Proteste in Serbia: rivoluzione o mantenimento dello status quo?
I manifestanti contro i brogli si battono per la democrazia e lo stato di diritto ma anche per l’appartenenza alla famiglia europea: sono la speranza per un cambiamento
“L’Unione europea è davanti a un bivio ”
Abbiamo chiesto ad alcuni dei ragazzi che hanno partecipato alla scuola di formazione politica Meritare l’Europa di scrivere gli articoli che vorrebbero leggere più spesso sui quotidiani. Uno sguardo sul mondo degli under 35
Dal 17 dicembre, giorno delle elezioni anticipate, le manifestazioni in Serbia contro le frodi elettorali e il governo continuano e coinvolgono migliaia di persone. Questa volta il presidente serbo, Aleksandar Vučić, non ha fatto bene i conti. Pensava che le proteste sarebbero passate presto. Invece aumentano: sabato 30 dicembre si è tenuta un’altra grande manifestazione a Belgrado per protestare contro le elezioni. Quali sono le ragioni dei manifestanti? Ci sono state diverse irregolarità, certificate dagli osservatori elettorali dell’OSCE, nelle recenti elezioni parlamentari anticipate che si sono svolte assieme a quelle locali in 60 Comuni e nella capitale Belgrado. Fra le diverse truffe, l’aver fatto votare cittadini della Republika Srpska (Bosnia ed Erzegovina) che non avevano diritto. Alcuni cittadini hanno fatto la foto con il cellulare alla loro scheda, e l’hanno pubblicata sui social media o mandata ad altri. Ora i manifestanti vogliono le dimissioni di Vučić, e la ripetizione delle elezioni; la cosa impressionante è la loro resilienza di fronte a una polizia che non si fa remore ad usare la forza contro di loro. Diversi manifestanti sono già stati arrestati con accuse pesanti (rovesciamento dell’ordine costituzionale).
La domanda adesso è questa: riusciranno queste manifestazioni a portare alla luce una Serbia diversa da quella che abbiamo conosciuto negli ultimi anni? È un segnale di speranza il fatto che ci siano parecchi cittadini che richiedono il rispetto dei valori fondamentali, democratici e dello stato di diritto. E che non credono alle menzogne del presidente Vučić. Da qui può nascere una speranza in una Serbia democratica che sarà membro dell’Unione europea. Tuttavia, anche gran parte dell’opposizione non riconosce l’indipendenza del Kosovo e non vorrà farlo in futuro; potrebbe essere invece la vera svolta verso l’Europa. Probabilmente è solo questione di tempo, perché già alcune personalità dell’opposizione hanno capito che con il Kosovo ormai indipendente non hanno altra scelta che accettarlo.
Dall’altra parte, però, c’è l’Unione europea stessa, che sembra sentirsi molto più a suo agio con Vučić presidente, che con qualcun altro. Il silenzio dei rappresentanti europei nei confronti di ciò che è accaduto in Serbia è imbarazzante; i manifestanti si sentono lasciati soli e sentono che l’Unione europea spera che rimanga Vučić in carica. Se da una parte Bruxelles, tramite i negoziati di adesione all’Unione europea, detta ai paesi candidati (anche alla Serbia) quali riforme devono adottare, come può Bruxelles, d’altra parte, non intervenire se le elezioni libere sono l’essenza della democrazia e nei negoziati uno dei principi essenziali del capitolo sui diritti fondamentali? Il fatto che l’Unione europea preferisca Vučić all’opposizione fa molto riflettere. Un autocrate conosciuto è meglio di un democratico sconosciuto? Questa apparenza di stabilità avrà ripercussioni forti perché compromette la piena riuscita della democratizzazione della Serbia nonché la credibilità dell’Unione europea.
In questo contesto, la recente notizia, positiva ed importante, della decisione serba di riconoscere le targhe del Kosovo sembra pertanto un diversivo usato da Vučić per allontanare lo sguardo dalle irregolarità delle elezioni e dalle manifestazioni. Il primo ministro kosovaro Albin Kurti, rivolgendosi in serbo ai kosovari serbi, l’ha spiegato proprio così, annunciando che anche il Kosovo a sua volta riconoscerà le targhe serbe appena la Serbia attua la propria decisione riconoscendo quelle kosovare. Protestando contro i brogli, i manifestanti in Serbia si battono per la democrazia e lo stato di diritto ma anche per l’appartenenza alla famiglia europea. Sono la speranza per un cambiamento democratico del paese, dopo più di 20 anni, unico modo per stabilizzare i Balcani in generale. La Serbia, paese chiave, è sempre stata fonte di conflitti nella regione; se si democratizza e rispetta i diritti fondamentali, anche delle minoranze, anche gli altri paesi avranno modo di potersi rafforzare. Ma se l’Unione europea continua a supportare Vučić in maniera incondizionata senza rendersi conto della sua pericolosità, ci saranno conseguenze devastanti, sia per i Balcani che per l’Unione europea. Ci sono prove che i servizi segreti serbi stanno aiutando i preparativi per il prossimo attentato terroristico in Kosovo. L’Unione europea è davanti ad un bivio: stare in silenzio, puntare su Vučić e sperare che tutto passi, o piuttosto diventare finalmente intraprendente, difendere i propri valori, assistere ad una democratizzazione sostenibile e riacquistare credibilità e un ruolo serio nella regione?