Sangue anche in Iran l’escalation preoccupa il mondo
Due esplosioni a Kerman provocano più di cento morti nell’anniversario della morte di Soleimani. Monito di Borrell: “Si rischia Medio Oriente in fiamme”
Scorre il sangue in Iran nell’anniversario del quarto anniversario dell’uccisione del generale Qasem Soleimani, morto in un attacco statunitense a Baghdad il 4 gennaio del 2020. Due esplosioni nel “Cimitero dei martiri” di Kerman, dove è sepolto il generale dei Guardiani della rivoluzione e mente della strategia regionale iraniana, hanno provocato la morte di più di cento persone e il ferimento di altre 150. Le due esplosioni sono avvenute in momenti distinti. Il ministro dell’Interno, Ahmed Vahidi, ha spiegato che la prima deflagrazione è avvenuta intorno alle 15 ora locale, mentre la seconda venti minuti più tardi. E sarebbe stata proprio l’ultima a mietere il più alto numero di vittime, accorse al cimitero per celebrare il ricordo del comandante della Forza Quds. Insieme alla macchina dei soccorsi, sono scattate subito le indagini per capire la matrice dell’attentato. Il presidente Ebrahim Raisi ha annunciato che gli autori dell’attentato saranno presto “identificati e puniti”. Vahidi ha dichiarato che la risposta dell’Iran sarà “potente e schiacciante” e realizzata “nel più breve tempo possibile”. Mentre il capo della magistratura iraniana, Gholamhossein Ejei, ha definito i responsabili “terroristi mercenari di potenze arroganti”. “Questi terroristi dal cuore duro e i loro padroni assassini dovrebbero sapere che la nostra nazione non perderà mai i suoi sacri ideali”, ha avvertito l’alto funzionario della Repubblica islamica. E queste frasi confermano che per gli Ayatollah la responsabilità dell’attacco va ricercata fuori i confini iraniani. Le autorità hanno proclamato per oggi una giornata di lutto, con Raisi che era atteso ad Ankara per incontrare il presidente turco Recep Tayyip Erdogan: vertice previsto a novembre ma che era stato posticipato. La notizia dell’attentato a Kerman ha sconvolto l’intera comunità internazionale, che si è unita nel cordoglio per i morti, ma ha anche elevato l’allarme visto che essa si somma a una cronaca che mostra in tutto il Medio Oriente una pericolosa escalation. Due giorni fa, l’attacco a Beirut in cui è stato ucciso il numero due di Hamas, Saleh el-Arouri, ha fatto di nuovo accendere i riflettori su quanto accade in Libano. Il segretario generale della milizia sciita di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha definito “martiri”, sia le vittime di Kerman che l’alto esponente di Hamas, e dopo avere smentito le divergenze con l’organizzazione che controlla Gaza, ha detto che “l’asse della resistenza si incontra su concetti e su una chiara visione strategica. Gli obiettivi e i nemici sono chiari”. Il governo libanese spera che il partito filoiraniano attacchi Israele in risposta all’omicidio di Arouri. “Siamo molto preoccupati. I libanesi non vogliono essere trascinati, anche Hezbollah non vuole essere trascinato in una guerra regionale”, ha detto il ministro degli Esteri Abdallah Bou Habib. E anche ieri si sono registrati scambi di missili tra le forze sciite libanese e le forze armate israeliane da una parte all’altra della Blue Line. L’attesa per quanto sarà deciso dai piani alti di Hezbollah va di pari passo con quello che riguarda le decisioni di Hamas sulla possibile reazione alla morte di uno dei suoi principali esponenti. Per le brigate Ezzedin al Qassam, la “forza armata” di Hamas, Israele “è un pericolo per la nazione”, e il sangue di Arouri “un faro che illuminerà il cammino della liberazione”. La situazione preoccupa non solo Israele, impegnato con le sue forze armate all’interno della Striscia di Gaza, ma anche gli Stati Uniti. Washington si muove sul doppio binario delle armi e della diplomazia. Gli occhi sono puntati sullo Yemen, da dove la milizia Houthi continua a lanciare droni e missili minacciando la stabilità del commercio via mare. I ribelli hanno colpito un’altra nave mercantile, mentre il comando statunitense per il Medio Oriente, Centcom, ha annunciato che “il 2 gennaio, intorno alle 21.30 ora di Sanaa, gli Houthi sostenuti dall’Iran hanno lanciato due missili balistici antinave da aree dello Yemen sotto il loro controllo in direzione del Mar Rosso meridionale”. “Queste azioni illegali mettono in pericolo le vite di decine di marittimi innocenti e continuano a ostacolare il libero flusso del commercio internazionale”, ha proseguito il comunicato Usa. Il timore di Washington però riguarda tutta la regione, sia per i rischi che corrono le proprie forze impegnate sul campo in vari Paesi, sia per gli effetti politici della guerra. E proprio per questo motivo, il segretario di Stato Anthony Blinken si recherà in Medio Oriente con una tappa il 6 gennaio in Turchia. Sul fronte diplomatico, è intervenuto anche l’Alto rappresentante dell’Unione europea, Josep Borrell, che ha avvertito che una soluzione al conflitto israelo-palestinese dovrà essere trovata dall’esterno. “Le due parti non riusciranno mai a raggiungere un accordo”, ha sentenziato Borrell, che ha poi lanciato l’allarme: senza una soluzione al conflitto “l’intero Medio Oriente sarà avvolto dalle fiamme”.
L’arresto in Turchia di 34 persone accusate di spionaggio per conto del Mossad è un messaggio che Ankara ha voluto inviare a Israele, in linea con il precedente avvertimento che “qualsiasi tentativo da parte dei servizi segreti israeliani di porre in essere azioni contro cittadini palestinesi ospitati in Turchia avrebbe avuto gravi conseguenze”. Questo è il significato della vasta operazione che martedì 2 gennaio si è svolta in otto province turche.
Il capo dello Shin Bet, l’intelligence interna israeliana, Ronen Bar, circa un mese fa aveva avvertito che avrebbe dato la caccia ai leader di Hamas a Gaza, in Cisgiordania, in Libano, in Qatar e in ogni luogo, compresa la Turchia, anche nel caso in cui sarebbero stati necessari molti anni. “Questa è la nostra Monaco” aveva precisato Bar all’emittente pubblica Kan. La risposta rabbiosa di Erdoğan non si è fatta attendere: “Se commetteranno un simile errore sul suolo turco, pagheranno un prezzo molto alto dal quale non potranno più risollevarsi”. I rapporti tra Turchia e Hamas sono radicati nell’amicizia diretta del presidente per motivi ideologici. Ankara aveva accolto i suoi massimi leader e aveva rilasciato loro passaporti, aveva consentito l’apertura di sedi e aveva fornito finanziamenti e sostegno militare.
La Procura di Istanbul sostiene che la polizia, nell’operazione denominata in codice “Köstebek” (Talpa), ha scoperto una rete di spie intente a effettuare operazioni di ricognizione, pedinamento, aggressione e rapimento di cittadini palestinesi residenti in Turchia. Durante le perquisizioni sono stati sequestrati 143.830 euro, 23.680 dollari, altre somme di denaro contante proveniente da diversi paesi, un gran numero di cartucce e materiale digitale. Negli ultimi due anni la Turchia ha condotto simili operazioni di polizia contro presunte spie. A dicembre, la polizia e l’intelligence turca, il MİT, avevano arrestato 44 sospettati che secondo il quotidiano turco Sabah lavoravano per il Mossad fingendo di essere consulenti privati, ma la loro vera missione era quella di monitorare le attività di residenti palestinesi. Gli arresti probabilmente contribuiranno a far ulteriormente deragliare il nascente riavvicinamento tra Turchia e Israele. Dopo oltre un decennio di gelo, nel 2022, i due paesi erano riusciti a ristabilire normali rapporti diplomatici e avevano nominato i rispettivi ambasciatori, ma, dall’inizio del conflitto a Gaza, entrambi hanno richiamato i propri diplomatici. Erdoğan sulla guerra a Gaza ha preso le distanze dai suoi alleati occidentali difendendo Hamas una “organizzazione di liberazione” e ha rivolto infuocate critiche contro Israele da quando quest’ultima ha iniziato a bombardare Gaza in risposta all’attacco terroristico di Hamas. Ha definito Israele stato terrorista che pratica il genocidio e ha paragonato il primo ministro Benjamin Netanyahu a Hitler. Secondo l’intelligence turca il Mossad recluterebbe le spie attraverso annunci di lavoro pubblicati sui social media. Questi verrebbero impiegati a fotografare obiettivi e a posizionare dispositivi GPS nelle auto dei sospettati. Il trasferimento di denaro sono stati utilizzati Per pagare gli informatori e nascondere che la provenienza del denaro era Israele vengono utilizzate criptovalute e hawal. La Turchia tuttavia ha evitato di adottare misure punitive contro Israele, poiché il commercio sta andando a gonfie vele e i canali diplomatici, seppur a livello inferiore, sono ancora aperti. La settimana scorsa, la polizia turca ha arrestato 32 persone sospettate di essere membri dello Stato islamico, intenti a pianificare attacchi contro sinagoghe e chiese in Turchia. È dunque evidente che Ankara cerca di non portare alle estreme conseguenze la crisi nelle relazioni con Israele. La sua retorica infuocata contro lo stato ebraico serve al leader turco per poter assurgere alla leadership nella “geografia musulmana” e nella sua diaspora in Occidente. Ma nella retorica di Erdoğan non vi è solo la sua visione ideologica islamista, ma vi è soprattutto molta propaganda ad uso interno data in pasto alla propria base elettorale per far dimenticare la grave crisi economica che affligge il paese e per cementare l’elettorato conservatore-islamista attorno a tematiche identitarie, nostalgiche e revansciste.
Ora il leader turco attende il presidente iraniano Ebrahim Raisi ad Ankara Raisi che fa pressione sulla Turchia affinché interrompa con Israele ogni relazione commerciale. Ma Erdogan non ci pensa nemmeno e si guarda bene a non apparire fianco a fianco col cosiddetto “asse della resistenza”. Ciò che accomuna Ankara a Tehran è il fatto che entrambe sono i maggiori sostenitori di Hamas, ma vi sono soprattutto un lungo confine di confine di 535 chilometri e le loro preziose relazioni economiche-commerciali. L’Iran rappresenta per la Turchia una preziosa via terrestre verso i mercati dell’Asia centrale ed è un importante fornitore di gas naturale e Ankara cerca il suo appoggio per la riconciliazione con Damasco per combattere le forze curde-siriane nel nordest del paese.
L’incontro avviene all’indomani del terribile attentato contro i Guardiani della rivoluzione a Kerman che ha provocato 103 morti e 171 feriti nei pressi della tomba di Qasem Soleimani, comandante del Corpo dei guardiani della rivoluzione che fu ucciso il 3 gennaio 2020 in un attacco Usa a Baghdad. Questo di Kerman si tratta di un attentato molto simile a diversi altri del recente passato. In questa fase il regime dovrà prendere una decisione su dove spingere il suo sostegno ad Hamas e sulla risposta che intende dare a Israele dopo l’uccisione del capo dei pasdaran in Siria, Seyyed Razi Mousavi, e una strage potrebbe tornare utile per alimentare la propaganda contro Israele e mostrare all’interno e all’esterno del paese di essere vittima del terrorismo.