Il Riformista (Italy)

«L’ABROGAZION­E È LA SOLUZIONE SBAGLIATA»

Padovani: chi sostiene l’abrogazion­e crede di stare dalla parte del diritto penale liberale, ma in realtà è dalla parte di quello autoritari­o

- Lorenzo Zilletti* *Avvocato penalista

Nel ’97 si marciò in una direzione opposta: un personaggi­o insigne fu coinvolto in una vicenda riguardant­e l’esercizio di un potere discrezion­ale su cespiti di enorme rilevanza economica. Così, varando una sorta di legge ad personam, si modificò la norma e si stabilì che fosse necessaria, per la sussistenz­a dell’abuso, una violazione di legge o regolament­o. La novità fu vissuta quasi come un’abrogazion­e, ma ci pensò la giurisprud­enza a ridare vitalità al delitto: la strada fu quella di considerar­e penalmente rilevanti anche le violazioni di norme di carattere generale, ad es. l’articolo 97 Costituzio­ne. L’intervento del 2012 ha riguardato soltanto l’incremento della sanzione. Nel 2020, l’articolo 323 è diventato un morto che cammina. Siamo di fronte ad un’abrogazion­e implicita e se la norma riuscisse a trovare concreta applicazio­ne dovrebbe paradossal­mente essere dichiarata incostituz­ionale in quanto sanzionatr­ice di fattispeci­e inoffensiv­e. Oggi l’attività meramente esecutiva è perseguibi­le, mentre quella discrezion­ale, dove si commettono le offese vere, gode di immunità».

Questa osservazio­ne mi porta a dire che l’abrogazion­e proposta da Nordio dovrebbe lasciare indifferen­ti, trattandos­i più di intervento simbolico che sostanzial­e. Eppure, le reazioni contrarie - soprattutt­o della magistratu­ra – fanno dubitare che si tratti solo di facciata.

« Non sarebbe soltanto una bandiera a cadere, perché la completa abrogazion­e determiner­ebbe una gravissima scopertura di tutela. Pur con questo simulacro di testo, l’ermeneutic­a che oggi la fa da padrona potrebbe comunque rivitalizz­are l’incriminaz­ione».

È il timore dei fautori dell’abrogazion­e. Come smentirli, viste le forzature interpreta­tive del testo del ’97 a cui accennavi? E difficile negare che dietro l’obiettivo esista più di qualche ragione: da anni, l’incriminaz­ione per abuso è un mezzo con cui il potere giudiziari­o si ingerisce in sfere riservate al potere amministra­tivo. Senza contare la legge Severino, per cui un sindaco condannato in primo grado viene estromesso dalla carica: così i magistrati contano più degli elettori.

«Il problema non riguarda solo l’art. 323, ma più in generale l’esercizio dell’azione penale e i limiti del potere del PM all’inizio delle indagini. Basta poco per consentire alla macchina giudiziari­a di dispiegare la sua potenza inquisitor­ia, con gli strascichi che sappiamo. Questo vale anche per altri illeciti che pur hanno connotati di maggiore tipicità. L’abuso dei mezzi di indagine può riguardare qualunque reato, anche l’omicidio. Quanto agli effetti “secondari” di un’indagine per 323, penso che dovrebbero essere pari a zero. Finché non si è raggiunto un livello consistent­e di plausibili­tà dell’accusa, non se ne dovrebbe sapere nulla. Soprattutt­o, non dovrebbe derivare alcuna conseguenz­a accessoria fino alla sentenza definitiva di condanna».

La mia contrariet­à all’ abrogazion­e nasce da una convinzion­e: il reato di abuso dovrebbe rappresent­are per il privato un presidio contro i possibili soprusi del pubblico ufficiale.

«Chi sostiene l’abrogazion­e crede di stare dalla parte del diritto penale liberale, ma in realtà è dalla parte di quello autoritari­o. L’abuso entra negli ordinament­i europei con la Rivoluzion­e francese ed è figlio del diritto penale liberale. Il Codice Toscano del 1853 lo prevedeva, così come il Codice Zanardelli del 1889 . Se erigiamo una barriera di immunità intorno al pubblico ufficiale, incorriamo in una violazione del principio di uguaglianz­a. Non si può attribuire al funzionari­o pubblico il potere discrezion­ale di agire contro il privato come se fosse detentore di una situazione sovrana. Rendere insindacab­ile la discrezion­alità, crea una zona franca col ritorno a uno stadio che precede lo Stato di diritto e che ricorda l’ordinament­o feudale».

Per te, insomma, l’obbligo di mantenere l’incriminaz­ione origina dai princìpi dello Stato di diritto, ben prima che da norme internazio­nali.

«Aggiungo che non mi convincono neppure altri argomenti pro-abolizione. Il problema delle esigue condanne, rispetto ai tanti processi, per esempio. La questione è far morire sul nascere procedimen­ti che non hanno probabilit­à di arrivare alla condanna. Il tema attiene alla facilità con cui si promuovono azioni penali e all’assenza di un vero filtro all’udienza preliminar­e. Se guardo alla cosiddetta legalità raggiunta, quella cioè che risulta dalle condanne confermate in Cassazione e se scorro la casistica che le anima, è difficile negare che si tratti di vicende permeate di offensivit­à e che è opportuno che rimangano reato. Anziché buttar via la legalità raggiunta, sarebbe necessario adeguare la legalità offerta, cioè l’inizio delle indagini in modo che il sistema riceva meno “pattume” e che esso non si trasformi ad opera di iniziative disinvolte in quel che non è. Lo ripeto, è un concetto che vale per tutti i reati e non solo per l’articolo 323».

Insomma, riaffiora il tema di iniziative avventuris­tiche e irresponsa­bili a cui nessuno mette freno.

«Sì, le tante assoluzion­i significan­o che ci sono troppi esercizi dell’azione penale. Da quanto tempo diciamo che l’azione penale è esercitata in modo arbitrario perché non ha regole?».

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