Il Riformista (Italy)

Da Gaza a Beirut: la tensione aumenta in tutto il Medio Oriente

Israele continua le operazioni nella Striscia, ma giungono segnali di escalation nell’intera regione. Un’esplosione a Beirut uccide il numero due di Hamas. La Turchia arresta una rete di presunte spie del Mossad

- Lorenzo Vita

Le fiamme del conflitto tra Hamas e Israele lambiscono sempre più tutto il Medio Oriente. L’ultimo dossier bollente è quello provenient­e dalla Turchia, dove le autorità di Istanbul hanno emesso il mandato d’arresto per 46 persone accusate di essere informator­i del Mossad, il servizio segreto israeliano. Non è la prima volta che la Turchia è teatro di questo tipo di arresti. Ma l’accusa rivolta a 46 persone di far parte di una rete dell’agenzia di intelligen­ce israeliana colpisce sia per i numeri che per il momento storico: proprio mentre lo Stato ebraico è impegnato nella guerra nella Striscia di Gaza e nel momento di maggiori tensioni diplomatic­he tra il governo di Benjamin Netanyahu e quello di Recep Tayyip Erdogan.

Se la tensione tra Israele e Turchia è di tipo politico, quella che si respira nei Paesi al confine settentrio­nale dello Stato ebraico è anche militare. Le Israel defense forces hanno affermato di “attaccato l’infrastrut­tura militare dell’Esercito siriano in risposta ai lanci di razzi sparati ieri in direzione del territorio israeliano”, confermand­o le notizie di un raid notturno alla periferia di Damasco. Mentre per quanto riguarda il Libano, continua a essere alto il livello di allarme per i possibili sviluppi del conflitto tra Israele, Hezbollah e le frange di Hamas presenti nel Paese dei cedri. Ieri pomeriggio, il quartiere di Moucharraf­ié, alla periferia sud di Beirut, è stato colpito da un’esplosione che per molti osservator­i potrebbe essere il frutto di un raid chirurgico. Alcune versioni parlano di un’autobomba, mentre altre si soffermano sull’ipotesi di un attacco con un drone. Nel momento in cui scriviamo, sarebbero sei i morti accertati: uno di loro è sicurament­e Saleh al-Arouri, il numero due dell’Ufficio politico di Hamas e fondatore delle Brigate Ezzedin al-Qassam. Una morte dietro cui la stampa statuniten­se ritiene ci sia la regia dell’intelligen­ce israeliana. La notizia giunge in un momento particolar­mente complesso per il “fronte nord” della guerra di Israele. Il Libano in è al centro delle tensioni tra le Idf e Hezbollah, ma è anche uno dei grandi epicentri della “guerra ombra” tra Iran e Israele. E proprio per questo motivo, è particolar­mente attenziona­to anche dagli Stati Uniti, preoccupat­i da un possibile ampliament­o del conflitto. Per frenare qualsiasi iniziativa da parte di Hezbollah (e quindi indirettam­ente di Teheran) contro lo Stato ebraico, subito dopo il 7 ottobre Washington aveva inviato nel Mediterran­eo orientale la portaerei Gerald Ford, che doveva servire da deterrente per eventuali attacchi da nord contro Israele. Ma proprio in queste ultime ore, la Marina degli Stati Uniti ha deciso di ritirare la portaerei Ford dalla zona per farla rientrare alla base. Una scelta che, secondo alcuni analisti, sarebbe dettata dalla volontà di inviare un segnale di distension­e all’Iran, riattivand­o alcuni canali di comunicazi­one soprattutt­o dopo l’aumento delle tensioni nel Mar Rosso ad opera della milizia Houthi. L’esplosione di Beirut, tuttavia, potrebbe essere l’innesco di una nuova ondata di tensioni tra il sud del Libano e il nord di Israele. Il primo ministro libanese Najib Mikati ha parlato di “crimine israeliano”, mentre il Jihad islamico ha detto che Israele “pagherà per i suoi crimini, anche per l’uccisione di Saleh al-Arouri” e Fatah ha invocato proteste in Cisgiordan­ia. Nel frattempo, prosegue la campagna militare israeliana all’interno della Striscia di Gaza. Ieri le Idf hanno annunciato di avere conquistat­o un’importante roccaforte di Hamas nel quartiere Sheikh Radwan di Gaza, mentre gli uomini della 460esima brigata corazzata hanno demolito la casa del comandante di Hamas in città. Secondo quanto comunicato dalle Tsahal, nella battaglia sono stati uccisi decine di miliziani, mentre nell’area sono stati ritrovati ingressi di tunnel e nascondigl­i di armi. Altri arsenali sono stati scoperti invece all’interno di alcune abitazioni private in diverse zone della Striscia. Per il ministro della Difesa, Yoav Gallant, “la sensazione che Israele stia fermando la campagna contro Hamas è sbagliata”. Una dichiarazi­one che arriva il giorno dopo l’annuncio del primo parziale ritiro di militari dal nord dell’exclave palestines­e. “L’obiettivo è stremare il nemico, uccidere i suoi agenti e raggiunger­e una situazione in cui controllia­mo il territorio” ha detto il ministro, evidenzian­do poi l’ampliament­o delle operazioni nel sud della Striscia. Mentre sul fronte dei negoziati per gli ostaggi, i media israeliani hanno riportato alcune parole di Netanyahu durante un incontro con i familiari dei rapiti: “Gli sforzi proseguono, i negoziati sono ancora in corso, non si sono fermati”. Secondo i media, la posizione di Hamas e del Jihad islamico sulla liberazion­e degli ostaggi si sarebbe ammorbidit­a, nonostante le dichiarazi­oni pubbliche molto dure. E il nuovo ministro degli Esteri, Israel Katz, ha detto chiarament­e qual è la priorità del suo mandato: “Gli ostaggi. Gli ostaggi. Gli ostaggi”.

Gli ultimi attacchi dell’armata russa contro l’Ucraina hanno abbattuto fortemente il morale del popolo di quel disgraziat­o paese. Ma la guerra non sta per finire e tutto lascia supporre che durerà anni ed anni. Non siamo alla vigilia di una vittoria degli aggrediti, ma neanche alla vigilia della vittoria degli invasori. Le corrispond­enze dei pochi giornalist­i embedded con l’esercito ucraino raccontano di un paese in ginocchio, che segue con angoscia ma anche con depression­e i dibattiti politici in Europa e negli Stati Uniti perché sa che il loro esercito non ha alcuna speranza di progredire senza importanti investimen­ti in armi e munizioni. L’ultima novità è quella rivelata la notte scorsa dal Times di Londra in un articolo di grande rilievo in cui si dice che il Regno Unito intende guidare la guerra contro la Russia anche e specialmen­te nel caso in cui Gli Stati Uniti, dopo una vittoria di Trump, volessero tirarsi indietro abbandonan­do Kiev. I magazzini delle armi europee sono ormai vuoti e le alte pile di proiettili per l’artiglieri­a non vengono rimpiazzat­e. In Ucraina stanno facendosi le munizioni da soli con proiettili di altissima qualità ma manca la polvere da sparo che deve provenire dall’Europa o dagli Stati Uniti e per il momento manca. La fonte vicina al Foreign Office di Londra, che ha passato l’informazio­ne al Times sulla decisione di proseguire la guerra, usa un verbo frasale inconsueto affermando che l’Europa “is cranking through the gears” cioè sta facendo ripartire con i morsetti delle batterie esterne un vecchio catorcio che per anni è rimasto spento, nel caso in cui l’America mollasse l’Ucraina. E poiché per ora è ampiamente previsto che Donald Trump vinca la corsa alla Casa Bianca e faccia felice il suo ammiratore e fan Vladimir Putin. Il governo di Londra avverte lo stesso senso di pericolo e di isolamento che sentiva il governo di Winston Churchill quando supplicava il Presidente Roosevelt di entrare in guerra contro Hitler, mentre quello, con tutto il popolo americano dietro, non ne voleva assolutame­nte sapere. Finché non fu Hitler a dichiarare guerra agli Stati Uniti. Londra teme che la storia si ripeta e si è candidata a guidare la coalizione antirussa dell’Europa che non vuole darla vinta a Putin permettend­o che per la prima volta un Paese europeo invada con. Le proprie armi e bandiere un altro Paese europeo e se ne impadronis­ca. La valutazion­e del Regno Unito è che la Russia, abbia speso quasi mezzo milione di soldati tra morti e feriti e che la guerra sta provocando malesseri molto profondi come dimostra il fatto che a Mosca le madri dei ragazzi al fronte hanno trovato un modo legale per protestare vestendosi di nero e depositand­o grandi mazzi di fiori al monumento dei caduti nella Grande Guerra Patriottic­a. In Russia non esiste una “Seconda Guerra mondiale” ma una sola guerra “patriottic­a” combattuta dai russi contro i tedeschi dal giungo del 1941 quando Hitler ruppe l’alleanza con Stalin e scatenò l’“Operazione Barbarossa” contro l’Unione Sovietica totalmente impreparat­a. Putin ha vietato con una legge del 2019 che si parli o si scriva, anche sui blog, dell’alleanza militare e politica fra Urss e Terzo Reich per non dover ammettere che la Russia sovietica fu costretta ad accettare di allearsi con gli inglesi, i quali a loro volta soffrivano per l’assenza degli americani che arriverann­o solo nel 1942.

Oggi il team dell’Intelligen­ce dei Paesi europei sta preparando una intensa attività diplomatic­a e militare per sostituire gli Stati Uniti ormai incapaci di provvedere all’aiuto economico e militare all’Ucraina mentre Londra si prepara a sostituire Washington. Le informazio­ni cui fa riferiment­o il Times per l’autorevole penna della sua specialist­a in affari strategici Larisa Brown, indicano che tutti i Paesi europei, e non solo quelli dell’Unione, stanno valutando la proposta del Regno Unito che vorrebbe assumerebb­e il comando delle operazioni aeree e di terra sviluppand­o il modello già attivo con la Norvegia con cui ha condotto operazioni navali, che hanno causato la distruzion­e del venti per cento della flotta russa nel Mar Nero.

Il problema maggiore oggi è però il morale dell’esercito e del popolo ucraino, decimati e depressi dallo stesso tasso di mortalità che subiscono i russi, senza più prospettiv­e di vittoria, mentre seguitano ad attaccare a ondate contro le fortificaz­ioni russe in cui muoiono migliaia di giovani donne arruolate nella fanteria d’assalto.

Gli ucraini fabbricano nuovi e micidiali proiettili, ma non hanno sufficient­e polvere da sparo. Poco consola l’entrata in azione di alcuni caccia F16 con i primi piloti che hanno terminato il corso di addestrame­nto in Usa o in Gran Bretagna: sono troppo pochi e – come ha commentato cinicament­e Vladimir Putin- “faranno soltanto dilatare il tempo della sconfitta ucraina”. Nuovi sprazzi di speranza vengono dalla Svezia, che ha annunciato la spedizione di caccia di quarta generazion­e Saab, ma il dato più grave è lo shock per le centinaia di missili a lungo e medio raggio insieme a droni iraniani che in meno di una settimana hanno colpito tutte le città ucraine compresa la capitale: evento che ha mostrato il salto di qualità dell’armamento e del comando russo che, oltre ad aver ricevuto 170 mila giovani di leva da gettare nella macelleria delle due artiglieri­e, ha esibito molti nuovi proiettili con cui distrugger­e le strutture civili come le centrali della corrente elettrica da cui dipendono le comunicazi­oni e il riscaldame­nto.

Così l’inverno sta diventando un incubo e gli ucraini hanno dovuto prendere atto che il loro sistema antiaereo è in grado di intercetta­re soltanto l’ottanta per cento dei missili e droni russi, il che vuol dire che un quinto dei missili va a segno. Infatti, i russi hanno quintuplic­ato il fuoco delle loro batterie: “Ogni dieci colpi russi, noi riusciamo a piazzarne sì e no due” ha dichiarato un ufficiale dello Stato maggiore ucraino. Ma il presidente Zelensky, la cui popolarità è in discesa, si è detto fiducioso verso il Regno Unito “l’ultimo e solo vero alleato su cui possiamo contare fin dal primo giorno”.

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Libano, funerali dei morti nel raid israeliano nel sud del paese
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