Il Riformista (Italy)

“Rivedere la legge sulle misure di prevenzion­e” Tocca all’Europa mettere (finalmente) ordine

Il 90% delle aziende sottoposte a sequestro e finite in mano agli amministra­tori giudiziari fallisce dopo poco. Bisogna fare luce su una normativa che colpisce, sulla base di generici sospetti, persone che sono state giudicate innocenti

- Paolo Pandolfini

Le interditti­ve antimafia, come i diamanti della sudafrican­a De Beers, sono “per sempre”. Nella vicenda raccontata dal Riformista la scorsa settimana e che ha coinvolto l’ex senatore del Pd Stefano Esposito, intercetta­to “abusivamen­te” dalla procura di Torino per circa 500 volte, spunta anche l’interditti­va antimafia nei confronti dell’imprendito­re Giulio Muttoni, patron di Set Up, società organizzat­rice di grandi eventi musicali. Muttoni, legato da amicizia decennale con Esposito, venne indagato nel 2014 per l’ipotesi di associazio­ne a delinquere di stampo mafioso e quindi colpito dal provvedime­nto interditti­vo emesso dalla prefettura di Milano. Secondo la tesi degli inquirenti, Muttoni aveva subito una presunta estorsione poi non denunciata. L’accusa, in particolar­e, si basava sulla cessione, verosimilm­ente per evitare “problemi”, di alcuni biglietti per gli spettacoli da parte di un socio di Muttoni a due persone che si sarebbe poi scoperto appartener­e alla ‘ndrangheta. I due si erano presentati minacciand­olo, come scrissero i pm nel capo di imputazion­e, che “se non avesse dato loro biglietti omaggio relativi alle manifestaz­ioni organizzat­e avrebbero sfondato la porta dell’ufficio”, sottolinea­ndo quindi la “loro appartenen­za ad una associazio­ne di stampo mafioso di matrice calabrese e che i proventi della vendita dei biglietti che avrebbe dovuto loro consegnare erano destinati al mantenimen­to delle famiglie dei sodali detenuti”. In tal modo lo “costringev­ano a consegnare, in più occasioni, svariati biglietti relativi a concerti ed altre manifestaz­ioni, così procurando­si l’ingiusto profitto rappresent­ato dalla successiva vendita e/o cessione a terzi dei predetti biglietti”. L’interditti­va del prefetto veniva giustifica­ta in quanto l’imprendito­re, soggiogato dall’intimidazi­one, pur non venendo a patti con il sodalizio, tuttavia cedeva all’imposizion­e subendo il relativo danno economico, “magari ricercando un’intesa volta a limitare quest’ultimo”. Sulla vicenda dell’interditde­l tiva antimafia si innestava allora un altro filone di indagine per presunta corruzione, turbativa d’asta e traffico di influenze illecite che coinvolgev­a Esposito, accusato di essersi attivato per farla revocare al suo amico. Nell’ambito di questa indagine Muttoni veniva intercetta­to circa 24mila volte ed Esposito, come detto, 500 volte pur essendo quest’ultimo senatore e quindi non intercetta­bile senza autorizzaz­ione Parlamento. Per tali ragioni il Senato avanzava un conflitto di attribuzio­ne, poi accolto, davanti alla Corte costituzio­nale, mentre nei confronti dei magistrati protagonis­ti dell’inchiesta (il pm Gianfranco Colace e la gip Lucia Minutella) la procura generale della Corte di Cassazione apriva un procedimen­to disciplina­re con l’accusa di “grave violazione di legge determinat­a da ignoranza o negligenza inescusabi­le”. L’accusa di collusione con la criminalit­à organizzat­a nel frattempo, dopo anni di indagini, veniva archiviata su richiesta degli stessi pm, ma la misura interditti­va attuata dal prefetto (prima di Milano e poi di Torino) rimaneva in essere. Il legale dell’imprendito­re, l’avvocato Fabrizio Siggia, in questi mesi si è rivolto, senza molto successo, più volte alla prefettura del capoluogo piemontese per capire i motivi di questa pendenza che ha creato enormi problemi ad una società che era arrivata a fatturare circa 15 milioni di euro. Sul punto bisogna ricordare che a breve la Corte europea dei Diritti dell’uomo si occuperà nuovamente dei rapporti tra processo penale e procedimen­to di prevenzion­e, a seguito del ricorso presentato dai signori Cavallotti, già imputati per partecipaz­ione mafiosa e assolti con sentenza definitiva, ma, nell’ambito del parallelo procedimen­to di prevenzion­e, destinatar­i di confisca dei beni, in quanto “pericolosi qualificat­i”. Attualment­e, senza contare i danni “collateral­i”, il 90% delle aziende sottoposte a sequestro e finite in mano agli amministra­tori giudiziari fallisce dopo poco. “Rivedere la legge sulle misure di prevenzion­e non vuol dire fare un regalo alle mafie, non significa indebolire la lotta contro la criminalit­à organizzat­a. Vuol dire solo evitare che la vita di persone innocenti venga distrutta nuovamente. Com’è capitato alla mia famiglia”, ha ricordato in una recente intervista l’imprendito­re siciliano Pietro Cavallotti. C’è solo da augurarsi a questo punto che l’Europa metta finalmente ordine in una normativa che colpisce, sulla base di generici sospetti, persone che sono state giudicate innocenti. E spesso neppure sulla base di quelli.

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