Le prospettive politiche del centro Andare oltre perché indietro non si torna
Il centro politico può essere la risposta che sblocca il bipolarismo e tende ad elevare la partecipazione dei cittadini alle elezioni
“La politica di centro era e resta uno dei caposaldi decisivi e qualificanti della storia democratica del nostro paese. Perché la politica di centro e un Centro riformista, dinamico e moderno rappresentano, tutt’oggi, una solida e credibile cultura di governo”, ha scritto Giorgio Merlo sul Riformista di mercoledì 29 novembre. E ancora “una pluralità culturale che resta la precondizione essenziale per unire sotto lo stesso tetto politico i vari riformismi che, se restano divisi e frammentati, non hanno la sufficiente capacità di incidere sull’agenda politica nazionale”. Il termine “centro” per identificare le caratteristiche ideologiche e programmatiche di un gruppo politico è piuttosto recente. All’inizio del ‘900, durante tutto il periodo monarchico, per indicare quelle formazioni politiche più caute nel conservatorismo o, all’opposto, nel riformismo si usava l’aggettivo “moderati”: destra moderata, sinistra moderata o per quest’ultima l’aggettivo “estrema” per indicare la pattuglia di irriducibili repubblicani. Più tardi, negli anni venti, questo panorama mutò rapidamente per la comparsa sulla scena di nuovi partiti come il Partito Popolare ed il Partito Nazionale Fascista: entrambi rifiutavano, anche se per motivi diversi, una collocazione negli schemi tradizionali. Il Partito Popolare, partito dei cattolici della “Rerum Novarum”, della solidarietà, dei valori della persona, non poteva non essere dalla parte di chi tendeva a conservare l’assetto esistente né di chi voleva sconvolgerlo con la prevalenza degli uni sugli altri nel governo della cosa pubblica. Fu proprio questa collocazione su posizioni politiche non tradizionali che consentì al Partito Popolare di entrare a far parte del primo governo Mussolini. Il partito fascista d’altra parte, abbondantemente caratterizzato dalla presenza dei nazionalisti, parlava con spregio della partitocrazia: quello fascista non era un partito come gli altri, era il movimento della rivoluzione nazionale. Nel 1946, con le elezioni dell’assemblea costituente, il quadro politico cambiò: ricomparvero i partiti prefascisti ed anche altri con finalità solo elettorali. Ma nacque un partito nuovo, la Democrazia Cristiana erede politico del Partito Popolare, terza forza tra il blocco socialcomunista da una parte e quello della destra, dai liberali ai qualunquisti ai monarchici. Del Partito Popolare la DC riprese, con i necessari aggiornamenti, le caratteristiche ideologiche e programmatiche: i principi del cattolicesimo sociale, la garanzia dei diritti della persona, la solidarietà e non ultimo l’anticomunismo (in coerenza con gli accordi di Yalta che avevano segnato il confine internazionale dell’Italia in un mondo diviso in due blocchi). Il partito democristiano è stato per quasi mezzo secolo il partito di maggioranza relativa: occupò lo spazio politico tra la destra e la sinistra ed evitò le scissioni, che caratterizzarono altri partiti (PLI, PSI, PCI, PMI, MSI), favorendo la dialettica al suo interno delle correnti, ciascuna intesa come un modo diverso di intendere i punti ideologici e programmatici del partito. Un tipo di gestione inaugurata, quando molti si aspettavano il contrario, da Amintore Fanfani segretario del partito, dopo il congresso di Napoli del 1954, che chiarì gli obiettivi politici, anche nei confronti degli ex dossettiani (Dossetti era già uscito dal Partito) che erano tentati dallo Stato etico, assicurando al suo partito mezzo secolo di vita. Democrazia Cristiana partito di centro perché lontano, per la sua stessa piattaforma ideologica, dagli estremismi che, per la loro stessa natura, divengono presto prevaricatori del potere pubblico eventualmente conquistato. La crisi venne - e fu crisi di tutto il sistema politico – quando, da una parte i partiti di governo e dall’altra il PCI, non furono capaci di affrontare, sul piano programmatico e politico, la fase storica che si apriva con la “morte” del comunismo e la caduta del Muro di Berlino; quando non fu più disponibile il giochino comunismo-anticomunismo a coprire con una cortina fumogena la crisi dei partiti, divenuti ormai, anche per il congelamento sostanziale del sistema politico, padroni incontrastati del potere pubblico. La fine della DC come partito egemone avvenne in un tempo breve: l’Italia era divenuta ingovernabile perché era difficile dopo risultati elettorali variatrent’anni. mente frammentati, formare maggioranze di governo. La medicina in grado di guarire tutti i mali fu vista in un sistema politico bipolare simile a quello inglese: il partito, o la coalizione di partiti, che vince le elezioni governa per i cinque anni successivi. Errore madornale: tra le diverse ragioni della disaffezione dei cittadini per le elezioni c’è anche quella per cui l’elettore chiamato a scegliere tra due blocchi se ha convinzioni che maggiormente coincidono con le annunciazioni programmatiche di uno dei partiti di un blocco non si reca a votare quando si rende conto che quel blocco pesa negativamente sul partito a cui vanno le sue simpatie. Il centro politico può essere la risposta che sblocca il bipolarismo e tende ad elevare la partecipazione dei cittadini alle elezioni. “Il modello è quello del partito della “Margherita nato all’inizio degli anni Duemila”, sembra concludere Merlo, ma subito precisa “quello che merita di essere ricordato, e forse ripreso, è il metodo che ha caratterizzato quel soggetto politico. E cioè, attorno ad un leader politico riconosciuto democraticamente da tutto il partito, convergono le varie culture politiche storicamente riformiste”. Ma prima ancora di verificare se sia questo il metodo giusto dobbiamo osservare che “il partito” è il grande assente della politica italiana degli ultimi Il partito come lo abbiamo conosciuto nel secolo passato non esiste più, e non può tornare. Per un motivo molto semplice: la società novecentesca non esiste più. Si è aperta una fase di transizione che non ha investito soltanto le strutture economiche e culturali, ma anche gli stili di vita e i comportamenti dei cittadini. E anche le istituzioni della Repubblica e la stessa democrazia. Allo stesso tempo ciò che ha sostituito il sistema dei partiti democratici e cioè il sistema delle associazioni, a cui si aderisce per ammirazione del capo o per acquisto di azioni e non per la visione di società che quelle associazioni promuovono, è da buttare. Quindi la forma partito va rifondata evitando che, nell’attesa che ciò avvenga, quanto organizzativamente esiste sia proprietà del leader. Questo non vuol dire che si debba negare la funzione che ha sempre svolto e tutt’ora svolge nell’agorà della politica la figura del leader. Sbaglia chi lo nega perché identifica il leader con l’“uomo solo al comando” o magari la “donna sola al comando”, retaggio della paura fascista. Anche i partiti novecenteschi, che pur erano altra cosa rispetto a quelli attuali, avevano forti leadership: De Gasperi, Moro, Nenni, Togliatti. Forse può risultare utile osservare che ci troviamo di fronte ad un nuovo fenomeno e cioè che a guidare i partiti della seconda repubblica non siano leader ma soltanto personaggi popolari. In definitiva è emerso il potere di chi, moderno alchimista che possiede il segreto della pietra filosofale, dispone della tecnica del linguaggio dei social e dei like. Siamo in una condizione per cui la democrazia rischia di divenire l’apoteosi del pifferaio magico. Un progetto politico di centro che oggi si fa partito può destare l’interesse degli elettori alla condizione di essere sintesi innovativa delle grandi correnti del pensiero democratico “dal cattolicesimo popolare alla tradizione laica, liberale e repubblicana; dalla cultura socialista a quella ambientalista e, soprattutto, alla galassia civica che rappresenta un autentico valore”, come ha giustamente scritto Giorgio Merlo. In una vasta accezione centralità significa entità che garantisce l’equilibrio di un sistema costituito da entità diverse e da diverse culture. In senso politico centralità vuol dire assunzione della funzione di tenere in equilibrio una organizzazione politica caratterizzata da diverse componenti politiche. Ad esempio si parla spesso di centralità del Parlamento volendo fare riferimento alla funzione del Parlamento di assicurare la dialettica politica in un ordinamento democratico. E ciò vale anche per un partito politico dell’epoca digitale.
Abbiamo bisogno di parole nuove per definire la realtà nuova in cui viviamo. I cambiamenti in atto stanno producendo una desertificazione culturale in cui emerge vittorioso un populismo ignorante, mentre si aggravano le diseguaglianze e si afferma una concentrazione della ricchezza e dei poteri. Quello che serve è un pensiero politico nuovo per la fase di transizione che stiamo vivendo, consapevole che un altro mondo è possibile. La federazione dei civici europei ha promosso, con la sua costituzione, un “rassemblement” delle formazioni riformiste. Non un partito, perché è strutturato diversamente dalle formazioni politiche tradizionali in favore di una organizzazione orizzontale, i cui partner conservino la loro autonomia e capacità di autodeterminazione, con un comune denominatore interprete delle istanze laburiste ed ecologiste del Paese attraverso un confronto aperto al di là della forza demoniaca degli stemmi e delle bandiere. L’adesione all’alleanza non costringerà nessuno all’abiura perché dovrà essere fondata sulla conformità, sulle convergenze, lasciando ognuno libero delle proprie opinioni e padrone della propria storia e coloro che saranno eletti nelle liste dell’Alleanza saranno obbligati a rispondere solo ai cittadini che li hanno votati: come del resto si sancisce la Costituzione della Repubblica. L’operazione non ha nulla a che vedere con forme di opportunismo politico perché non mira a conservare posizioni preesistenti. L’alleanza potrà formarsi solo su un valore: una cultura forte, attuale, pragmatica come il riformismo, una strategia politica in cui si concentrano le tradizioni migliori della democrazia repubblicana determinante per proiettare la nostra comunità nazionale nel futuro di una Europa che si fa Stato. Si deve andare oltre, perché indietro non si torna.