Un garantismo a doppia velocità
È morta Dorita Delle Donne, lottava contro un tumore al seno: in migliaia avevano finanziato la sua terapia Sarebbe bello che nel 2024 tutti venissero trattati come Davigo, stimati e considerati anche in caso di condanna alla prigione
Una ventata di sano garantismo pare avere investito in questo ultimo periodo la magistratura italiana. Dopo anni contrassegnati dalla ‘linea dura’ nei confronti delle toghe che incappavano in un procedimento penale o in uno disciplinare, l’approccio sembra essere radicalmente mutato. Ovviamente questo cambio di passo non può che far piacere ed è segno evidente di una diversa sensibilità verso condotte che in altri tempi avrebbero determinato ben altre conseguenze. Sembra essere passato un secolo dalla rimozione dalla magistratura di Luca Palamara, cacciato con ignominia, pur essendo incensurato, al termine di un turbo processo disciplinare durato appena un paio di settimane e dove il 90 percento dei suoi testimoni non erano stati ammessi. Un segnale di questo rinnovato approccio ispirato al miglior garantismo che avrebbe fatto sicuramente la felicità di Cesare Beccaria lo si riscontra nei confronti di Piercamillo Davigo, l’ex pm più famoso d’Italia e da sempre idolo dei manettari in servizio permanente effettivo. Il magistrato, come si ricorderà, venne condannato lo scorso anno dal tribunale di Brescia ad un anno e tre mesi di prigione per il reato, molto grave, di rivelazione del segreto d’ufficio circa la diffusione dei verbali delle dichiarazioni dell’ex avvocato esterno dell’Eni Piero Amara a proposito della loggia Ungheria. Secondo i giudici bresciani, Davigo con il suo comportamento avrebbe poi anche danneggiato l’allora collega del Csm e cofondatore della corrente Autonomia&indipendenza Sebastiano Ardita, ora procuratore aggiunto a Messina, che per questo motivo era stato risarcito con 20mila euro.
Davigo, andato in pensione come giudice ordinario ad ottobre del 2020 al compimento del settantesimo anno di età è rimasto in questi anni in servizio come giudice tributario, dove l’età pensionabile è invece fissata a settantacinque anni. Nonostante la condanna ad un anno e tre mesi di prigione, Davigo non ha subito alcuna conseguenza, continuando così a svolgere il delicato ed importante compito di giudice fiscale. Non risulta sul punto che sia stata aperta una pratica nei suoi confronti o che qualcuno gli abbia chiesto di fare un passo indietro. Giustamente, secondo noi, la presidenza del Consiglio dei ministri, titolare dell’azione disciplinare nei confronti dei giudici tributari, non ha voluto procedere, lasciando Davigo a giudicare serenamente sulle tasse e sulle imposte.
Diverso scenario invece, solo qualche mese prima, per la consigliera di Stato Maria Grazia Vivarelli, anch’ella giudice tributario e condannata in primo grado per fatti, un abuso d’ufficio, che non riguardavano, però, la funzione di magistrato come Davigo, bensì quella di capo di gabinetto del presidente della Regione Sardegna Christian Solinas. Nel caso della magistrata amministrativa si è applicata la ‘linea dura’, con la sospensione dal servizio ed il ritiro del porto d’armi.
Ed a proposito di sospensioni, vale la pena sottolineare ancora una volta le sperequazioni determinate dalla legge Severino, norma approvata nel pieno del furore giustizialista all’indomani delle gesta del consigliere regionale del Lazio Franco Fiorito, detto Batman, e che quando un domani sarà - speriamo - modificata sarà comunque sempre troppo tardi.
Per un amministratore locale è sufficiente la condanna in primo grado per far scattare la sospensione. Sospensione che non scatta per il parlamentare per il quale la condanna deve essere passata in giudicato.
Ben venga, dunque, il rispetto del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza.
Tornando a Davigo, pur essendo egli condannato per un reato inserito fra quelli contro la Pubblica amministrazione, in questi mesi è stato spesso chiamato in Parlamento per fornire i suoi pareri a proposito della riforma di questi reati.
E nessun parlamentare si è mai sentito in imbarazzo: anzi, tutti lo hanno ascoltato con grande attenzione e prendendo appunti. C’è da auspicare che questo nuovo corso garantista valga un po’ per tutti e che si ponga fine alle micidiali black list per coloro che vengono solo sfiorati da una indagine.
Per concludere, dunque, sarebbe bello che nel 2024 tutti venissero trattati come Davigo, stimati e considerati anche in caso di condanna alla prigione.
L’ex pm di Mani pulite, va detto, da parte sua ha contribuito a questa svolta garantista decidendo, verosimilmente controvoglia, di fare appello alla sentenza di condanna. Davigo in passato aveva sempre affermato che gli appelli erano inutili e che servivano solo a prendere tempo e a foraggiare gli avvocati, e che non esistevano innocenti ma solo colpevoli che non erano stati scoperti.
Un miliardo di euro per incentivare l’acquisto di auto prodotte in Italia. Ovviamente ad annunciarlo è stato il ministro del Made in Italy Adolfo Urso. Urss per gli amici, dato che anche questa misura ricorda i piani quinquennali sovietici. E infatti il suo obiettivo è chiaro “produrre un milione di auto all’anno in Italia”. Ora a parte che, come gli ha fatto notare il segretario della Uilm Rocco Palombella, non è che sia un obiettivo così irraggiungibile: “Già quest’anno la produzione complessiva di Stellantis dovrebbe attestarsi fra 700 e 800 mila veicoli”. Il tranello di Urso consiste nell’annunciare un milione di auto, ma inserendo anche i veicoli commerciali. Mentre se dovessimo considerare solo le autovetture, oggi ferme a meno di 500 mila, significherebbe raddoppiare la produzione. Una cosa impossibile. Ma che Urso pensa di poter fare con il nuovo piano incentivi, che ha spiattellato nelle sue consuete roboanti interviste quotidiane: “saranno incentivi modulati per veicoli prodotti in Italia perché vogliamo invertire la tendenza e fare in modo che servano per aumentare la produzione nazionale”. Un sussidio incompatibile con la legislazione europea sugli aiuti di stato, e quindi impugnabile. Un po’ come era stato per l’annuncio estivo di Urso di bandire l’algoritmo di Ryanair, presto redarguito dalla commissione europea e quindi ritirato.
Così sarà per l’annuncio sugli incentivi alle auto prodotte in Italia. Lo sanno tutti che non si può fare, ma il ministro annuncia. Tra l’altro creando un danno agli stessi produttori e commercianti: “È molto forte e preoccupante il rischio che i nuovi incentivi non siano operativi in tempi brevi, situazione che porterebbe a un ulteriore rallentamento o alla paralisi del mercato” ha detto ieri Adolfo De Stefani Cosentino, presidente di Federauto (concessionari). Tesi condivisa dall’associazione di produttori Unrae: “Annunciare misure incentivanti con ventilate possibili partenze solo nei mesi successivi altera il normale andamento del mercato e arreca incertezza”. Insomma il solito Urso, annunci roboanti corredati da grandi interviste (che neanche il premier Meloni), destinati a restare una marea di chiacchiere. Anche perché in questo caso davvero non sarebbe possibile in nessun modo incentivare solo le auto italiane senza incorrere in infrazione. Non solo perché non lo permette l’Unione Europea, ma per quale motivo i concessionari che non vendono Stellantis dovrebbero soccombere? Non sono forse lavoratori anche loro?
E infatti fatta notare la cosa al ministro, già cambia rotta. E sugli incentivi si specifica che “senza discriminare fra Paesi UE, possano favorire, o quantomeno non penalizzare, le produzioni nazionali”. Ci manca solo che adesso finanziamo Stellantis per le auto prodotte in Francia. Dopo che ha inviato 15 mila lettere di invito all’esodo, dopo settemila esuberi, e dopo aver messo in vendita su un sito immobiliare un immobile storico a Mirafiori.
Del resto l’80% degli incentivi del 2023 sono andate ad auto prodotte all’estero, anche da parte di Stellantis. Nel 2023 in Italia sono state immatricolate 1.560.000 auto, ovvero il 19 per cento in più rispetto al 2022, ma meno il 18,3 per cento su l 2019 (pre-covid). Ma di queste solo 450 mila auto erano prodotte in Italia. Secondo Anfia per garantire un fisiologico rinnovo del parco circolante - caratterizzato, a fine 2022, da un’età media di 12 anni e 6 mesi e da una quota di oltre il 50% di vetture ante-Euro 5 - è necessario raggiungere almeno 1,8 milioni di auto immatricolate ogni anno”. Col milione di Urso insomma non ci facciamo nulla. Figurarci con gli incentivi. Che c’erano già: Giorgetti nel 2021 ha aperto il piano da 8 miliardi, compreso 650 milioni di incentivi l’anno per tre anni. Solo nel 2023 sono avanzati oltre 300 milioni sul comparto auto green e ben 13,7 sui 15 mln stanziati per i commerciali elettrici. Ma come nota il segretario della Uilm Rocco Palombella “per ammissione dello stesso Ministero, degli 8,3 miliardi assegnati al settore automotive dal precedente Governo –ne restano circa 6 a disposizione; a questi si aggiungono molte altre risorse che indirettamente possono concorrere a supportare le trasformazioni industriali e che quindi possono andare anche ad industrie automotive. Le risorse quindi ci sono, ma vanno spese presto e bene”. In totale ci sono 6,3 miliardi del fondo automotive (entro il 2030), 13 miliardi della transizione 5.0 entro il 2026, 2,5 miliardi dei contratti di sviluppo entro 2026, inoltre ci sono risorse europee per le batterie (3 miliardi).
Per questo ora Urso vuole rimodulare il piano, con tre obiettivi: 1) cambiare il parco auto circolante in Italia, che è uno dei più vecchi d’Europa (oltre 11 milioni di vetture Euro 3 o inferiori); 2) sostenere e supportare le famiglie meno abbienti (extra bonus del 25% per Isee 30 mila euro); 3) rimodulare gli strumenti incentivanti per stimolare l’acquisto di auto effettivamente prodotte in Italia. Tra l’altro da un lato si dice che bisogna combattere l’egemonia delle auto green cinesi, dall’altro si finanziano. Sarà per questo che il piano Urso incentiva anche, se pur in maniera ridotta, le auto a benzina.
Il piano già annunciato dal ministro in lungo e largo, verrà presentato al tavolo con le parti il primo febbraio. E se difficilmente riuscirà a sostenere la produzione italiana, sicuramente con l’effetto annuncio scatenato rallenterà le vendite fino all’effettiva partenza. Del resto era luglio quando Urso annunciò l’accordo con Stellantis. Siamo all’anno nuovo, e abbiamo visto solo l’annuncio su immobiliare.it.