Il Riformista (Italy)

No, opporre la statica legge a un moto accelerato è fuori dal tempo

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Mentre il mondo si preoccupa per gli scenari distopici presentati dalla stampa sulla presunta ‘ribellione’ di un robot Tesla che ha aggredito un uomo dentro uno stabilimen­to della casa automobili­stica, nemmeno fossimo alle soglie della genesi di Terminator, si fa largo nelle aule di tribunale di New York il vero tema della società della comunicazi­one digitale.

E non ha nulla a che vedere con aggression­i, rivolte o scenari alla “2001: Odissea nello spazio”. Il prestigios­o quotidiano New York Times infatti ha portato in giudizio OpenAI e Microsoft, dopo aver bruscament­e interrotto colloqui che andavano avanti con i due colossi dell’intelligen­za artificial­e da aprile scorso: causa del contendere la asserita violazione del copyright, perché, stando a quanto contestano i legali del quotidiano, OpenAI avrebbe allenato e nutrito il proprio sistema di intelligen­za artificial­e generativa anche con migliaia di articoli del New York Times stesso. Risultato, sempre secondo gli avvocati, a fronte di una domanda di un utente su un qualche specifico argomento, la risposta fornita dai chatbot OpenAI consisteva nei fatti in un vecchio articolo del New York Times.

La questione della applicazio­ne ai sistemi di intelligen­za artificial­e delle leggi sul copyright negli Stati Uniti è caldissima.

A settembre 2023, il centro di ricerca del Congresso ha rinnovato i suoi sforzi di approfondi­mento, scandaglia­ndo la normativa e la giurisprud­enza della Corte Suprema, lungo la duplice direttiva, da un lato, della creazione ‘autonoma’ di contenuti da parte di intelligen­ze artificial­i e del riconoscim­ento del copyright alle stesse, e dall’altro lato dell’utilizzo di materiale di terze parti protetto da copyright. Il bilanciame­nto tra innovazion­e, creatività e tutela del copyright, nella società digitale, è una delle operazioni più complesse.

Non a caso lo sviluppo della frontiera digitale si è basato, tecnicamen­te, anche sull’opera, altamente controvers­a ma necessaria, per fini di esplorazio­ne, scoperta e ricerca, degli hacker e di condotte rubricate come ‘pirateria’.

È la valenza disruptive stessa di alcune tecnologie a divellere certi limiti e a superare barriere, normative o fisiche o culturali. L’allenament­o di intelligen­ze artificial­i generative, a cui vengono sottoposte copiose colate di dati, articoli, saggi, spesso appunto coperti da copyright, potrebbe rientrare sotto lo scudo protettivo del ‘fair use’, laddove siano contestual­mente integrati i quattro presuppost­i che la normativa americana sul copyright prevede affinchè si possa parlare di ‘fair use’. Ricordiamo che il ‘fair use’ è un elemento nodale della società della comunicazi­one digitale e che spesso intere piattaform­e basano i loro contenuti su detto principio, come quando ad esempio youtuber e streamer postano video di loro ‘reazioni’ a video realizzati da altri soggetti, mostrando nei fatti anche i prodotti di terze parti e salva sempre la possibilit­à del ‘copyright strike’.

Si tratta in certa misura di quegli elementi costitutiv­i da ordine spontaneo digitale, in cui le regole non nascono solo dalla norma giuridica ma anche da quella sociale e dalle interazion­i, l’ “Order without Law” su cui si è interrogat­o agli inizi degli anni novanta l’accademico Robert Ellickson.

Le preoccupaz­ioni del New York Times, come pure quelle precedente­mente espresse da sceneggiat­ori e attori di Hollywood, possono essere comprensib­ili, ma il loro opporre la statica legge a un moto accelerato, a un rigoglio tecnico che sta erompendo dagli interstizi di una società mutata, appare fuori dal tempo. L’intelligen­za artificial­e generativa potrebbe infatti anche essere considerat­a uno sprone per l’essere umano, al fine di creare contenuti ancora più personali e qualitativ­amente elevati, per non dare vita a sceneggiat­ure o articoli abborracci­ati e clonabili in modo semplice. Potrebbe cioè innescare una riflession­e seria non tanto sui pericoli dell’intelligen­za artificial­e, spesso vista come comodo capro espiatorio, ma su cosa siano diventate le profession­i intellettu­ali e creative, spesso sempre più sciatte e replicabil­i serialment­e.

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