili insaccano mani guardandosi attorno nella speranza di non essere scorti mentre hanno appuntato i loro occhi su una edizione unica, sapendo che in quella edizione alberga anche l’anima di un antico possessore, di un bibliofilo come loro che ha letto e mentre leggeva ha amato, odiato, si è scontrato con superiori e colleghi di lavoro, si è laureato o ha fallito nel tentativo di farlo, ha carezzato in ospedale la mano di una madre morente tornando poi a sera stremato a casa e riprendendo la lettura dal punto in cui l’aveva interrotta.
In questo spazio mistico e cosmogonicamente abissale, il mercatino dei libri usati, i libri esposti chiamano i bibliofili ad una nuova vita, come paradisiaci spiriti di un inferno romantico e suadente, divinità delle sabbie che anelano a contraddistinguere nuovi, diversi, intensi frammenti di esistenze, nella polvere della clessidra che ticchetta sugli specchi e sui vetri disegnando volti di donne, anziani, ragazzi.
La nuova vita dei libri è sempre sotto il segno zodiacale della unicità, in nuove e lievi mani, in nuove case, in nuove scelte musicali per sottolinearne la lettura.
Un demone del tutto particolare, sovrano di legioni letterarie in questi mercatini, è il libro autografato dall’autore e da questi dedicato a una singola persona, il proprietario, e nonostante ciò tornato a reclamare anche egli il suo dominio sulle umane cose, messo in commercio, tra transazioni e sguardi e sorrisi e imprecazioni perché i soldi sono finiti.
Pensi sempre a un erede distratto, a un nuovo proprietario incurante di questa reliquia sontuosa, che disfacendosi del libro e della dedica recide un cordone ombelicale oppure, più semplicemente, che così facendo intende esercitare un atto di difesa esistenziale, un esorcismo, il disfarsi di qualcosa di così intimo e personale, di un personale altrui, da divenire quasi doloroso. In questi casi, quella singola pagina che ospita la dedica assume la stessa valenza di una balconata di marmo da cui scrutare un orizzonte di stelle nere, di una vita altrui passata che ora diventa anche la nostra vita.