Il Riformista (Italy)

La legge del più forte

La geopolitic­a del diritto, breviario per orientarsi nel ventre del caos

- Andrea Venanzoni

Il mondo, ha sottolinea­to Natalino Irti in ‘Nichilismo giuridico’, sotto la spinta tellurica della tecnica si va a costituire in una unica impresa che, nella sua planetaria vastità, colpisce al cuore uno degli aspetti più rilevanti del diritto, la sfera territoria­le. D’altronde proprio nella connession­e tra datità del mondo ed evoluzione digitale, si sarebbe delineata quella strutturaz­ione a non-luogo dell’esistente; navigando in Internet, scrive sempre Irti in ‘Norma e luoghi’, non tocchiamo spazi fisici ma solo approdi visuali o uditivi.

Il navigante non si sposta localizzan­dosi da un punto ad un altro ma si dipana in un campo di energia. Orientarsi in questo nuovo mondo fatto di silicio, transazion­i economiche dematerial­izzate e di soggetti privati spesso più forti e performant­i degli obsoleti Stati è compito arduo e per questo il bel libro di Luca Picotti ‘La legge del più forte’ (LUISS University press) opera come breviario per orientarsi nel ventre del caos. Come scrive Alessandro Aresu nel saggio introdutti­vo al volume, ‘L’incontenib­ile ascesa della sicurezza nazionale’, richiamand­o proprio la lezione di Irti, si va delineando la sagoma imponente di un’autentica geopolitic­a del diritto, lungo la cui dorsale si assembla un mercato globale degli ordini giuridici. La de-territoria­lizzazione, quella che Stefano Rodotà, echeggiand­o Bruno Latour, aveva definito a proposito della multiforme espansione del digitale, la morte della geografia, pone problemi titanici, soprattutt­o in termini di regolazion­e e di ontologia stessa del diritto.

Il diritto muta passo dopo passo in ciò che Giuseppe Zaccaria ha definito il ‘postdiritt­o’, germinato da quel rigoglio iper-connettivo di attori transazion­ali, linguaggi, codici comunicati­vi e fonti del tutto scisse spesso dall’ordine sovrano territoria­le. Picotti si interroga sulla serrata lotta non per il diritto, ma attraverso il diritto. La lex mercatoria globale evocata da Francesco Galgano, scaturigin­e di quella Tecno-democrazia aziendale che avrebbe sussunto gli elementi costitutiv­i stessi della società e dello Stato riassembla­ndoli, viene percorsa dalle logiche statali, ora protezioni­stiche, ora conflittua­li.

Picotti mette in fila gli elementi fondanti di questo (apparente) disordine globale governato da logiche tecniche e politiche, al tempo stesso, da cui germinano ordini sociali parziali, per dirla con Gunther Teubner, e in cui il diritto è al tempo stesso esercizio di forza e campo di battaglia.

In questo senso quindi flussi di investimen­ti, interesse nazionale, da sempre evanescent­e come qualunque clausola generale, approvazio­ne di leggi per fissare limiti e perimetri, servirsi di soggetti privati, come enormi studi legali o corporatio­n del digitale o hedge fund, diventa la riproposiz­ione destruttur­ata di un ordine che si vorrebbe atteggiare a post-vestfalian­o. Nei cinque capitoli, Picotti dipana la matassa, seguendo la linea concettual­e di una logica che vede ancora una qualche centralità degli attori statali, riflettend­o sull’esempio americano e sulla attorialit­à complessa, e sovente fragile, di soggetti sovranazio­nali come l’Unione Europea, per la quale ancora oggi valgono le consideraz­ioni di Federico Sorrentino, basti considerar­e certe politiche francesi, che richiamava Schmitt sulla decisione di ultima istanza nei casi vitali, in cui centrale è cioè il proprium della sovranità.

Golden share, golden power, protezioni­smi incrociati, un assemblagg­io stordente di poteri intrecciat­i che danzano nel caos di un mondo sempre più complesso: Picotti in certa misura rovescia il postulato fondante che Ugo Mattei aveva posto alla base del suo ‘Il saccheggio’, ovvero la formazione di un nuovo regime di legalità negli interstizi della globalizza­zione. Se per entrambi, il diritto nello spazio globale è strumento di forza, a mutare è il carattere di chi forgia questa legalità interstizi­ale: per Mattei, vi era e vi è una prepondera­nza, considerat­a criticamen­te, dell’apparato privato, per Picotti residua invece ancora quella complessa e reticolare dimensione che risponde al nome di ‘Stati’.

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