La legge del più forte
La geopolitica del diritto, breviario per orientarsi nel ventre del caos
Il mondo, ha sottolineato Natalino Irti in ‘Nichilismo giuridico’, sotto la spinta tellurica della tecnica si va a costituire in una unica impresa che, nella sua planetaria vastità, colpisce al cuore uno degli aspetti più rilevanti del diritto, la sfera territoriale. D’altronde proprio nella connessione tra datità del mondo ed evoluzione digitale, si sarebbe delineata quella strutturazione a non-luogo dell’esistente; navigando in Internet, scrive sempre Irti in ‘Norma e luoghi’, non tocchiamo spazi fisici ma solo approdi visuali o uditivi.
Il navigante non si sposta localizzandosi da un punto ad un altro ma si dipana in un campo di energia. Orientarsi in questo nuovo mondo fatto di silicio, transazioni economiche dematerializzate e di soggetti privati spesso più forti e performanti degli obsoleti Stati è compito arduo e per questo il bel libro di Luca Picotti ‘La legge del più forte’ (LUISS University press) opera come breviario per orientarsi nel ventre del caos. Come scrive Alessandro Aresu nel saggio introduttivo al volume, ‘L’incontenibile ascesa della sicurezza nazionale’, richiamando proprio la lezione di Irti, si va delineando la sagoma imponente di un’autentica geopolitica del diritto, lungo la cui dorsale si assembla un mercato globale degli ordini giuridici. La de-territorializzazione, quella che Stefano Rodotà, echeggiando Bruno Latour, aveva definito a proposito della multiforme espansione del digitale, la morte della geografia, pone problemi titanici, soprattutto in termini di regolazione e di ontologia stessa del diritto.
Il diritto muta passo dopo passo in ciò che Giuseppe Zaccaria ha definito il ‘postdiritto’, germinato da quel rigoglio iper-connettivo di attori transazionali, linguaggi, codici comunicativi e fonti del tutto scisse spesso dall’ordine sovrano territoriale. Picotti si interroga sulla serrata lotta non per il diritto, ma attraverso il diritto. La lex mercatoria globale evocata da Francesco Galgano, scaturigine di quella Tecno-democrazia aziendale che avrebbe sussunto gli elementi costitutivi stessi della società e dello Stato riassemblandoli, viene percorsa dalle logiche statali, ora protezionistiche, ora conflittuali.
Picotti mette in fila gli elementi fondanti di questo (apparente) disordine globale governato da logiche tecniche e politiche, al tempo stesso, da cui germinano ordini sociali parziali, per dirla con Gunther Teubner, e in cui il diritto è al tempo stesso esercizio di forza e campo di battaglia.
In questo senso quindi flussi di investimenti, interesse nazionale, da sempre evanescente come qualunque clausola generale, approvazione di leggi per fissare limiti e perimetri, servirsi di soggetti privati, come enormi studi legali o corporation del digitale o hedge fund, diventa la riproposizione destrutturata di un ordine che si vorrebbe atteggiare a post-vestfaliano. Nei cinque capitoli, Picotti dipana la matassa, seguendo la linea concettuale di una logica che vede ancora una qualche centralità degli attori statali, riflettendo sull’esempio americano e sulla attorialità complessa, e sovente fragile, di soggetti sovranazionali come l’Unione Europea, per la quale ancora oggi valgono le considerazioni di Federico Sorrentino, basti considerare certe politiche francesi, che richiamava Schmitt sulla decisione di ultima istanza nei casi vitali, in cui centrale è cioè il proprium della sovranità.
Golden share, golden power, protezionismi incrociati, un assemblaggio stordente di poteri intrecciati che danzano nel caos di un mondo sempre più complesso: Picotti in certa misura rovescia il postulato fondante che Ugo Mattei aveva posto alla base del suo ‘Il saccheggio’, ovvero la formazione di un nuovo regime di legalità negli interstizi della globalizzazione. Se per entrambi, il diritto nello spazio globale è strumento di forza, a mutare è il carattere di chi forgia questa legalità interstiziale: per Mattei, vi era e vi è una preponderanza, considerata criticamente, dell’apparato privato, per Picotti residua invece ancora quella complessa e reticolare dimensione che risponde al nome di ‘Stati’.